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TESTO Commento su Luca 10,25-37

mons. Ilvo Corniglia

XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/07/2004)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 25un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

L'inno, riportato nella seconda lettura (Col 1,15-20), celebra con accenti entusiasti il primato, la centralità totalizzante di Cristo sul piano della creazione e su quello della redenzione. Due termini si richiamano l'un l'altro senza sosta dall'inizio alla fine dell'inno: "Lui" e "tutte le cose". Tutta la realtà ruota attorno a "Lui" (Cristo). Da "Lui" ha la sua origine, in "Lui" la sua ragion d'essere e il proprio significato. In "Lui" la meta ultima del proprio dinamismo. "Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia".Così inizia la prima enciclica di Giovanni Paolo II (4 marzo 1979). E' veramente così per noi? E' Lui, il Signore Gesù, che motiva, spiega, armonizza, raccoglie in unità le scelte più diverse e gli aspetti molteplici, e talora conflittuali, della nostra esistenza? "Se non fossi tuo, o mio Cristo, io sarei un uomo perduto" (s. Gregorio Nazianzeno). Il Papa nella sua enciclica afferma ancora che "Cristo si è unito a ogni uomo" e quindi "tutte le vie della Chiesa conducono all'uomo". I veri discepoli di Gesù sanno che il loro Maestro li chiama e li manda a servire l'uomo, ogni uomo. E' il suo insegnamento nel Vangelo di oggi.

C'è un segreto per "ereditare la vita eterna", cioè per realizzarsi pienamente e raggiungere la felicità perfetta? Questo segreto ce lo rivela la Parola di Dio. Eccolo!: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore...e il prossimo tuo come te stesso". Non basta però conoscere tale segreto. Bisogna attuare la Parola che richiama il legame indissolubile tra il comandamento dell'amore di Dio e il comandamento dell'amore del prossimo: "Fa' questo e vivrai". Ogni gesto che compio è autentico se è sempre un gesto di amore a Dio e nello stesso tempo al prossimo.

"E chi è il mio prossimo?". Gesù non dà una risposta teorica, ma racconta un fatto: dopo che è stato presentato l'atteggiamento di indifferenza da parte del sacerdote e del levita nei confronti dell'uomo gravemente ferito, ecco il gesto d'amore compiuto dal Samaritano, cioè uno straniero, un eretico per i Giudei. Il suo gesto manifesta alcune caratteristiche essenziali dell'amore richiesto da Gesù:

- Un amore universale. Il Samaritano soccorre chi gli era socialmente estraneo, anzi nemico. Un amore, quindi, che non discrimina, non esclude nessuno. Non guarda tanto al colore della pelle, al colore politico, religioso, ideologico; ma prende atto che ha a che fare con un uomo: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico". E' quest' "uomo" il protagonista, messo in scena fin dall'inizio e che successivamente entra in rapporto (mancato) col sacerdote e col levita, e poi in rapporto (realizzato) col Samaritano. E' semplicemente un uomo e come tale suscita compassione nel Samaritano.

- Un amore coraggioso, che non teme di rischiare e paga di persona. Se i primi due non si sono fermati, è per ragioni di purità rituale, ma anche per la paura, se indugiavano, di subire la stessa sorte del malcapitato.

- Un amore sommamente generoso, che non si accontenta di un pronto intervento, ma si preoccupa anche del futuro di quest'uomo e coinvolge altri (l'albergatore) nella cura di lui.

La chiave del comportamento del Samaritano si trova contenuta in due verbi: "lo vide e ne ebbe compassione".La compassione spiega e provoca il suo "farsi vicino" al ferito con tutte le azioni che esprimono il suo soccorso efficace e concreto. In effetti, il verbo "ebbe compassione" nella lingua greca del vangelo significa "sentirsi sconvolgere le viscere" ed è spesso usato per indicare la tenerezza di una madre nei confronti del figlio che soffre. Non si tratta perciò di una compassione emotiva e superficiale. Ma si intende un atteggiamento di profonda partecipazione e coinvolgimento. E' un immedesimarsi nella realtà dell'altro, un "patire-sentire con l'altro".

Ciò risalta ancor meglio se osserviamo che il comportamento del Samaritano si contrappone nettamente a quello dei due rappresentanti del culto. Tutti e tre arrivano, vedono. I primi due, però, passano oltre, mentre il terzo si avvicina, perché nel vedere è scattata in lui la compassione.

