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mons. Gianfranco Poma

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III Domenica di Avvento (Anno A) - Gaudete (15/12/2013)

Vangelo: Mt 11,2-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,2-11

In quel tempo, 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,

davanti a te egli preparerà la tua via.

11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

La Liturgia, in questo tempo dell'Avvento, ci presenta la figura di Giovanni il Battista come l'icona dell'uomo immerso nei problemi agitati del suo tempo, così cosciente dell'impotenza delle sole forze umane per affrontarli, da aspettare l'intervento di un Messia, inviato di Dio, ormai imminente, che risolverà alla radice i mali che affliggono l'umanità.

Così la Liturgia ci stimola ad essere presenti nel nostro mondo, partecipi della vita degli uomini di oggi, coscienti della insufficienza della potenza raggiunta dall'uomo moderno per dare una risposta ai problemi che si ripropongono sempre nuovi, per una vita bella e felice. Riascoltando la voce di Giovanni, ci spinge a lasciar emergere il bisogno di Dio che sorge dal profondo della nostra umanità e ad aprirci alla certezza che lui viene incontro a noi per liberarci.

Ma chi è questo Dio che noi desideriamo? E come viene a liberarci?

Giovanni, figlio del popolo d'Israele, ha un senso morale così vivo che vedendo il male che lo circonda, è certo dell'intervento prossimo di Dio, come Colui che denuncia il male, chiede ai peccatori la conversione, distrugge definitivamente i cattivi per iniziare un nuovo mondo (Matt.3,4-12).

Forse è proprio questo il Dio che pure noi continuiamo a pensare, ad aspettare, ed è questo anche il modo con il quale pensiamo che egli debba intervenire per liberarci.

Ma nell'attesa di Giovanni "si fa presente Gesù" per farsi battezzare da Lui. Giovanni aspetta l'intervento di un Dio che giudichi, condanni...: lo sorprende la venuta di Uno che discende, condivide la situazione debole e peccatrice di tutti gli uomini, non dice una parola di condanna. "Vorrebbe impedirgli di farsi battezzare da lui, ma Gesù gli dice: ‘Lascia che sia così...bisogna che si compia ogni giustizia'. Allora glielo permise."

Giovanni aspetta l'intervento di un Dio potente che giudichi, castighi, faccia un mondo migliore: rimane sconcertato, vorrebbe opporsi di fronte ad Uno che lo spiazza. Il cielo si apre non perché cadano i fulmini che annientano gli uomini peccatori, ma perché scenda lo Spirito che ama l'uomo fragile, che si lascia amare: Gesù.

E Giovanni sconcertato, "permette" a Gesù di scendere nell'acqua: permette a Dio di essere l'Amore che scende.

Giovanni "ha permesso", ma anche per lui è lungo il cammino per aprire il cuore ad un Dio che sconvolge le sue attese, i suoi pensieri, che discende, non punisce, ma solo ama.

E noi quale Dio aspettiamo per la nostra vita, per il nostro mondo? Siamo disposti a scendere nel profondo del nostro cuore, delle nostre attese, a lasciare che sia veramente Lui il Dio della nostra vita?

Il brano del Vangelo di Matteo che oggi leggiamo (Matt.11,2-11) ci presenta Giovanni che, ormai in carcere, manda una delegazione a Gesù per porgli la domanda che più gli sta a cuore, dalla quale dipende la scelta fondamentale della sua vita. Matteo quando scrive, nella domanda di Giovanni, in quel momento di forte attesa messianica, riassume quella di tutto il popolo di Israele (oggi la nostra, quando non diamo per scontata la nostra fede): "Sei tu ‘Colui che viene' o dobbiamo aspettare un altro?".

Giovanni è in carcere: trionfano i dominatori potenti, la sua denuncia dei mali del suo tempo sembra fallita, l'attesa dell'intervento potente e risolutivo del giudizio di Dio delusa. È fallita la sua missione, la sua vita tutta donata alla fedeltà a Dio?

Dal profondo della situazione in cui si trova, ha "sentito le opere del Messia", opere di un Messia la cui logica è diversa di quella che lui pensa.

