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TESTO Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto

mons. Gianfranco Poma

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/11/2013)

Vangelo: Lc 21,5-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Arrivati al termine dell'anno liturgico, la Liturgia della domenica XXXIII del tempo ordinario ci fa leggere l'inizio del discorso di Gesù sul tema della "fine della storia" (Lc.21,5-19). Il genere letterario del discorso apocalittico era molto vivo nel giudaismo nel momento in cui nasceva l'esperienza cristiana: in una situazione di grandi turbamenti e di grandi timori è forte il desiderio di svelare il senso ("apocalisse" significa "rivelazione") di ciò che accade, di conoscere come finirà questa storia drammatica, ed è ardente l'attesa dell'intervento di Dio che vendichi i deboli, i perseguitati, coloro che comunque hanno sofferto, ponendo termine con la sua potenza ad ogni motivo di male.

Luca colloca l'ultimo insegnamento di Gesù alla vigilia della sua Passione: egli conosce il dramma più oscuro della storia, l'umanità che uccide il Figlio di Dio, l'odio che uccide l'Amore. Ma si può uccidere l'Amore? L'Amore diventa sempre più grande, quanto più è rifiutato: l'Amore non muore, risorge. Luca e la sua comunità sanno che "bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria". Sanno che sulla terra è già sceso il buio e che il sole si è già oscurato: la fine del mondo è già venuta nel momento nel quale il Figlio di Dio è sceso nell'oscurità della morte. Ma sanno che la fine è in realtà l'inizio di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, ri-generato dalla infinita potenza della fedeltà dell'Amore di Dio. Luca sa e annuncia che il mondo nuovo è già iniziato, perché con la risurrezione di Cristo l'Amore che non muore avvolge il mondo, lo vivifica, lo accompagna: passa l' "involucro" di questo mondo ma rimane ormai per sempre ciò che non può passare, l'Amore di Cristo che ci spinge dentro e che ci fa vivere già la vita di Dio.

Così è nuova l'apocalisse che Luca annuncia: sperimentando i drammi del suo tempo, le difficoltà quotidiane e i disastri naturali, Luca non ne vede i segni della fine del mondo, non preannuncia l'intervento di un Dio vendicatore, non profetizza l'avvento di un mondo perfetto, ma lasciando tutto aperto a ciò che sfugge all'uomo, lasciando a Dio ciò che è di Dio, annuncia che ciò che deve accadere è già accaduto ed è che l'Amore di Dio è dentro il mondo con tutti i suoi drammi, vince l'odio e interpella gli uomini a credere, ad accettare, a vivere l'amore in ogni situazione, a vincere l'odio con l'amore, sempre. Il mondo non va verso la fine, ma verso un fine che è la vita, l'Amore, Dio, nel quale Cristo è già, vivo.

L'apocalisse, lettura della storia in Cristo, non è paura, minaccia, ma gioia e speranza: si tratta di vedere la drammaticità del mondo e della storia e di aprire, oggi, rimanendovi dentro, gli spazi all'Amore con cui Dio ha amato il mondo donando il proprio figlio.

Non possiamo ignorare che Luca ha vissuto il tempo dell'imperatore Tito, con l'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., le cui ceneri seppellirono Pompei ed Ercolano, e pure una epidemia che ha fatto morire un decimo della popolazione di Roma e certamente molti terremoti. Quanto alle guerre, non ci fu solo quella dei Giudei contro i Romani (66-70), ma anche quelle dei Romani in Inghilterra e in Germania. Nel 68 alla fine del regno di Nerone, che una rivolta ha obbligato al suicidio, quattro pretendenti all'Impero, provenienti dalla Gallia, dalla Germania, dalla Spagna e dalla Giudea, fecero temere una ripresa delle terribili guerre civili che avevano preceduto Augusto e la fine della pace romana. Così, quello che Luca scrive nel cap.21,26: "gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla faccia della terra" non è una fantasia o un'espressione fuori di senso in un momento di crisi storica.

Luca (con la sua comunità) è pienamente inserito nei drammi della storia: ma come viverli da credenti in Cristo, morto e risorto?