Nell'agire del Samaritano Gesù mostra come l'amore vero "decentra", nel senso che non considero più gli altri in relazione a me, ruotanti attorno a me; ma considero me in relazione agli altri. Non più io al centro dell'attenzione, ma l'altro.

L'esempio del Samaritano sottolinea il legame stretto fra l'amore di Dio e quello del prossimo: il culto separato dall'amore è sterile, anzi falso. E' ciò che non hanno capito il sacerdote e il levita. Sono rimasti prigionieri dei loro schemi mentali. Non hanno saputo cogliere la volontà di Dio che in quel momento esigeva il loro ritardo o assenza dagli atti di culto per offrirgli invece il culto vero (l'amore) in quel luogo profano e lontano dal tempio di Gerusalemme. Il culto autentico che invece è stato offerto dal Samaritano. L'uomo ferito era, infatti, il tempio di Dio.

Non hanno capito che il bene, l'amore non solo non ha frontiere; ma deve essere "inventato" con capacità creativa in tutte le situazioni più strane e imprevedibili in cui ognuno di noi può venire a trovarsi. Non hanno capito che l'amore non è una misura da applicare a tutti in modo uguale, come un cliché; ma ciascuno va amato in maniera unica e irripetibile.

E noi abbiamo capito? Anche noi tante volte siamo prigionieri di determinati atteggiamenti che ci bloccano e ci impediscono di amare prontamente il prossimo. A titolo di esempio ne richiamiamo tre:

- La fretta: tutti corrono. È tanto difficile incontrare qualcuno che ha tempo per te, che sa "perdere tempo" e sa "interrompere" la propria attività (come fa il Samaritano) per donarti tutta la sua attenzione. Che non ti dice: "Ho da fare!". Ma: "Ora ho da fare con te!". Non ti dice: "Ci mancavi anche tu...". Ma: "Ci sei soltanto tu!".

- La paura di un nuovo impegno, la paura di essere disturbati, la ricerca dei propri comodi, il desiderio di essere lasciati in pace...

- La ricerca di un alibi: gli alibi per "defilarci" siamo bravissimi a scoprirli, a inventarli, a costruirli.

Occorre, allora, una vigilanza continua. Noi siamo infatti istintivamente portati a prendere le distanze dall'altro, a rifiutarlo, perché vediamo nell'altro un possibile pericolo per la nostra autonomia, per la nostra libertà, per la nostra tranquillità.

Gesù ha ampiamente risposto alla domanda "Chi è il mio prossimo?". Il prossimo d'amare, con tutte le modalità concrete vissute dal Samaritano, è ogni persona che si trova nel bisogno. Ma Gesù, concludendo il suo racconto, rilancia una contro-domanda: "Chi dei tre è stato prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Lo scriba risponde: "Chi ha avuto compassione di lui". Letteralmente: colui che gli ha usato misericordia. Non importa tanto sapere chi è l'altro da amare, ma piuttosto decidere di fare un passo verso l'altro, farmi vicino, prossimo all'altro, "farmi l'altro". Come il Samaritano, come Gesù stesso, che in modo discreto in questa parabola parla di sé, raccontando la sua storia di totale solidarietà e condivisione con noi uomini feriti e malati. Una storia d'amore che in ogni Eucaristia viene ricordata e rivissuta: "Va' e anche tu fa' lo stesso".

Ecco, allora, in sintesi il messaggio sempre attuale di questa pagina di Vangelo: per avere la vita eterna occorre amare Dio con tutto il cuore e, inseparabilmente, amare il prossimo. In che modo? Lasciandomi guidare dalla compassione che mi rende "vicino" e solidale ad ogni uomo, pronto a "usargli misericordia". La via alla vita, ormai, è la compassione attiva e l'impegno misericordioso, che hanno in Gesù il modello e la sorgente. Gesù, samaritano misericordioso, oggi continua a soccorrere l'uomo che giace ferito ai margini della strada, simbolo di ogni uomo povero e bisognoso di aiuto, attraverso la nostra attenzione concreta. Gesù che, però, si nasconde anche nell'uomo ferito. In Lui riceve la nostra attenzione misericordiosa e mi supplica: "Non mi rifiutare. Sono Gesù!"

Lungo la settimana lascerò che Gesù ripeta anche a me personalmente, alla mia famiglia, alla mia comunità: "Fa' questo e vivrai!...Va' e anche tu fa' lo stesso".

 

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