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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (21/11/2004)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Ogni volta che ci si reca alle urne per le elezioni politiche o amministrative lo si fa sempre con la speranza almeno intrinseca di poter usufruire di retti amministratori, di persone davvero intente alla realizzazione del bene comune e alla gestione della cosa pubblica nella ricerca degli interessi dei cittadini. Si aspira insomma ad essere governati da persone rette e oneste e la ricerca di tutte quelle condizioni per le quali il singolo e la collettività possano realizzarsi in ambito sociale (il bene comune appunto) è una legittima aspirazione del cittadino, che corrisponde ad un grave dovere morale per chi è posto alla gestione dei pubblici affari. Ecco perché è il caso di dire che, in fin dei conti, più che di competenti uomini di politica ci si vuole avvalere di oneste PERSONE, cioè di uomini che coltivino già in se stessi come principio ineluttabile il perseguimento del bene comune e quindi si aspira in ultima analisi a persone rette e coscienziose, che si pongano davvero al servizio della società civile e dei cittadini.

Tali erano anche le aspettative del popolo di Israele quando si giunse alla formazione della monarchia. Unto da Dio che lo predisponeva a tale funzione, il monarca era considerato il fautore della divina volontà presso il popolo e suo principale compito era quello di realizzare la giustizia e l'equità presso i sudditi, rappresentando così Dio sulla terra. Poco alla volta però il popolo dovette assistere all'elezione di monarchi intenti a gestire unicamente i propri interessi, sicché venne poco alla volta configurandosi nella coscienza di Israele l'ideale di un re universale salvatore eterno.

Ed ecco che dalla stirpe di Davide Dio fece sorgere il Messia, re salvatore per sempre, promesso dai profeti e realizzatosi nella figura di un uomo che ben conosciamo: Gesù Cristo.

Questi può a ragione essere definito re universale in quanto Egli stesso è Dio creatore e sostenitore del cosmo, che accanto al Padre e allo Spirito Santo ha posto in essere tutte le cose e le guida con la provvidenza. Sia nella lettera ai Galati che nell'epistola indirizzata ai Colossesi (II Lettura) Paolo lo contempla al centro della creazione che verte tutta in funzione di Lui e in Lui sarà ricapitolata; la Lettera agli Ebrei e altri scritti lo descrivono Signore (Kirios) e l'Apocalisse lo vede come il Primo e l'Ultimo, l'alfa et omega di ogni cosa.

Ma non possiamo non soffermarci su determinati particolari che caratterizzano questa regalità, e in particolar modo sul brano della Passione offertoci oggi da Luca; esso è l'epitome del servizio e della disposizione immolativa e sacrificale con cui Cristo esercita il suo potere: in altre parole Gesù regna non soltanto perché Dio creatore e salvatore ma soprattutto perché colloca se stesso nella dimensione di continua oblazione fino alla morte cruenta sulla croce; una reagalità insomma intrisa di sofferenza e di spasimi per amore dell'umanità. Come lo stesso Paolo afferma agli Efesini, Cristo, pur essendo Dio spoglia se stesso della sua divinità per annullarsi e annichilirsi ai fini di venire incontro all'umanità della quale è monarca.

Ecco perché possiamo concludere che Egli è l'emblema ideale di tutte le attese e aspirazioni di autorità di cui parlavamo in apertura: gestire l'interesse dei cittadini e per estensione della sudditanza in qualsiasi campo vuol dire collocarsi nella logica del servizio e nell'abnegazione fino alla consumazione di se stessi.

In Cristo re dell'universo si intravede perciò l'ideale del vero re, monarca, politico, amministratore, leader e altro ancora, in quanto nella sua figura di re servitore prima ancora che il personaggio vi è l'UOMO formato in quanto tale, cioè orientato alla realizzazione della giustizia, del bene e dell'interesse comune.

Questo tuttavia ci incita a considerare anche le caratteristiche ideali della nostra sudditanza e lo spirito di subordinazione che dovrebbe caratterizzarci do fronte all'autorità e per ciò stesso di fronte a Dio: Cristo re dell'universo suppone infatti che da parte nostra si espleti una sottomissione lontana dalla mera passività e dal servilismo, quanto piuttosto orientata alla partecipazione piena e attiva. Sull'immagine di San Paolo che aspira che "tutti si possa regnare con Crito", essere sudditi vuol dire lasciarsi coinvolgere in prima persona dalle iniziative dell'autorità e prendervi parte con la libera espressione delle opinioni e delle proposte, mentre l'obbedienza la si esercita nella convinzione critica e rifuggendo l'infantilismo del timore delle pene o il carattere di mera sottomissione servile.

Ed è bello quando si possa vivere la sudditanza nell'esercizio della propria responsabilità personale che ci conduca a valutare da noi stessi, nella correttezza e rettitudine morale, tutto quello che va omesso in quanto lesivo agli altri e tutto quello che va fatto perché per gli altri vantaggioso, senza che si debba ricorrere decreti o prescrizioni già precostituite sulla lettera o essere soggiogati al timore delle sanzioni o delle pene; in altre parole bello quando la nostra sudditanza la si vive coltivando ciascuno l'interesse per il collettivo, anche nelle piccole azioni della giornata.

Gettare una carta nel cestino anziché sul marciapiede coscienti di operare in tal modo per il bene della collettività costituisce infatti un grande atto di responsabilità coscienziosa che ci colloca come veri sudditi nell'ottica del Regno di Dio; eludere la sorveglianza del vigile urbano per commettere un'infrazione vuol dire invece non aver compreso la vera regalità di Cristo e non aver ancora adottato la sua logica, ma piuttosto trovarci ancora soggiogati da un vincolo di schiavitù non più esistente.

 

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