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TESTO Chi fa la volontà del Padre?

don Roberto Rossi  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (29/09/2002)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Non chi dice belle parole, chi fa discorsi, chi si ferma alla teoria, ma chi opera nella vita e porta avanti, pur con tutte le sue difficoltà, i propri impegni, azioni concrete, sacrifici, amore costruttivo.

Gesù azzarda persino un confronto con i pubblicani e le prostitute. Questi non fanno discorsi, non si sentono a posto, sono giudicati ed emarginati, disprezzati, ma nella misura in cui si aprono alla fiducia, alla conversione, all'amore di Dio possono meritare il regno di Dio prima di tanti altri.

Questo è l'insegnamento della parabola dei due figli. In un altro testo Gesù dirà: "Non chi dice 'Signore Signore' ma chi fa la volontà del Padre mio, sarà mio discepolo".

Non è sufficiente neanche fermarsi alla preghiera. La preghiera è per aiutarci a vivere; la preghiera, nella misura in cui è una forte esperienza di Dio, ci spinge a cercare la sua volontà, ci spinge a cercare il prossimo per amarlo e servirlo in maniera molto concreta.

Occorre esaminare la nostra giornata e vedere in quale misura ci fermiamo ai discorsi, ai bei pensieri, ai propositi, senza poi mettere in pratica, senza cambiare la vita. Questo può capitare anche in chiesa: desideriamo "sentire" una bella messa (purché si diano da fare gli altri), "ascoltare" una bella predica... ma cosa serve anche una bella predica, se poi in me non cambia niente, se non mi metto sulla strada del mettere in pratica, e del mettere in pratica non ciò che mi pare, ma ciò che mi indica con molta chiarezza la Parola di Dio e il magistero della Chiesa?

Come sempre quando si tratta di vivere il vangelo, possiamo guardare a Gesù. Lui è il modello. Lui può dire: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore". Lui che ha fatto della volontà del Padre la passione unica della sua vita, sempre. Lui che ha saputo pregare nell'orto degli ulivi e ha saputo santificare l'ora suprema della sua esistenza, l'ora del sacrificio e della morte, quando dice: "Padre, se possibile allontana da me questo calice (questa sofferenza), ma non la mia, ma la tua volontà sia fatta".

Poteva sembrare che quella morte fosse la fine e invece diventa l'inizio di tutto: il seme che caduto in terra porta molto frutto, la vita che vince morte, il Figlio di Dio che salva l'umanità e l'universo intero, il mondo che è rinnovato radicalmente dalla forza della risurrezione del Salvatore.

Questo è il frutto del "fare la volontà del Padre". Perché la volontà del Padre è il miglior bene per noi; è ciò che di più bello e di più grande il Padre buono ha pensato per ciascuno di noi, per la Chiesa, per l'umanità. E nessuno più di Lui vuole per noi la vita, la gioia, la pace, tutto ciò che di bello e di grande possiamo desiderare.

Possiamo rileggere le espressioni profonde che l'apostolo Paolo scrive ai Filippesi, nell'inno a Cristo, morto e risorto: "Non fate nulla per spirito di rivalità o di vanagloria, ma ognuno di noi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma piuttosto quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". E Paolo quando parla di Gesù parte con espressioni grandiose, quasi non si ferma più. "Egli non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, direbbe servo, uomo come tutti, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce... Per questo Dio lo ha esaltato (lo ha risuscitato) e lo ha costituito Salvatore e Signori di tutti".

Lode a Cristo per tutto questo. Ma l'apostolo aveva incominciato con un discorso molto concreto: "abbiate in voi gli stessi sentimenti che ha avuto Gesù...". Quali sentimenti? L'umiltà, il servizio, il farsi uguale a tutti, il più piccolo di tutti, l'umiliazione della condanna (lui l'innocente, il santo!) e della morte data ai peggiori dei delinquenti, l'offerta della sua vita per tutti, l'amore, il perdono, l'affidamento pieno all'amore del Padre.


Anche noi nel Padre Nostro diciamo: "Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra".

Non devono restare parole. Ma ci impegneremo a vivere secondo il Signore e con un amore grande verso il prossimo nella nostra famiglia, nel lavoro, nella scuola, nel tempo libero, nelle varie espressioni o situazioni della nostra vita. Questo vale anche per la vitalità della nostra parrocchia. Ci vogliono le riunioni, gli incontri, i discorsi per la formazione, ma poi chi costruisce la vita della parrocchia sono in concreto i catechisti, gli animatori che si mettono a servizio dei ragazzi e delle famiglie, chi si prende cura dei poveri, chi va a visitare i malati e gli anziani, chi è attivo nella liturgia, chi, non solo cerca di non sporcare, ma pulisce la chiesa e gli ambienti, chi rende bella e accogliente la casa della grande famiglia parrocchiale, chi offre la propria disponibilità per qualche attività, perché di possibilità ne abbiamo tante. Altrimenti sono parole, e delle parole non ce ne facciamo niente, quando ci sono delle necessità concrete per il regno di Dio e per il bene delle persone.

Che il Signore ci aiuti ad avere il pudore delle parole, ma a esprimere il nostro amore nei fatti, nella testimonianza, nel rinnovamento della nostra vita secondo l'esempio di Gesù stesso.

"E' meglio essere cristiani senza dirlo, che dirlo senza esserlo", diceva il martire S. Ignazio di Antiochia.

 

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