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TESTO Servi del Dio della Vita

don Alberto Brignoli  

Battesimo del Signore (Anno A) (12/01/2014)

Vangelo: Mt 3,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Non ho alcun motivo di dubitare che chiunque, nella Chiesa, accetti di vivere in maniera attiva la propria testimonianza di fede in virtù del Battesimo che ha ricevuto, lo faccia con uno spirito di servizio e non certo di comando. Che poi riesca ad essere servo più che padrone, o umile discepolo più che protagonista, questo è un altro conto: quantomeno, le intenzioni sono buone. Ma cosa significa essere, nella Chiesa, "al servizio" di Dio e dei fratelli? Come si esercita la dimensione del servizio nella comunità dei credenti? Cosa significa, in definitiva, essere "servo"?

Se guardiamo alla Liturgia della Parola di quest'oggi, che nel Vangelo ci ricorda il momento in cui Gesù veniva battezzato da Giovanni nelle acque del Giordano, ci viene immediatamente da pensare che il Maestro dia una buona immagine di servo ai propri discepoli sottomettendosi a una pratica penitenziale a cui non era tenuto con un atteggiamento di profonda umiltà; anzi, con un senso tale di abbassamento e di umiliazione che provoca imbarazzo nello stesso Battista. Ma non credo sia questo gesto a rivelarci l'identità di Gesù come "servo" di Dio e degli uomini, quanto la proclamazione che una non meglio precisata voce dal cielo fa su di lui nel momento in cui compie questo gesto: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento".

Eppure, non si parla di "servo", ma di "Figlio amato". In realtà, il compiacimento posto da Dio Padre nei suoi confronti ci rimanda alla figura del "servo" di Dio; e lo fa attraverso il richiamo alla prima lettura che abbiamo ascoltato. Gli studiosi della Parola di Dio ci dicono che nella seconda parte del libro del Profeta Isaia, che va dal capitolo 40 al capitolo 55 della sua opera, ci sono almeno quattro canti, quattro composizioni poetiche, che descrivono la figura del "servo" di Dio, e quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura è il primo di questi quattro canti. L'ultimo, il più famoso, è quello che ascoltiamo nella prima lettura della Liturgia del venerdì santo, il cosiddetto "Canto del Servo Sofferente di Jahvhé". Poco importa, a noi, di sapere se questa figura del servo sia o no riconducibile a un personaggio della storia d'Israele. Di certo, riletta alla luce della vicenda di Gesù Cristo, non possiamo non applicarlo direttamente alla sua persona, così come la Chiesa ha fatto sin dai primi secoli.

Quello che più ci interessa è che questo primo canto ci descrive in maniera efficace che cosa Dio intenda dire quando parla di "servo" che egli sostiene e nel quale si compiace. E ci interessa, perché nella misura in cui il nostro essere cristiani, battezzati, ci porta a vivere la nostra testimonianza all'interno di una comunità con un atteggiamento di servizio, non possiamo certo prescindere da un testo come questo; ancor di più se pensiamo veramente che possa essere pienamente compiuto nella persona del Maestro.

Torniamo, quindi, alla domanda iniziale: cosa significa essere "servo"? Il testo di Isaia ci fa comprendere innanzitutto che essere a servizio di Dio e del suo Regno non è una trovata geniale dell'uomo, e non dipende neppure dalle sue buone qualità o dai propri meriti: si tratta di una libera scelta di Dio. È lui che lo sostiene, è lui che si compiace del suo servo, è lui che lo chiama per la giustizia, è lui che lo prende per mano, è lui che lo ha formato e stabilito nella sua missione. Questo per farci capire che l'iniziativa è sempre di Dio, e che qualsiasi annuncio di salvezza è opera delle sue mani. Se siamo servi, siamo - lo dice la parola stessa - strumenti nelle sue mani. Non siamo noi, quindi, i padroni della situazione: nemmeno quando ci appropriamo di attività e di opere che riteniamo frutto delle nostre fatiche perché vi abbiamo investito del tempo. Abbiamo coltivato, seminato, irrigato, ma - per dirla con Paolo - è sempre Dio che fa crescere. Non possiamo dirci autentici cristiani, testimoni del nostro Battesimo a servizio di una comunità, quando ci impadroniamo delle cose che facciamo, perché siamo gelosi che altri possano invadere il nostro campo, quasi appunto fosse nostro davvero. Se siamo servi, siamo a servizio: il padrone è un altro, il quale - pur potendo attuare in modo dispotico e tassativo - attua in maniera completamente opposta, ovvero con un atteggiamento di misericordia, per cui non si capisce come mai noi non dobbiamo essere come lui.

E che il Signore desidera da noi un atteggiamento di misericordia e di pazienza nei confronti delle situazioni che incontriamo, lo vediamo delineato pure nel brano di Isaia, quando il profeta dice in modo chiaro e inequivocabile le caratteristiche del comportamento del servo: non griderà... non spezzerà... non spegnerà... tutti verbi al negativo, detti per negare, per impedire al servo di avere atteggiamenti da padrone. L'immagine del bastone che non deve essere spezzato e del lumino che non deve essere spento sono particolarmente suggestive. Isaia parla ad esiliati in terra di Babilonia, dove i re e i signori mandavano i loro araldi per le piazze e per i villaggi a proclamare le sentenze di condanna (soprattutto capitale) agli abitanti di quei villaggi, anche per permettere, a chi volesse dire qualcosa a discapito degli imputati, di farlo. Qualora nessuno si fosse fatto avanti a difenderli, la condanna era firmata: l'araldo prendeva gli strumenti del suo pellegrinare (bastone e lanterna) e li distruggeva (spezzando e spegnendo) davanti all'imputato. Questo atteggiamento di condanna, da parte del servo, non deve più esistere: non c'è alcun uomo a cui non debba essere data, all'infinito, la possibilità di desistere dal male e cambiare vita. Questo è un diritto che va proclamato con verità: quanti atteggiamenti, invece, di falsi servi che annunciano il Vangelo col bastone e non con la dolcezza, per riprendere un'espressione usata pochi giorni fa da Papa Francesco. Un Vangelo imposto con forza, non risponde alla missione per cui è stato annunciato e proclamato da Gesù, il quale - è la terza parte di questo canto di Isaia - è venuto per liberare: per aprire gli occhi ai ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri, e dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.

Servi, allora, non padroni delle nostre comunità cristiane; uomini e donne di misericordia, non implacabili giudici esecutori di sentenze senza alcuna pietà; annunciatori di un Vangelo che libera, non che opprime. Tutto questo, in virtù della compiacenza e dell'elezione di Dio, che mediante il Battesimo ci ha chiamati ad essere suoi Figli. Non rinneghiamo, perciò, il nostro Battesimo con l'annuncio di un Vangelo che uccide, invece di donare vita.

 

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