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TESTO Commento su Bar 2,9-15a; Rm 7,1-6a; Gv 8,1-11

don Raffaello Ciccone  

Penultima domenica dopo Epifania (anno A) (23/02/2014)

Vangelo: Bar 1, 15a;2,9-15a|Rm 7,1-6a|Gv 8,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 8,1-11

1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Lettura del profeta Baruc. 2, 9-15a
Il regno di Giuda è crollato in mano ai babilonesi. Il profeta Baruc scrive questo testo a Babilonia, rivedendo le posizioni e le scelte che il popolo ha compiuto, affrontando una lunga complessa riflessione teologica che lo porta a sondare i valori di Dio, le scelte che egli fa', la raccomandazione delle leggi che ha proposto, i risultati di fronte a un comportamento irresponsabile di rifiuto e di abbandono di Dio. Il libro è attribuito a Baruc, noto come fedele segretario del profeta Geremia. Il libro contiene materiali diversi, sia per genere letterario che per epoca di composizione. Si può pensare ad un'antologia e il brano di oggi fa parte di una Liturgia penitenziale (1,15b-3,8). Questo popolo disperso e disperso, probabilmente già da quattro anni, sembra riunito nel 582 a.C.. Sta rendendosi conto del proprio destino e dei rivolgimenti che sono avvenuti nella propria storia. A questo punto si è risvegliata in ciascuno la consapevolezza della propria empietà e della propria ingiustizia. Ritornano in mente i prodigi che Dio ha fatto in passato per questo popolo, liberandolo dall'Egitto; ci si rende conto della pazzia della propria ribellione che si è compiuta con le proprie scelte e le proprie mani e che si sta pagando con la propria sofferenza. La preghiera, a questo punto, prende coscienza della propria fragilità e della propria pochezza: "Siamo rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le quali tu ci hai dispersi" (v 13). Sorprendentemente, le richieste sono due. Mentre si sta chiedendo al Signore, con la supplica, la propria liberazione, si chiede al Signore: "Facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio"(v 14-15).Si chiedono, da una parte, le capacità e il coraggio di essere sottomessi al popolo che li ha conquistati, perché solo così questo popolo può reggere la fatica e l'umiliazione del castigo che si è procurato. Ma, d'altra parte, proprio in questa vita di responsabilità e di cambiamento, il popolo diventa capace, ancora una volta, di essere testimone della grandezza di Dio, del Dio che ha creato il mondo, che è il loro Signore, che li ha educati alla responsabilità e che essi hanno, per un certo tempo, abbandonato.
La cosa curiosa, che Baruc dice all'inizio del libro, è che questo testo è stato letto alla presenza del re di Giuda, dei figli del re e di tutto il popolo: tutti sono intervenuti alla lettura del testo di Baruc, alla presenza di tutti i deportati che abitano in Babilonia (1,3-4). Tale assemblea "presso il fiume Sud" (v 4 ) indica che sia l'ex re e sia il popolo deportato godono di una certa libertà per cui è possibile fare questi incontri senza suscitare sospetto o senza rifiuti preventivi.
Sia la parola del profeta sia la consapevolezza della propria condizione e lontananza da Gerusalemme rendono possibile la comprensione del proprio male e il pentimento per le proprie colpe. Questo dice il significato e il valore degli incontri delle minoranze che fanno prendere coscienza della propria condizione e, se c'è volontà di pace, possono fare arrivare il proprio popolo ad una presenza costruttiva nel luogo dove stanno vivendo.
Romani. 7, 1-6a
Paolo, da buon ebreo, si sente impegnato a far sempre riferimento alla legge per poter poi ricordare che con il battesimo siamo stati liberati non solo dal peccato (cap 6), ma anche dalla legge stessa (cap 7). Per illustrare la liberazione dalla legge viene ripreso un esempio, molto evidente, della donna vedova, e quindi senza marito e della donna sposata con il marito vivente. La legge regola i rapporti solo tra i vivi. La morte li sospende come dimostra la legge matrimoniale (vv 2-3). Quando una donna sposa un altro uomo, è legata a lui dal dovere di fedeltà: ma se poi muore il marito, resta libera dalla legge del marito cioè dalla legge che riguarda ciò che dice la legge ebraica. Così il credente è sottratto alla legge mediante il corpo di Cristo. Cristo, nel battesimo, libera dal dominio della legge poiché fa morire il credente con sé e quindi lo fa morire alla legge.Ora che siamo stati liberati dalla legge siamo chiamati a servire in novità di Spirito" (v 6). Siamo così liberati dalla legge, dalla lettura dei codici, dalla preoccupazione dei vecchi statuti, per l'ossessione di doverci misurare sulla lettera. Siamo chiamati a servire secondo lo Spirito.Servire secondo lo Spirito significa aprire orizzonti: un'obbedienza interiore attiva a cui segue la creatività e la freschezza del dono di Dio ogni giorno. Egli apre ad una vita fruttuosa, ad una conversione attenta di comunione alle persone e ci fa consapevoli dell'amore del dono di Dio, fiduciosi e ricchi di libertà. Così, noi entriamo nel "regime nuovo dello Spirito" che non si regola più sulla norma scritta, imposta a ciascuno dall'esterno, capace solo di richiedere fatica e sforzi infruttuosi di adesione. Lo Spirito anima il credente dell'interno e lo muove verso una fecondità spontanea e gioiosa. Così servire nello Spirito è mettersi a disposizione, essere attenti al vivere di qualcuno, scoprire le esigenze e le possibilità e le potenzialità. E servire nello Spirito è ricerca di creatività, di bellezza, di novità e di valori nascosti.
