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TESTO La grande speranza: risorgeremo

mons. Antonio Riboldi

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2013)

Vangelo: Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Il vero significato della vita, dono di Dio, è che noi cristiani siamo - o dovremmo essere - testimoni di Gesù Risorto, Speranza del mondo, ossia dovremmo vivere con lo sguardo rivolto oltre questa vita terrena, ‘ancorati oltre' come ha affermato Papa Francesco, indicando, con le nostre scelte, i nostri comportamenti, le nostre parole ed azioni, ciò che davvero siamo e saremo: dei risorti. E su questa stupenda verità ha senso l'ottimismo che ci accompagna, quando siamo credenti sul serio. Come ha scritto Papa Francesco in un twitter: «Un cristiano sa affrontare le difficoltà, le prove - anche le sconfitte - con serenità e speranza nel Signore». Ci edifica e ci fa riflettere il racconto dei Maccabei, che la Chiesa ci offre oggi:

"In quei giorni, ci fu il caso dei sette fratelli, che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Il primo di essi, facendosi interprete di tutti, disse al re: ‘Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi'. E il secondo, giunto all'ultimo respiro, disse: ‘Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna'. Dopo torturarono il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani e disse dignitosamente: ‘Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi le disprezzo, ma da Lui spero di riaverle di nuovo'. Così il re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: ‘E' bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da Lui di nuovo risuscitati, ma per te, o re, la resurrezione non sarà per la vita'". (II Maccabei 7, 1-14)

Non si può rimanere indifferenti davanti a questo racconto di vite vissute come dono di Dio e a Lui ridonate per la vita eterna con Lui. Di fronte a tanta fede e coraggio, riesce persino incredibile prendere atto di come troppi, oggi, vivano senza riflettere e quindi senza riuscire a dare alla vita il suo vero valore di eternità con Dio. Ricorro sempre al ricordo del grande Paolo VI, quando arcivescovo a Milano, nella Pasqua del 1964, così dipingeva il preoccupante disinteresse di troppi, incapaci di ‘guardare oltre i piccoli confini della vita sulla terra'.

"Pensare senza impegno, vivere senza dovere, godere di ogni sensazione, questa è la nostra tentazione moderna, che ci incanta e ci deprime, ci attrae e ci delude. Manchiamo di fondamentali ideali, anzi si fa professione di non averne e di non volerne alcuno. Abbiamo confuso la libertà con l'indeterminatezza. I cristiani stessi sono spesso lusingati da questa libertà di pensare e di agire, che non ha fondamenti veramente razionali, né tanto meno fondamenti di vita cristiana. Si preferisce talvolta fondare le proprie speranze sulle sabbie mobili dello scetticismo, piuttosto che fondare la costruzione della vita individuale e sociale sulla roccia della Parola di Cristo. Interessi temporali, paure di ogni genere, segrete ambizioni di pensiero e suscettibilità personali e sociali, ci distraggono spesso dalla coerenza e dalla fedeltà all'impegno cristiano che dovrebbe essere il cardine della nostra vita. Il vento del rispetto umano, le ondate dell'opinione pubblica e le suggestioni della moda culturale e pratica fanno di noi canne sbattute, di cui parla il Vangelo".

È grande, credetemi, il pericolo di impostare la propria vita su tanti interessi, che ci assorbono totalmente fino a fare scomparire il vero bene, che è la bellezza donataci da Dio: una bellezza che, se vogliamo, si costruisce ‘qui', giorno per giorno, tra fatica e fede, speranze e sofferenze, gioie e carità... in attesa della ‘Sua venuta'. Essere ‘pellegrini' su questa terra, non facendoci ingannare dal falso, che è il mondo, chiede tanta, ma tanta, lucidità di fede, sostenuti da una speranza che sa andare oltre i confini della esperienza e, il tutto, animato da un grande amore verso Dio e i fratelli, con lo sguardo del cuore sempre rivolto all'Incontro definitivo con Lui.

Gesù oggi, rispondendo ad una domanda postagli dai sadducei, ‘i quali dicono che non c'è resurrezione', apre uno squarcio su ciò che ci attende dopo la morte.

Racconta l'evangelista Luca: "Gesù rispose loro: ‘I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della resurrezione dai morti, non prendono né moglie, né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della resurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: ‘Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe'. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per Lui'". (Lc. 20. 27-38)

E sono tanti, oggi, quelli che vivono totalmente impostando la propria esistenza sul ‘dopo', che resta il solo bene possibile da conquistare.

