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TESTO Un Amore che si fa cibo di vita

mons. Antonio Riboldi

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (13/06/2004)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Ci sono stati momenti in cui la potenza di Cristo, tra gli uomini, si rivelava immensa e rispondeva forse ad un concetto di amore che si fermava alle soglie del benessere umano. Nel vederLo guarire ammalati di ogni specie, cacciare i demoni, donare la vista ai ciechi, resuscitare i morti, moltiplicare i pani, Gesù appariva proprio come il "potente di turno", che fasciava le piaghe degli uomini.

E lo volevano eleggere re, come uno cioè che avrebbe dato quella serenità che sempre la vita a tutti in qualche modo sembra darne poca. Per Gesù tutti quei miracoli, che si fermavano alla superficie della felicità umana, li faceva come segno di condivisione nella sofferenza, ma il suo amore, la sua presenza tra di noi, andava ben oltre. Per compiere tali miracoli non c'era proprio bisogno che Dio si facesse uomo, mettendosi nei nostri panni e poi donando la vita in croce.

Il suo amore andava ben oltre, voleva entrare nella vita di ogni uomo per farlo partecipe della bellezza e felicità, che non hanno fine, nel Regno dei Cieli. Era ben altro l'intento di amore che aveva ed ha per noi.

Lo stesso stare con noi sempre, condividere la nostra povertà e sollevarla alla santità, chiedeva che Lui divenisse nostra forza, nostro cibo, nostro pane. Non basta a noi una buona parola...ne sentiamo tante e quasi sempre lasciano solo un segno di affetto, ma non bastano.

Se Dio era sceso tra di noi, per ricomporre quella bellezza, quella vocazione alla santità, quel partecipare alla infinita gioia di "vedere il volto di Dio" e quindi essere per sempre partecipe della gioia di Dio, che i nostri progenitori avevano cancellato con il peccato originale, occorreva altro: occorreva farsi dono totale, ossia pane della nostra vita.

Lo aveva detto un giorno alle folle che lo ascoltavano. Era partito dall'esempio della manna, che Dio aveva mandato dal cielo per cibare il popolo eletto verso la terra promessa attraversando l'arido deserto. Con Lui tra di noi, terminava il tempo della manna: ora la manna, il cibo per attraversare il deserto della vita diventava Lui stesso. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" "Io sono il pane del cielo". Parole che non riuscivano a forare l'ignoranza di chi Lo ascoltava, perché la loro attenzione si era fermata alla "manna di Mosè", come se la vita fosse per sempre e per tutti un deserto da attraversare senza avere davanti il punto di arrivo, che poteva essere la terra promessa, ma non era certamente "la terra di Dio", il Cielo. Non capendolo, o non volendolo seguire nei suoi insegnamenti, "quanti lo avevano seguito fino allora, racconta il Vangelo, lo abbandonarono e non Lo seguirono più". In altre parole, rifiutarono di affidarsi a Lui e preferirono seguire la concretezza della vita qui, che non dava alcuna serenità e non andava oltre la morte. Rimasero gli Apostoli, che confessarono la loro incapacità di "entrare nel mistero delle parole del maestro", "mistero di fede" ma "ineffabile dono di vita eterna, vera", dicendo "Adesso esagera! Chi può ascoltare cose simili?" Allora Gesù domandò ai dodici: "Forse volete andarvene anche voi?" Simon Pietro gli rispose: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna, E ora noi sappiamo e crediamo che tu sei quello che Dio ha mandato" (Gv. 6, 60-70).

E deve essere stato un momento di grande tristezza quella di Gesù nel vedersi rifiutato da tanti. Era venuto per darsi a noi come cibo di vita e Dio solo sa quanta fame abbiamo di questo cibo, per dare alla nostra vita speranza e forza e senso, e veniva brutalmente rifiutato, preferendo altro pane, quello della terra, che dà sì la vita, ma non quella dell'anima.

E nell'ultima Cena, Gesù davvero si farà pane della vita. Così lo racconta Paolo nella letta ai Corinzi: "Fratelli, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e dopo avere reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la Nuova alleanza nel mio sangue: fate questo ogni volta ne bevete, in memoria di me".

Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga" (Cor. 11,23-26).