Giovanni. 8, 1-11 L'adultera
Ci troviamo di fronte ad un testo che ha tutte le caratteristiche del Vangelo di Luca, che si gioca sulla misericordiosa credenza in Dio ma è un testo che ritroviamo in Giovanni, collocato in una particolare situazione nel suo Vangelo. Gesù è in polemica continua con i conoscitori della Scrittura e con i maestri d'Israele: "La mia dottrina non è mia ma di colui che mi ha mandato" (7,16). E la discussione si sviluppa nel capitolo 7 sulla legge di Mosé: "Chi è il vero e autentico rivelatore di Dio?". E' Mosé che detta la legge perché sia rispettata. Certamente verrà il Cristo, il nuovo Mosè, e Lui ci dirà. E invece: "Chi è quest'uomo? Sappiamo di dove viene mentre del Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia" (7,27). È un susseguirsi di provocazioni, di attenzioni, di risposte che Gesù propone sino a quella: "Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in me" (7,37-38). Irritati dalla forza della predicazione e convinti che Gesù non viene da Dio, scribi e farisei organizzano una specie di tribunale pubblico all'aperto, una sfida che ritengono insuperabile. Gesù è arrivato nel tempio di mattina, presto. Egli siede e insegna. Gli portano una donna sorpresa in adulterio. La pongono nel mezzo e sfidano Gesù perché dia la sua sentenza, ricordando la legge di Mosé: "Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?" (8,5).L'evangelista parla del mattino, il tempo nuovo, il tempo della luce. E come se si dovesse attendere il tempo nuovo della creazione, il rinnovamento di un mondo malato che sa solo porsi col giudizio e con la condanna. E qui c'è ancora di più: si vuole strumentalizzare il male che dicono d'aver trovato per poter accusare anche Gesù. Gesù si china e comincia a scrivere col dito per terra. Nella Scrittura, nel libro dell'Esodo, si ricorda che Mosé sul Sinai ha ricevuto le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio" (31,18) e lo stesso si dice nel Deuteronomio (9,10). Ma se sul Sinai, Dio scrive sulla pietra, a Gerusalemme Gesù scrive sulla terra, sul mondo in cui viviamo, perché tutti lo possano leggere, ripensare, reinterpretare, maturare nella coscienza la misericordia di Dio. In fondo Gesù non rifiuta la legge di Mosé, anzi non entra neppure nel merito, ma di fronte al peccato ricorda a coloro che accusano che lo possono denunciare e cancellare con la loro giustizia solo se accettano di misurarsi in coscienza con la stessa legge. Non basta rispettare alla lettera le parole di Mosé. Bisogna essere consapevoli del peccato di tutti e bisogna aprire gli occhi e il cuore ad ogni persona che sbaglia, concedendole un progetto nuovo per il futuro: questo è il senso del perdono e della misericordia. A questo punto ognuno che ha in mano una pietra e vuole giudicare e condannare, è chiamato ad una verifica: «chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (8,7). Per procedere nella lapidazione, in caso di sentenza pronunciata dal giudice, è necessario che qualcuno, per primo, cominci a scagliare una prima pietra. E' il diritto-dovere che spetta al testimone sulla cui testimonianza si sono basati processo e condanna. Così Gesù, che fa appello a chi ritiene di avere diritto di iniziare l'esecuzione della sentenza di morte, richiama un'altra verità, ancora più importante, che è quella della coscienza di ciascuno e che nessuno conosce, tranne Dio. Poiché una testimonianza bugiarda, in coscienza, avrebbe reso omicida il testimone. Tutto è iniziato con la folla urlante, tutto finisce nella solitudine di un dialogo a due tra Gesù e la donna: gli altri sono spariti, forse anche la folla e i discepoli. A questo punto Gesù manifesta il significato della sua presenza nel mondo: è venuto a perdonare, consapevole del male che esiste nel cuore di ciascuno, ma solo il perdono può aprire prospettive sul futuro. Non si minimizza il male fatto, ma si ci si gioca sulla speranza. Si spezza il cerchio di morte che si stringe attorno alla donna. Sembra che di fronte al male non debbano esserci se non il giudizio, la condanna e il rifiuto della persona. Gesù, invece, apre orizzonti nuovi per il mondo, in cui tutti sono chiamati a camminare per cambiare e rendere migliore la terra. Qui dovrebbe iniziare una seria riflessione del come noi affrontiamo le persone che sbagliano e il male che incontriamo nel mondo. C'è troppa violenza che si giustifica con la giustizia e c'è poco perdono che si qualifica come debolezza. Per quanto Gesù, in 2000 anni, ci abbia richiamato al perdono, non abbiamo ancora capito e non abbiamo neppure iniziato un allenamento ed un apprendistato per maturarlo. Ma la storia degli ultimi 60 anni dovrebbe averci insegnato che si ricomincia la pace solo se si smette la vendetta, se si accetta il perdono, se si ricomincia a lavorare insieme. E' stato il nostro cammino con l'unità Europea, è stata l'esperienza di alcune guerre fratricide in Africa, è stato il cammino faticoso del crollo dell'impero Sovietico, l'indipendenza indiana, la pacificazione in Sud Africa. Non si studia abbastanza il significato della riconciliazione nella nostra storia.

 

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