La narrazione di Luca comincia all'interno del Tempio: restaurato sontuosamente da Erode il Grande, era "di una bellezza inaudita" secondo Tacito. Più che l'emozione estetica, la maestà del Tempio incarnava, per Israele, la perenne protezione di Dio. Alla manifestazione di emozionata meraviglia di uno del popolo, Gesù risponde: "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non resterà pietra su pietra che non sarà distrutta". Non possono non rimanere sconcertati gli uditori di Gesù, di fronte alla profezia di una radicale distruzione del Tempio: già era stato distrutto, ma poi ricostruito splendidamente, come segno di una protezione di Dio che non può venir meno. Ma una radicale distruzione, come sottolinea Gesù, non significa la sconfitta di Dio? "Quando avverrà questo, e quali saranno i segni che questo sta per avvenire?": non può che essere la nuova domanda posta a Gesù. Non può che essere la fine del mondo, la sconfitta di Dio.

La risposta di Gesù s'innesta in questa situazione tipica del tempo: diverse persone si presentavano come il "Messia", inviati di Dio per annunciare la prossima fine. "Non andate dietro a loro": è l'invito secco di Gesù, che aggiunge altri avvenimenti (pestilenze, carestie, prodigi celesti, guerre e sollevazioni) che non vanno interpretati come indizi della fine.

Gesù opera una demitizzazione della fine del mondo: la caduta radicale del Tempio, non è la morte di Dio, come tutto ciò che fa parte del mondo non è immediatamente identificabile con l'agire di Dio. Dio ha parlato nella risurrezione di Cristo dalla morte: ha detto che tutto ciò che è creato trova il senso ultimo nella potenza dell' Amore che nella creazione si abbassa, si annienta, per innalzarsi nella gloria, risuscitando, perché tutto partecipi all'infinito dell'Amore.

Nella storia, fragile, drammatica, tutto passa: Lui solo rimane. Rimane solo l'Amore nella sua dinamica di annientamento e di gloria.

La fragilità nostra, le catastrofi naturali, i nostri limiti morali, le tragedie che noi generiamo non possono non farci paura: per paura ci leghiamo a ciò che crediamo ci possa dare forza e creiamo degli idoli; per paura diventiamo prepotenti, e facciamo le guerre. Per paura parliamo della fine del mondo.

Gesù parla ai suoi discepoli e vuole che siano persone libere. Parla della caduta finale del Tempio liberando da ogni idolo. Parla di guerre, pestilenze...parla di catastrofi, di persecuzioni, di odio, Lui che è solo Amore non nasconde di essere motivo, per i suoi discepoli, di essere odiati da tutti: parla delle nostre esperienze, delle nostre paure, dei nostri peccati. In realtà delinea una meravigliosa pedagogia per il discepolo che viva la fede in un tempo di crisi, che non fugga dal mondo, non si crei degli idoli, sia libero da tutte le paure perché crede l'Amore che non abbandona e non finisce.

Il discepolo non è preoccupato della fine imminente, quando vede anche i drammi più grandi: tutto è posto nelle mani di Colui che ha creato per far risorgere nell'Amore. Il discepolo è libero dalla paura, perché crede "che nemmeno un capello del suo capo andrà perduto", tanto è l'Amore che lo avvolge. L'unica condizione è la "perseveranza", restare saldi nella certezza dell'Amore che non crolla anche quando tutto sembra crollare, nella solitudine quando tutti sembrano allontanarsi, perché l'Amore è fedele. Con l'attenzione viva a tutto ciò che accade e l'intelligenza, la sapienza per comprendere, discernere, giudicare ed agire, che viene da Colui che avendo tutto creato, anche tutto conosce nella verità profonda.

Il discepolo è colui che credendo l'Amore, vede e vive tutto, molto concretamente, anche i drammi, percependo la fatica dell'Amore che incarnandosi diventa fragile, "mette una mente al cuore" per saper stare dentro la storia, leggerla e viverla, aprendo gli spazi per una vita che non terminerà più.

 

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