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TESTO Ad ogni giorno basta la sua pena

mons. Roberto Brunelli

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/03/2014)

Vangelo: Mt 6,24-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 6,24-34

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

"Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai". Sono parole del Signore, comprese nella prima lettura (Isaia 49,14-15): parole rassicuranti, che introducono quelle di Gesù nel vangelo odierno (Matteo 6,24-34), a loro volta scritte, si direbbe, per gli uomini d'oggi, sempre così di corsa.

Uno dei caratteri distintivi della nostra società è l'attivismo frenetico, che gli esperti dicono motivato da due ragioni: si corre per afferrare l'attimo fuggente, per non farsi scappare soddisfazioni che si teme non si ripresenteranno, oppure si va di fretta per fare tutto quello che si pensa possa assicurare un domani senza preoccupazioni. In fondo, le due ragioni hanno la stessa matrice: l'inquietudine circa il domani. E così, nell'illusione di evitare (ipotetiche) ansie future, riempiamo di ansie (vere) il presente. Questo in verità non deve essere solo un atteggiamento di oggi, se già duemila anni fa Gesù ne denunciava l'assurdità, invitando piuttosto a confidare nella Provvidenza: il che non significa vivere da incoscienti, senza far nulla, aspettando la manna dal cielo; significa non dare alle cose materiali un'importanza maggiore di quella effettiva. Voi "cercate invece anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia", vale a dire, ciò che è giusto davanti a Dio: il resto verrà da sé; Dio è Padre o, per dirla con Isaia, è come una madre che non dimentica il proprio figlio. E aggiunge parole d'oro, da scrivere su tutti i muri: "Non preoccupatevi del domani; a ciascun giorno basta la sua pena". Quale saggezza, quale conforto!

"Cercate anzitutto il regno di Dio". L'esortazione è rivolta ad ogni cristiano, senza eccezioni. Nella seconda lettura (1Corinzi 4,1-5) Paolo la applica a sé, "servo di Cristo, amministratore dei misteri di Dio": tremenda responsabilità, su cui devono riflettere quanti sono chiamati a continuare la missione degli apostoli, e in particolare il papa, i vescovi, i preti; tutti, a cominciare da chi stende queste note, saranno chiamati a renderne conto. Paolo ricorda poi a chi, lui e tutti gli "amministratori dei misteri di Dio", devono rendere conto: non ai fedeli, e men che meno a chi si pone fuori dall'ottica della fede. Con la consueta franchezza, senza giri di parole, egli dice: "A me importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano. Il mio giudice è il Signore!"

Si trova qui la risposta alle critiche che, dentro e fuori la Chiesa, sono spesso rivolte ai suoi pastori. Quante volte essi sono stati tacciati di oscurantismo o di insensibilità, di non essere al passo coi tempi, di cocciutaggine nel riproporre "vecchie" dottrine (ad esempio, solo ad esempio, circa la morale sessuale: divorzio, convivenze, omosessualità eccetera). Quante volte si contesta il papa perché dice quel che non si vorrebbe sentire, o viceversa non lancia anatemi su quanti contravvengono alle teorie del momento. Quante volte il comportamento dei singoli preti viene criticato senza appello, e non solo da chi non va mai in chiesa. Ora, anche i pastori possono sbagliare; anch'essi sono uomini, con i loro limiti; ma solo Dio può giudicare se sbagliano sapendo di sbagliare, o se invece sono convinti di agire come Lui vorrebbe. E allora, mentre le critiche provenienti da fuori la Chiesa possono essere irrilevanti perché mosse da una logica diversa da quella del vangelo, i fedeli preoccupati del bene della Chiesa, di cui sono parte, hanno il diritto-dovere di presentare ai responsabili le proprie opinioni, però con l'umiltà di chi riconosce i rispettivi ruoli, cioè senza la pretesa che si faccia a loro talento. Piuttosto, senza dimenticare di pregare per i pastori, perché siano aperti a comprendere e docili nel seguire non le mode, non gli interessi umani, ma unicamente la voce di chi un giorno li giudicherà.

 

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