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TESTO Commento su Isaia 35,1-10; Romani 11,25-36; Matteo 11,2-15

don Raffaello Ciccone  

III domenica T. Avvento (Anno A) (01/12/2013)

Vangelo: Is 35,1-10; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,2-15

2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,

davanti a te egli preparerà la tua via.

11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. 15Chi ha orecchi, ascolti!

Is 35,1-10
Il profeta ha davanti agli occhi la desolazione dell'esilio e ancor più la desolazione di Gerusalemme e del monte Sion che è stato diroccato e distrutto. Ma agli occhi del profeta sorge un nuovo mondo, pieno di luce e di speranza. Finalmente si capovolgono le realtà di ingiustizia e di violenza. Finalmente Dio mette mano alla storia e riprende a dare speranza al suo popolo deportato. Il capitolo precedente (34) racconta l'intervento di Dio come un combattente vincitore contro Edom, il paese che nella distruzione di Gerusalemme si è affiancato come alleato ai Babilonesi. Il linguaggio drammatico della distruzione e la desolazione li si possono paragonare alle sofferenze della sconfitta di Israele. In questo capitolo si intravede la salvezza che Dio porta: le immagini sono splendide, cariche di poesia e di sogno, ma anche di progetti, di sviluppo, di fecondità, di gioia e di benessere.
Nella prima parte il mondo viene rigenerato come un giardino, quasi un paradiso terrestre e i luoghi nominati: Libano, Carmelo e Saron sono luoghi splendidi e i più rigogliosi nel Medio Oriente. Dio mostra la sua potenza sul mondo che viene rigenerato. Ma la preoccupazione prima è per chi abiterà questa magnifica casa rinnovata.
Scompaiono le infermità fisiche e spirituali: "Guariranno i ciechi e i sordi, lo zoppo e il muto festeggeranno nuovamente in pienezza il tempo" (il numero 4 ricorda l'universalità della terra).
Nella bellezza della rinascita è fondamentale l'acqua, come nel paradiso terrestre. E l'acqua trasformerà il deserto, ridarà fecondità al mondo e gioia di vivere su queste terre, un tempo, desolate. Sarà un mondo abitato, e non deserto, percorso da strade senza pericoli. Neanche gli inesperti si potranno perdere. La via santa, piana e diritta, è simile a quelle che anticamente sono state tracciate davanti ai templi antichi per le processioni che collegano tra loro: su queste strade, in processione, i devoti portano le statue dei loro dei.
Ci sarà gioia piena e ci si richiama all'uso di particolari culti di portare corone di fiori sul capo: "felicità perenne splenderà sul loro capo".
Rm 11,25-36
Paolo sente fortemente il dramma del suo popolo, smarrito di fronte alla presenza e alla Parola di Gesù. Non riesce a trovare un senso, soprattutto dopo le innumerevoli garanzie che il Signore ha dato al suo popolo, e ricorda i due testi di Isaia: " Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà l'empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro, quando distruggerò i loro peccati." (59,20-21; 27,9). Da buon ebreo sa che tutti attendono e sperano di poter essere liberati e si sentono addirittura già nell'orizzonte di questa alba nuova. Eppure l'esperienza di Paolo nella sua missione gli fa trovare molta più attenzione ed entusiasmo tra i pagani. Si stupisce di tutto questo, ma una intuizione sul comportamento degli ebrei fa capire che una conversione in massa dei suoi connazionali avrebbe bloccato qualunque apertura sul mondo dei lontani e dei pagani. Paolo è veramente convinto di questa speranza universale, ma ha fatto esperienza dei contrasti sorti anche tra ebrei cristiani. In particolare, ricorda le tensioni che ha dovuto affrontare, compreso il dibattito e il confronto nel Concilio di Gerusalemme degli anni 50, quando ha discusso con tutta la Comunità cristiana di Gerusalemme, riunita con gli apostoli, sull'apertura della fede di Gesù al mondo dei pagani. Si è aperta, certamente, la grande prospettiva di un messaggio a tutti gli uomini e le donne. Ma il popolo d'Israele si è irrigidito sempre di più.
Il progetto di Dio è sviluppare una coscienza responsabile, è far scoprire un itinerario di ricerca, di umiltà e di misericordia con cui Dio stesso, rispettando le persone, sa accogliere.
L'invito ai cristiani, che provengono dal paganesimo, incoraggia a mantenere grande comprensione e rispetto per un popolo fedele, nonostante le fatiche e le sofferenze, la soggezione e la ricerca di una libertà conculcata. Il Signore sa aiutare e sa ospitare.
Mt 11,2-15
Matteo sta verificando l'adesione a Gesù, dopo aver inviato gli apostoli per la loro prima missione (cap 10). Così i due successivi capitoli svelano le reazioni del mondo attorno a Gesù.
L'evangelista inizia raccontando:
- il nuovo rapporto con Giovanni Battista in carcere e la sua crisi di fronte all'operato di Gesù (11,1-19),