La risposta di Gesù fa dei messaggeri di Giovanni degli annunciatori della sua novità presso il suo popolo: "Andate ed annunciate a Giovanni ciò che voi udite e vedete...". Non si tratta di rispondere ai suoi dubbi con una dimostrazione teorica, ma con la testimonianza di quello che ascoltano e vedono. Gesù riprende i motivi profetici dell'attesa dei tempi messianici per mostrare che essi si realizzano, in Galilea, dall'inizio del suo ministero: riassume così il significato della sua presenza nel mondo. "Andate ed annunciate a Giovanni: i ciechi non sono più tali, ora vedono (9,27-31); gli storpi adesso camminano (9,2-8); i lebbrosi adesso hanno la pelle risanata (8,1-4); i sordi riescono a sentire (9,32-33); i morti tornano a vivere (9,18-19.23-26). I poveri sono felici perché Dio è con loro: a loro è donata una vita piena, degnamente umana".

Matteo non narra la reazione di Giovanni alla risposta di Gesù: forse ha accentuato la sua perplessità. Infatti dice: "Beato chi non troverà uno scandalo in me". Forse, Giovanni, con i suoi dubbi, la sua angoscia, è a rischio di trovare un ostacolo in Gesù, testimone di un Dio che discende, com-patisce, siede a mensa con i peccatori... Il Vangelo provoca noi, oggi: anche noi, forse, continuiamo ad attendere un Messia "potente", che cambi il mondo, e non accogliamo Colui che con il suo Amore, se ci lasciamo amare, cambia il nostro cuore e ci dona di saper vedere e gustare la bellezza della nostra vita.

Adesso Gesù si rivolge alle folle e parla di Giovanni: Matteo scrive per coloro che, al suo tempo erano rimasti attaccati a Giovanni, ritenendolo annunciatore di Dio più autorevole di Gesù. Scrive per noi, oggi, che rischiamo più che mai di essere, inconsciamente, più discepoli di Giovanni che di Gesù.

"Che cosa siete andati a vedere nel deserto...?" Gesù traccia l'elogio di Giovanni come di un uomo coraggioso e forte, che non teme i potenti; non raffinato ed elegante come i cortigiani, adulatori alla ricerca di favori.

"Che cosa siete andati a vedere?" E Gesù vede in lui un profeta in linea con quelli che hanno guidato il popolo nel cammino della storia e gli riconosce un ruolo particolare, che supera quello dei profeti. Nella citazione dell'A.Testamento che Matteo riporta per interpretare la sua missione sottolinea la relazione di Giovanni con Gesù: "Dio manda il suo annunciatore per preparare la ‘tua' via. Giovanni è colui che più di tutti percepisce la fragilità dell'uomo, con forza denuncia la sua impotenza a salvarsi da solo e quindi attende l'intervento potente di Dio: ma è anche colui che più di tutti è chiamato a lasciare che Dio intervenga a modo suo. A Giovanni è chiesta la fede di fronte a Colui che viene amando la fragilità dell'uomo, facendosi servo, piccolo, senza fare violenza alla sua creatura per liberarla con il suo Amore perché l'uomo sperimenti che la salvezza è l'inizio una vita rinnovata dall'Amore.

A Giovanni, (a noi, oggi) è richiesto il coraggio della fede: non aspettare un Dio potente che salva Israele, ma non scandalizzarci di un Dio fragile che amandoci, dà a noi la potenza nuova dell'Amore.

A Giovanni (e a noi) è rivolta la rivelazione finale: "In verità vi dico: non è stato generato tra i nati da donna uno più grande di Giovanni il Battista, ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui". È grande Giovanni, nel suo senso etico, nel suo aspirare ad una vita giusta, nel suo logico aspirare a Dio solo: ma alla grandezza di Giovanni, l'uomo che aspetta, risponde Gesù, il più piccolo nel Regno di Dio. Perché l'uomo sia grande deve lasciare spazio a Dio: accettare la propria fragilità, accogliere l'Amore di Dio che irrompe nella carne umana, accettare Gesù, diventare piccolo con lui, per accogliere come dono ciò che davvero fa grande l'uomo.

 

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