E aggiunge la Chiesa, ogni volta celebra l'Eucarestia: "Mistero della fede" e noi rispondiamo, a confermare le parole di Gesù: "Annunciamo la tua morte o Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell'attesa della tua venuta". Davanti a questo incredibile dono che Gesù ci fa', ogni volta, anche se "mistero della fede", rimango non so se stordito, e guardando quell'Ostia che ho tra le mani e alzo verso il cielo, mi sembra di avere tra le mani la potenza di Dio che fa piccolo tutto il mondo nelle sue false e terribili potenze e mi appare in tutto il suo splendore la grandezza dell'amore di Dio che fa luce su tutto, dà senso a questa umanità. Rimarrei così, con l'Ostia tra le mani levata in alto, per tutto il tempo...perché è troppo bello quello che Gesù offre...troppo necessario per vivere con gli occhi già nell'eternità. Non solo, ma davanti a quell'Ostia comprendo che tutti gli uomini sono "una cosa sola", uniti nell'amore, e la vita è grande banchetto di amici. Un banchetto che mi sembra si realizzi nel vedere i miei fratelli cibarsi nella Santa Comunione di quel "pane del Cielo". E nell'elevare il calice del sangue di Gesù, ho l'impressione che quel Sangue lavi tutta la terra da quello che la violenza, la guerra, l'odio, versa in continuità.

E' bello e facile capire in questa visione del mistero, l'ansia di tanti e tante che ogni giorno fanno la comunione, e vedono la Messa il centro della loro vita ed il segreto della loro bontà per tutti...per la semplice ragione che l'Eucarestia, ossia Gesù fatto nostra vita, immediatamente spinge allo stesso amore che Lui aveva per tutti, senza eccezione, a cominciare dai deboli, dai sofferenti, come volesse dare una carezza ed un conforto e dire: "Non temere ci sono Io". E quell'Io diventiamo noi, portatori di amore e comunione.

Ricordo un pellegrinaggio a Lourdes. Ero stato incaricato di presiedere la famosa processione del SS.mo Sacramento del pomeriggio. Quel giorno per la pioggia fummo costretti a fare la processione nella grande basilica dedicata a S. Pio X. C'erano circa 20.000 pellegrini ed al momento della solenne benedizione, accompagnata da un suono d'organo, che sembrava stille di pianto e di speranza, come fosse il coro di quelle anime, accanto all'altare avevano posto un giovinetto handicappato, che urlava con un gemito che sembrava racchiudesse tutto il dolore della umanità che si rivolgeva a Gesù in Sacramento. Tenevo Gesù tra le mani e piangevo con tutti, un pianto che era il dolore di tanti e la speranza di tanti, che sembrava volessero versare le lacrime nel cuore di Gesù lì tra di noi. Non dimenticherò mai.

Oggi purtroppo le nostre Messe mancano di tanti invitati, che preferiscono altri inviti con tante scuse, offendendo così l'amore...un poco come fecero i discepoli di Gesù, che se ne andarono dicendo: "Adesso esagera! Chi può ascoltare cose simili?" Qui si rivela come ci siamo svenduti ad altro pane, voltando le spalle a Dio che vuole amarci fino a farsi nostro cibo. "Di che vivremo?" Verrebbe la voglia di domandare. Viviamo di quell'egoismo che insanguina la terra e riempie il cuore di dolore!

Mamma, ogni domenica a noi figli diceva: "Non c'è gioia nella mensa, se non ci si ciba del cibo della Messa". Quanta ragione aveva!

Per capire la carità dei santi di ieri e di oggi, dobbiamo ricordare il loro amore all'Eucarestia. Madre Teresa di Calcutta ha dato come regola alle sue consorelle, di fare due ore di adorazione al giorno. Perché senza Eucarestia, che ci mostra Cristo, è impossibile amare gli altri, che sono presenza di Cristo.

Credo che tutti conosciamo la grande passione del nostro Papa per la Eucarestia. Ultimamente la raccomanda con forza, vedendoci discepoli distratti o lontani. Ascoltiamolo: "L'Eucarestia, dono supremo di Cristo alla Chiesa, fa presente nel mistero il sacrificio della nostra salvezza. Nella Santissima Eucarestia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa cioè di Cristo stesso, nostra Pasqua. Ad essa fonte e apice di tutta la vita cristiana, attinge la Chiesa nel suo pellegrinaggio, trovandovi la sorgente di ogni speranza. L'Eucarestia infatti dà impulso al nostro cammino storico, ponendo un seme di vivace speranza nella quotidiana dedizione di ciascuno nei nostri compiti. Tutti siamo invitati a confessare la fede nella Eucarestia, pegno di gloria futura, certi che la comunione con Cristo, ora vissuta da pellegrini nell'esistenza mortale, anticipa l'incontro supremo del giorno in cui saremo simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è. Davvero l'Eucarestia è un assaggio di eternità nel tempo". (E. in E. n. 75).

 

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