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TESTO Il miracolo più grande

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Avvento (Anno A) (19/12/2004)

Vangelo: Mt 1,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 1,18-24

18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:

a lui sarà dato il nome di Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Pretendere che Dio realizzi un prodigio o un intervento sconvolgente o di straordinaria grandezza equivale in fin dei conti a mancare di fede, giacché in questi casi, mentre si è ben lontani dal sottomettersi con filiale fiducia alla volontà divina e alla provvidenza del Padre, si pongono al Signore delle condizioni, più o meno alla stregua di una contrattazione: "Fai questo prodigio e io crederò in te". La fede, cioè l'abbandono fiducioso alla volontà divina in tutte le circostanze, è subordinata così alla spettacolarità di un prodigio. Tale atteggiamento viene definito dalla Scrittura come "tentare il Signore" e dalla Medesima viene spesso riprovato: a coloro che in una certa occasione pretendono un "segno" da parte sua, Gesù risponde che verrà dato loro solamente il "segno di Giona" (la sua resurrezione) e al demonio che nel deserto lo sta tentando cita un passo esplicito della Bibbia: "Non tenterai il Signore Dio tuo".

Ecco perché adesso Acaz (I Lettura) sta rifiutando di chiedere un segno da Dio: non vuole colpevolizzarsi di carenza o lacuna nella fede e intende mantenersi ben lungi dal chiedere un intervento soprannaturale che costringerebbe Dio secondo aspettative umane; ciò nondimeno occorre riflettere sul fatto che questa volta Acaz si sbaglia: Isaia non lo sta incitando a chiedere un miracolo, bensì un "qualsiasi segno anche dalle profondità della terra" vale a dire lo sta invitando a chiederGli un segno ordinario che attesti la presenza del Signore. Per dirla in termini di generale semplicità, gli chiede di avere fiducia in Dio e non nei suoi progetti personali.

Occorre poi ricordare che l'episodio si svolge nell'ambito della guerra siro-efraimita quando, nel volersi alleare con gli Assiri, Acaz dimentica più volte il suo Dio per rivolgersi agli idoli, ed ecco perché il particolare invito alla fede nel Signore da parte di Isaia si fa necessario: "Chiedi un segno = credi nel Signore e in nessun altro!"

Provvederà comunque Dio stesso a dare un segno ad Acaz: "La vergine partorirà e concepirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele"; il testo si riferisce immediatamente al re Ezechia, tuttavia è stato provato che le sue intenzioni sono anche messianiche: si parla qui di Gesù Cristo, il Salvatore Messia nato dalla Vergine Maria.

E infatti a noi non serve altro che questo "segno": il Dio-con-noi, vale a dire Dio che ci raggiunge con una profondità tale da assumere Egli medesimo la nostra storia e abbracciare perfino la condizione dell'infanzia. Quale altro miracolo o prodigio è più interessante se non il fatto che Dio si fa uomo, anzi Bambino, per la salvezza del mondo? E' un evento straordinario del quale non possiamo non sentirci orgogliosi come cristiani e in vista de quale non ci si può non predisporre nell'esultanza e nell'attesa. Attorno alla grotta di Betlemme noi contempleremo la divinità che rinuncia a se stessa per noi, per abbracciare con coraggio la semplicità e la mansuetudine, e che mette a rischio perfino la sua incolumità fisica, se è vero che questo Bambino dovrà fuggire alla cattiveria di Erode e vivere in terra straniera e idolatrica (Egitto), lui che avrebbe potuto sbaragliare con un sol cenno tutti i suoi avversari!

Il fatto che Dio venga come Bambino a condividere con l'uomo tutto l'esperibile, per di più nella condizione di estrema povertà e umiliazione è già in se stesso sufficiente; ma nella frase che l'Angelo rivolge a Giuseppe vi è un ulteriore dato di fatto: "tu lo chiamerai Gesù", che significa Salvatore.

Dio ci raggiunge quindi per salvare l'uomo dalla più deplorevole delle condizioni per la quale si autolesiona e distrugge se stesso, mancando all'appuntamento con la propria realizzazione. Il peccato. Che cosa infatti corrompe l'uomo, in definitiva se non la mancanza del suo rapporto con Dio, la cui conseguenza logica è lo smarrimento di se stesso nella molteplicità delle corruzioni mondane, nonché l'incapacità di relazionarsi ai suoi simili? Che cosa se non il peccato è causa di perdizione in quanto mancanza di orientamento e perdita dei criteri giusti di umana convivenza? In Cristo Dio ci offre un orientamento CONCRETO di vita secondo la reale prospettiva umana che si realizza solo nella comunione con Dio; e in Cristo Bambino tale orientamento si rende palese ed effettivo nella nascita e nella crescita. Insomma Dio viene a salvarci anche per il fatto che si propone all'uomo quale orientamento speciale nell'assumere la via umana per intero. E questo è per noi il miracolo più che sufficiente, anzi il miracolo più grande.

Che Dio infatti possa abbattere montagne, smuovere interi popoli, sconvolgere gli eventi cosmici è infdatti credenza di tutte le religioni, ma che Dio possa rendersi Egli stesso uomo e perfino Infante per relazionare a tut per tu con l'umanità, questo è privilegio che appartiene solo a noi.

 

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