TESTO Beato te, ladrone...
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (24/11/2013)
Vangelo: Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Chiunque regga le sorti di una nazione, usa quella che - dai tempi di Machiavelli - è chiamata la "ragion di stato", ossia quell'insieme di strategie (spesso accompagnate da azioni segrete) attuate al fine di conseguire gli obiettivi del paese in campo politico, economico, sociale e anche militare. Solitamente, la ragion di stato non guarda in faccia a nessuno: rispettando quasi per nulla i diritti individuali e passando sopra la dignità dei singoli, essa considera il fine da conseguire sicuramente più importante dei metodi utilizzati, i quali, appunto, vengono in tutto e per tutto giustificati purché sia raggiunto l'obiettivo prefissato. Condivisibile o no, di certo nessuno può negare l'efficacia e l'immediatezza di una strategia simile; non si perde tempo con questioni quali il rispetto e la dignità dei singoli esseri umani, ritenute "di lana caprina", se paragonate all'accrescimento e al bene della nazione, che alla fine portano giovamento a tutti i suoi membri, quindi anche ai singoli. Se poi, quando si parla d'individualità da occultare, si prendono in considerazione gli elementi problematici della società, quelli che definiamo "disadattati sociali" o "potenzialmente delinquenti", allora ancor di più la ragion di stato va attuata con ogni sforzo, sempre - ovviamente - in vista del bene comune.
Ma nel nostro Regno dei Cieli, o per lo meno con il nostro Re, la ragion di stato proprio non esiste: non è strategia del suo ordinamento socio-politico. Anzi, mi viene quasi da pensare che la "ratio", la "ragione" che viene utilizzata nel Regno che Gesù è venuto ad annunciare e di cui egli stesso è Re, è diametralmente opposta alla ragion di stato. Il suo è il Regno del Popolo, un popolo fatto di tanti singoli elementi e al tempo stesso di una sola entità, l'umanità, che ha come unico obiettivo quello di essere da lui salvata e redenta. Questo Regno del Popolo non conosce leggi selettive che cercano di emarginare o di eliminare dal suo interno quanti faticano a stare allineati alle direttive che il Re dà ai suoi sudditi: è un Regno in cui tutti e ognuno continuano ad avere le stesse opportunità, gli stessi diritti e la stessa dignità, indipendentemente dalla bontà o meno dei loro comportamenti.
"Ma un Regno così non può stare in piedi! Non è più un Regno, se non ci sono leggi che regolino i comportamenti! È un caos, è la totale anarchia!". Beh, forse il Regno di Dio un po' "caotico" lo è veramente, e credo anche volutamente: ci entra davvero di tutto! Ma non per questo significa che non abbia leggi e norme di comportamento. È ben chiaro a tutti che per dirci figli di quel Re che tra l'altro è pure Padre e fratello nostro, dobbiamo comportarci come lui desidera: ma qualora questo non capitasse (e di solito è così), nessuno viene sbattuto fuori. Perché a nessuno di noi, fino all'ultimo istante della nostra vita, è negato l'accesso e la permanenza nel Regno dei Cieli; perché i nostri nomi sono iscritti all'anagrafe del Regno dei Cieli, e ben difficilmente potranno esserne cancellati.
Ne sa qualcosa Disma (così lo chiama il Vangelo apocrifo di Nicodemo), uno dei malfattori che fu appeso alla croce con Gesù. La vita forse non era stata benevola con lui; di certo, la fortuna non l'aveva assistito, nel momento in cui aveva scelto di vivere di espedienti. Perché molti malfattori la fanno franca, per buona parte della loro vita: e anche se vengono presi, hanno accumulato talmente tante ricchezze che possono permettersi di pretendere di non essere nemmeno rinviati a giudizio. Se questi due sono finiti lì, sulla croce, di certo non appartenevano alla categoria dei ladri col colletto bianco, cioè quelli che conoscono bene la ragione di stato e la usano comunque sempre a loro favore.
No, questi due no: erano proprio due poveracci, due disgraziati, cui nessuno certo vuole negare le loro responsabilità. Non possiamo certo dire che fossero buoni: uno, poi, porta la propria cattiveria sulle spalle fino in fondo alla propria vita, e la svuota addosso al Cristo con tutta la sua rabbia, dandogli addirittura la colpa per la sua mancata salvezza. Ma il secondo no, non era così: buono forse non lo è mai stato, ma se aveva vissuto nell'infamia, ha quantomeno avuto l'opportunità di morire nella gloria. E l'ha sfruttata. Guardando la scritta che stava sopra il capo di Gesù ("Costui è il re dei Giudei"), ha preso la palla al balzo, e ha chiesto al Re non la salvezza, peraltro immeritata (cosa che invece fa l'altro), ma quantomeno di poter essere da lui ricordato, visto che quasi certamente su quel patibolo sarà stato lasciato solo da tutti, magari anche da gente per conto della quale aveva rubato e che però - lo dicevamo - la fa sempre franca.
E lì, forse per la prima volta nella sua vita, ha sperimentato la fortuna più grande: quella della salvezza. Nel Regno, molti incontrano la grazia della Salvezza sin dai primi passi della loro vita e non la smarriscono più; altri non la trovano mai, e nemmeno la cercano; altri ancora la smarriscono e muoiono nella disperazione di trovarla. Disma (diamogli un nome, anche se incerto, perché riabbia un po' della dignità perduta) ha ritrovato la salvezza smarrita lungo i meandri del Regno incontrando, alla fine della sua vita, niente meno che il Re; il quale, ironia della sorte, stava facendo la sua stessa fine per una "ragion di stato", o meglio perché aveva accettato la volontà di un altro re, suo Padre, che gli aveva chiesto di condividere fino in fondo la sorte dei malfattori e di coloro che sarebbero morti senza speranza. Gliel'ha chiesto perché tutti sapessero che nessuno era escluso dal Regno; gliel'ha chiesto, perché anche uno solo potesse salvarsi all'ultimo, figura e simbolo di tutti i salvati. Missione compiuta, in extremis.
Alla fine di quest'anno liturgico, e alla conclusione dell'Anno della Fede, anche noi possiamo - come Sant'Efrem, oltre sedici secoli fa - proclamare la beatitudine di Disma: "Beato anche tu, ladrone, perché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato. Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell'Eden. Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò, e i discepoli fuggendo si nascosero; tu però lo hai annunziato".