Basta pensare ai tantissimi consacrati, religiosi e religiose, ‘scelti e chiamati da Dio', a fare della vita un continuo dialogo con Lui, considerato il solo Bene per cui vivere e da conquistare.

E non solo, ma tanti laici, che non fanno notizia e vivono la vita come un cammino verso il Cielo, difendendosi dalla tentazione, sempre presente, di credere di poter costruire un inesistente paradiso ‘qui', dove invece tutto, un giorno, sarà inesorabilmente finito, restando a mani nude ‘dopo'.

Ho sempre presente la grande ‘eredità' di mamma, che andò in Cielo a 99 anni.

Alcuni anni prima di morire, volle spogliarsi di tutto, donando tutto quello che aveva: a me diede l'anello sponsale, perché fosse il mio anello episcopale, segno di fedeltà a Dio per sempre.

‘Quando Dio mi chiamerà, non avrò nulla da rimpiangere nel lasciare la terra. Sono nuda di tutto, mi resta solo il Paradiso e così mi presenterò al Padre'.

Come lei, quanti, che il mondo forse ignora o disprezza, vivono con gli occhi fissi alla resurrezione!

È la saggezza di vita, dono dello Spirito: è la santità che ‘non è un privilegio di pochi, ma è una vocazione per tutti', come ci ha ricordato Papa Francesco. "Tutti siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome, un volto: Gesù Cristo. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle Beatitudini (cfr Mt. 5,1-12)». Il Regno dei cieli, «infatti, è per quanti non pongono la loro sicurezza nelle cose, ma nell'amore di Dio; per quanti hanno un cuore semplice, umile, non presumono di essere giusti e non giudicano gli altri, quanti sanno soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce, non sono violenti ma misericordiosi e cercano di essere artefici di riconciliazione e di pace. E così è bella la santità; è una bella strada!».

E in un'omelia a Santa Marta Papa Francesco si è soffermato su cosa significhi, quindi, essere cristiani.

"Siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. Dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori - noi eravamo bambini - a nome nostro, hanno fatto l'Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo, che ci ha perdonato i peccati'. Credo in Gesù Cristo!... Vivere da cristiano è portare avanti questa fede in Cristo, questa ri-creazione. E con la fede, portare avanti le opere che nascono da questa fede, opere per la santificazione... ma dobbiamo prenderla sul serio!... Per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere semplici: adorare Dio: Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri. Queste sono le opere che Gesù ha fatto nella sua vita: opere di giustizia, opere di ri-creazione. Quando noi diamo da mangiare a un affamato ri-creiamo in lui la speranza. E così con gli altri. Se invece accettiamo la fede e poi non la viviamo - ha avvertito - siamo cristiani soltanto a memoria... Cristiani tiepidi. Un po' come dicevano le nostre mamme: ‘cristiano all'acqua di rosa!'. Un po' così... Un po' di vernice di cristiano, un po' di vernice di catechesi... Ma dentro non c'è una vera conversione, non c'è la convinzione di Paolo: ‘Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo e essere trovato in Lui'. Questa era la passione di Paolo e questa è la passione di un cristiano!... Si può fare. Lo ha fatto San Paolo, ma anche tanti cristiani: non solo i santi, quelli che conosciamo; anche i santi anonimi, quelli che vivono il cristianesimo sul serio".
Facciamo nostra la preghiera del card. J. H. Newman:

‘Conducimi per mano, Luce di tenerezza, fra il buio che mi accerchia, conducimi per mano.

Cupa è la notte e io sono ancora lontano da Casa, conducimi per mano.

Guida il mio cammino: non pretendo di vedere orizzonti lontani, un passo mi basta.

Un tempo era diverso: non ti invocavo, perché tu mi conducessi per mano.

Amavo scegliere e vedere la mia strada, ma adesso conducimi per mano.

Amavo il giorno abbagliante, disprezzavo la paura, l'orgoglio dominava il mio cuore:
dimentica quegli anni.

Ma sempre fu sopra di me la Tua potente benedizione, sono certo che essa mi condurrà per mano,

per lande e paludi, per balze e torrenti, finché svanisca la notte e mi sorridano all'alba

volti di angeli amati e per un poco smarriti. Ma Tu conducimi per mano'.

 

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