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TESTO Per noi regnare vuol dire amare

padre Gian Franco Scarpitta  

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Nell'Antico Testamento Dio viene più volte definito come il Dio degli dei, nonché Signore dei signori, grande forte e terribile (Dt 10, 17). Isaia a più riprese rimarca queste caratteristiche di grandezza e di piena ineffabilità di colui che definisce il Tre Volte Santo (Is 6, 1? 10) e la cui gloria pervade tutta la terra, attribuendo a Dio la piena Signoria regale, come pure nell'Esodo si afferma che Dio regna per sempre.

Ma poiché Cristo è Dio fatto Uomo, seconda Persona della Trinità e Verbo Incarnato, anche su di lui non può che emergere lo stesso concetto di regalità assoluta. Cristo è Signore e Re dell'Universo, il cui potere è universale e assoluto, che si erge al di sopra degli esseri celesti, terrestri e sotterranei (Fil 2, 9 - 10). La lettera ai Colossesi (II lettura) lo descrive "immagine del Dio invisibile, generato prima di tutte le creature, primogenito", per cui vedendo lui si vede lo stesso Dio. Tutto è stato creato per mezzo di lui ed egli sussiste per sempre. Signore indomito e universale, la cui signoria e il cui dominio sono pari a quelli del Padre.

Il regno di Cristo si espleta tuttavia in una modalità del tutto speciale. Pur avendo di diritto tutti gli attributi della divinità assoluta e indiscussa, il suo dominio non si esercita nella forma totalitaria ed egemonica. Gesù non regna nel senso che spadroneggia o che impera sulle masse. Il suo potere si caratterizza piuttosto come asservimento e come servizio: Gesù Figlio di Dio ha spogliato se stesso per entrare in assoluta empatia con gli uomini e si è privato perfino delle grandi prerogative e delle garanzie proprie del divino. Per amore dell'uomo si è umiliato fino all'estremo sottomettendosi come schiavo all'umanità, per cui il suo regnare si qualifica come umiliazione. Regna in quanto si umilia e si sottomette in tutto all'umanità.

In secondo luogo, Gesù manifesta il suo regno negli atti di amore e di misericordia verso gli ultimi, i poveri, gli esclusi: ogni atto di amore nei loro riguardi attesta che effettivamente è venuto il Regno di Dio e di conseguenza il suo regnare è un continuo servire.

Il Regno di Dio in Gesù Cristo si evince dalla concretezza del bene con cui egli rende manifesto a tutti l'amore del Padre e l'evidenza di questo regno viene data dal fatto che "i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti resuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella (Lc 7, 22). Cristo è Signore per il fatto che instaura una logica di servizio con il suo agire spassionato per l'umanità e il suo regno impone una dimensione di pace e di giustizia che interpella il cuore degli uomini e che scaturisce dalla persistenza del suo messaggio che è espressivo della sua persona. Ma l'evento più convincente di siffatta regalità divina in Cristo è l'infame patibolo della croce: in esso avviene che Dio si autoconsegna all'umanità sottomettendosi in tutto ed essendo in tutto coerente con essa, fatta eccezione per il peccato.

La croce è il culmine nonché l'emblema dell'essere Signore di Cristo poiché proprio in essa si evince come tale signoria si allontani dal comune concetto di regalità di questo mondo.

Il Regno di Dio in Cristo è segnatamente manifesto nell'umiltà, nell'umiliazione e nel servizio e l'autoconsegna di Gesù alla morte di croce è il compendio di tutte queste caratteristiche che nel legno assumono un solo connotato: l'amore.

Anche la stessa celebrazione liturgica di questa Domenica ci parla della caratteristica del regno come amore e servizio; per volere di Pio XI, dal 1925 si conclude oggi un intero Anno liturgico che ci aveva immedesimati, tappa dopo tappa, nel mistero del Cristo che è Alfa et Omega cioè Principio e fine di tutte le cose. In quanto tale Cristo è anche Re Universale, ma di questa sua regalità noi abbiamo visionato in quest'anno l'aspetto più eloquente ed esaltante: la predicazione in parabole, le guarigioni miracolose, gli insegnamenti sull'amore e sulle Beatitudini e soprattutto il mistero del suo annichilimento nell'Incarnazione e nella morte per la Risurrezione. Il Cristo da noi celebrato è insomma un Re che soffre, che si umilia e spasima per noi, e tuttavia sempre Re Universale incontrastato e Signore della storia. La solennità odierna si pone quindi come spartiacque fra il termine di un processo di riflessione a cui ci ha condotti la liturgia con le sue celebrazioni e l'inizio di un nuovo itinerario che ripercorre le tappe della storia della nostra salvezza nella pienezza dell'evento Cristo Figlio di Dio. Che il Signore Gesù sia il Re e Dominatore assoluto è il comune denominatore di questa fine e di questo inizio.

Donazione, servizio, umiltà e buona disposizione verso gli uomini sono le caratteristiche con cui Gesù manifesta la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi fondando anche un rinnovato concetto di autorità e di governo per il quale comandare corrisponde semplicemente a servire.

In tutti i regimi attuali si auspicano democrazia e giustizia, pacificazione nella convivenza umana, la fine delle oppressioni e della fame, ma solamente nella logica del servizio ogni potere diventa buon governo, poiché il bene comune, l'uguaglianza e l'equità si possono dare solo in ragione di un'autorità reggente ben disposta e coerente con i suoi principi.

Nell'evento Cristo vi è il monito a che queste prerogative proprie del Regno diventino eredità di tutti i regimi, il che è una delle condizioni per cui la pace diventa raggiungibile.

 

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