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TESTO Commento su Isaia 9,1-4; Salmo 26; Prima Corinzi 1, 10-13.17; Matteo 4, 12-23

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

III Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/01/2014)

Vangelo: Is 9,1-4; Sal 26; 1 Cor 1, 10-13.17; Mt 4, 12-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,12-23

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

23Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

 

Forma breve (Mt 4,12-17)

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Mai forse come in questi tempi segnati, dalla complessità e dalla fatica del vivere, viene propizio il richiamo alla luce, opportunamente enfatizzata da tutta la liturgia della terza domenica per annum. «Il popolo che camminava nelle tenebre - dice Isaia - ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). E qual è la conseguenza di questo apparire della luce? « Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia...»(9,2). E il ritornello al salmo 26, che è un inno di liberazione e di gioia, ci fa cantare che il Signore è per ognuno di noi luce e salvezza. Ora, le tenebre e la luce sono, come tutti sappiamo, incompatibili: è la luce che fuga le tenebre, e quando calano le ombre, la luce, a poco a poco, si smorza fino a sparire del tutto. Questa è una condizione che tutti, senza eccezioni, conosciamo bene: quante volte, anche come famiglia, siamo passati dalla luce alle tenebre, o ora viviamo nelle tenebre più fitte, nel buio delle nostre insicurezze e delle nostre fatiche spesso sconosciute a chi ci vive accanto. Eppure, completamente buio non è mai: anche nelle tenebre più oscure c'è pur sempre un piccolo, addirittura impercettibile, intravedimento di luce capace di darci un breve istante di gioia: lo sapevano gli abitanti della terra di Zabulon, dei territori occupati dagli Assiri: schiavi, ma senza perdere quel residuo di luce e di dignità che dentro ognuno di noi continua a brillare come fuoco inestinguibile... E finalmente la luce, la liberazione!
Anche Giovanni - il battezzatore - dopo mesi e mesi di deserto, di fatiche, di dubbi un giorno incontra Gesù. In lui vede subito, con gli occhi del cuore allenati dalla fatica del vivere quotidiano - la grande luce della storia. E, prima di essere brutalmente gettato in carcere, indicando Lui, il Cristo, aveva esclamato: "È lui che deve diventare importante, io devo mettermi da parte: è lui che deve crescere, io devo diminuire". Un presentimento di una fine imminente? È certamente possibile; Giovanni sa che da quella prigione non uscirà più: la sua sorte sarà decisa dalla capricciosa figlia di Erode e dalla feroce raffinata crudeltà di Erodiade. Un presentimento, certo. Ma è soprattutto l'abitudine a vivere nell'interiorità, e a cercare nel buio del proprio essere quel fragile tenero spiraglio di luce. È la tensione continua, tipica del testimone e del profeta, a cercare e a seguire dentro e fuori di sé non "qualcosa", ma "qualcuno". Chi cerca e segue "qualcosa" sarà sempre inserito all'interno di un processo circolare, un avvitamento, per "avere di più": che significa aumentare la propria sfera d'influenza, il proprio potere, avere più beni, più ricchezza, più soddisfazioni, più eleganza, più benessere, più comodità... addirittura più cultura, se per cultura intendiamo un'accumulazione di saperi. Chi segue una persona procede in senso inverso: più ama qualcuno, più tende a "diminuire" per farle posto, per farla emergere come punto di riferimento e come modello. Quando si ama si perde l'attaccamento a se stessi, per avere solo l'altro nella mente e nel cuore. L'altro diventa luce per me, luce che fuga le tenebre. Dell'altro si cerca il bene, la gratificazione, la felicità. Ognuno è, per l'altro, luce gratuita. Al contrario, nell'attaccamento a se stessi si trova il nucleo centrale di tutte le idolatrie, perché la frontiera di ogni idolatria passa all'interno di noi stessi, condizionando ogni nostra scelta, proiettandoci in un buio sempre più profondo. Chi sceglie il Cristo, sceglie come Giovanni, una strada senza ritorno, ma una strada in cui, a poco a poco, la luce si fa presente, fino ad abbagliarci. E Giovanni sarà assassinato in prigione. E Gesù incomincerà la sua missione con le stesse parole del profeta:: « Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Uno diminuisce, l'altro cresce. Il mistero dell'Amore.
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono (18-22).
Seguirlo, sì, ma dove...? Dove andare? Se ci facciamo questa domanda, non seguiamo il Cristo. Non abbandoniamo le reti. Formati alla scuola dell'efficienza organizzativa, abbiamo spesso la tentazione di riproporre il medesimo modello alla nostra vita di fede. Noi vogliamo programmare, pianificare, planning si chiamano le nostre agende. Stasera "scuola di fede"... Domani "incontri di catechesi...". Domenica messa per gli sposi... E poi il pellegrinaggio mariano... E il passaggio della reliquia di don Bosco... Ma quando si è afferrati dall'Amore, contano ancora tutte queste cose? Addirittura ci manca anche il tempo per dire "Ti amo". Ti amo, e basta. A mia moglie non dico tutti i momenti "Ti voglio bene...". Lo sappiamo che ci vogliamo bene, senza ricorrere a residui adolescenziali. Accetto di essere amato, mi sento amato e altro non chiedo. Acconsento che l'Altro mi rubi quel tesoro che conservo nel cuore e forse nell'agenda planning: le reti, la barca, vedere il sole spuntare dal mare, le abitudini, i progetti... Eccomi, Signore. Sono qui.
Abbandonare le reti. " Certi sono presi da un sussulto di esitazione quando capiscono che Dio aspetta da loro un sì che impegna tutta l'esistenza. Lo Spirito Santo ha già deposto in noi il sì che diciamo a Dio. E Dio si è già preso cura della parte d'errore che quel sì può comportare. L'essenziale è di avere la chiara coscienza che abbiamo risposto a una chiamata di Cristo" (Frère Roger, di Taizé).
Se lo stile delle istituzioni è di raccogliere delle adesioni (...Ma basta con la tratta delle monache... ha detto papa Francesco...), lo stile del Cristo è quello di chiamarci per nome. Non di contarci, ma di seminare in ognuno di noi, indipendentemente dall'adesione ad una fede o a nessuna "fede", una speranza o una nostalgia. Non ci chiede di avere la stoffa dell'eroe, né forse la vocazione del santo, e spesso non lascia neppure intravedere uno scopo, né un esito, alla nostra povera testimonianza, sì che la nostra solitudine appare ancora più profonda, e la notte ancora più buia. Ma buio, completamente, non è mai... Sappiamo che Lui non ci carica dei fardello della legge, non ci vuole nell'angoscia del dover essere, ma nella gioia, e nella luce, della libertà. Gesù - che ci chiede dolcemente di abbandonare le reti - non è la capricciosa figlia di Erode.
LUIGI GHIA - Direttore della rivista dei CPM "Famiglia Domani"
Traccia per la revisione di vita
- Come coppia e famiglia siamo davvero "uditori" della Parola oppure essa passa su di noi senza lasciare traccia?

- Viviamo in uno spirito di comunione autentica non solo all'interno della nostra famiglia ma con tutti coloro che camminano con noi? Che cosa possiamo fare per recuperare questa "koinonia", questa comunione, se l'avessimo smarrita?

- Che cosa significa per la nostra famiglia seguire il Cristo?

 

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