- il rifiuto delle città delle sponde del lago (11,20-24) e l'accoglienza dei piccoli (11,25-30),

- le controversie con i farisei (12,1-45).
In conclusione esiste una nuova famiglia e i veri parenti di Gesù sono i discepoli (12,46-50).
Giovanni Battista è in carcere a Macheronte, una fortezza di Erode; trattato però con rispetto.
Riceve i suoi discepoli e parla con loro. Perciò può essere informato di quello che si sta sviluppando attorno a Gesù. Egli è particolarmente attento a tutto ciò che il Messia fa e dice.
Tuttavia la prigione, la solitudine, il silenzio sul tempo nuovo pesano su Giovanni, il veggente e grande profeta, che ha preannunciato eventi drammatici e ha garantito giudizi e chiarezze che restano lettera morta. Non sa nulla e non avviene nulla della giustizia che deve esplodere, del giudizio che finalmente chiarisca il bene e il male nei fatti e nei meriti, della liberazione che lui stesso attende poiché è stato fedele alla sua vocazione. Il Dio, di cui ora sente parlare, accoglie tutti, anzi, in particolare, i peccatori. Perciò tramonta il rendiconto, anzi addirittura non esiste. Nasce il dubbio sull'aver sbagliato persona più che sull'aver sbagliato il messaggio. Giovanni è sicuro della propria analisi e sicuro della giustizia di Dio. Non si sente più sicuro su questo Messia, in cui pure ha creduto. Perché questo Messia non opera per un mondo giusto?
Giovanni è però coraggioso ed onesto anche di fronte ai suoi dubbi, mentre anche di fronte alle critiche dei suoi stessi discepoli contro Gesù che criticano ferocemente. Gesù che ha un successo sempre crescente tra la gente, non si muove verso Giovanni. I suoi discepoli torturano Giovanni con le loro gelosie e le loro recriminazioni. "Non lo difende, non lo libera" pensano. Giovanni invia i discepoli ed essi volentieri vanno ad interrogare Gesù poiché tutti sono turbati, con infinite pretese. Gesù risponde con alcune profezie di Isaia. Elenca sei novità per il cuore di Giovanni e per il cuore del suo popolo. Ma le 6 opere sono sufficienti per sconvolgere il ritmo dei viventi, ma ancora insufficienti per i mali del mondo che sono molti di più e che hanno bisogno di essere sanati, ogni giorno, all'infinito, fino alla fine. Per questo Gesù stesso sa di dover egli stesso cominciare e poi lasciare, riconoscendo intelligenza e spazio a chi, dopo di lui, avrebbe seguito il suo progetto come Figlio del Regno.
Quando i discepoli di Giovanni se ne vanno, Gesù, con nostalgia e commozione, li guarda mentre si allontanano e pensa intensamente a Giovanni. Sa quanto sia drammatico vivere nell'attesa di una liberazione, fortemente sognata e garantita. Gesù sa: Giovanni non si è risparmiato per nulla fino a rischiare il suo bene prezioso che è la sua libertà e lo sviluppo della sua vocazione. E prega per lui il Padre e lo ringrazia profondamente nel suo cuore, manifestando ciò che ha sempre saputo: Giovanni è il vero profeta che anticipa la venuta del Messia. Non è stato un opportunista, non un corrotto, non ha pensato ai propri interessi, ma si è votato completamente al Dio d'Israele che, in quel momento, è misterioso, come spesso nella storia d'Israele. Gesù conosce questa sofferenza, perché la sente anche Lui sulla sua pelle, ma apre ai suoi dicendo: "Rileggete l'intervento di Dio, filtrando la sua attività nella linea della misericordia, dell'accoglienza, del dono, del ricupero e non in quello del giudizio, o della paura o del rifiuto: "Giovanni è il più grande tra i nati di donna, ma resta sulla soglia del mistero: a voi è dato di entrare nel Regno che è quello della presenza della misericordia profonda". «E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!» (6). La beatitudine gioca anche oggi con noi e con la nostra sensibilità di credenti.
Ci arrischiamo spesso di dire di aver capito e crediamo di poter decidere, al posto di Dio, il ciò che Dio dovrebbe o non dovrebbe fare. Ci sembra di avere tutte le carte in regola per poterci pronunciare, ma poi le cose vanno in modo diverso. E noi ci troviamo spiazzati, delusi, perché abbiamo creduto di aver ben capito, ben soppesato. Siamo stati sulla strada giusta. Ma l'itinerario ci porta lontano. In fondo, spesso, pretendiamo di avere la vera intelligenza di Dio per sapere tutto il giusto. Ma poi ci scontriamo con le nostre ideologie e le nostre impazienze.
E ci riesce sempre molto difficile dover fare i conti con la pazienza e la misericordia di Dio.

 

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