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TESTO Dio, sii benevolo con il peccatore che io sono!

mons. Gianfranco Poma

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/10/2013)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

"È quasi una geniale ossessione del cristianesimo fare a pezzi tutti gli schemi." A ben pensarci è verissima questa osservazione che Giovanni Bianchi ex presidente nazionale delle Acli e parlamentare del Ppi, faceva nel ricordo della figlia Sara, deceduta la scorsa settimana, al termine della cerimonia funebre.

Come è altrettanto vero che la nostra tendenza è di ritenere che l'esperienza cristiana consista nel riportare tutto nell'ordine logico e nell'ordine etico, nel pensare che Dio sia un freddo legislatore che aspetta da noi l'osservanza fedele delle leggi, per premiare i buoni e punire i cattivi, e pensare che l'uomo si realizzi in proporzione alla sua capacità strategica e operativa di mettere in atto il progetto che egli ritiene buono.

Ma questo è il pensiero di Gesù? Per lui, la relazione con Dio, "che fa giustizia", è quella del sovrano con il suddito, esecutore della legge che lui gli ha imposto come condizione per goderne i favori? E, per Gesù, l'uomo "giusto" è quello che può ritenersi soddisfatto perché è riuscito a realizzare un progetto di vita che lo rende superiore agli altri e meritevole davanti a Dio?

Nel cap.18 del Vangelo che stiamo leggendo in queste domeniche, Luca parla del regno di Dio, "come", "dove", esso viene, "oggi", in attesa della sua pienezza, ed offre un itinerario per il discepolo di Gesù, perché impari a "veder Dio e a cercarlo in tutte le cose" nella concretezza della vita quotidiana. Nel dialogo con Dio, nella preghiera incessante, senza scoraggiarsi mai il discepolo impara ad aprire il suo cuore e i suoi occhi per accogliere la "giustizia di Dio": "Dio non farà la giustizia dei suoi eletti che gridano a lui giorno e notte...?"

Accogliere Dio che fa giustizia...: è questo ciò che Gesù invita i suoi discepoli a sperimentare. Ma per questo occorre aprire il cuore, pregare incessantemente: occorre che gli "eletti" di Dio, entrino nell'esperienza di un Dio la cui giustizia è l'Amore, che chiede di lasciarsi amare da Colui che fa giustizia solo amando, e di abbandonare ogni attesa di un Dio che fa la giustizia come l'uomo pensa, secondo le sue logiche.

Nel brano che oggi leggiamo, Lc.18,9-14, Gesù presenta due persone in preghiera, per porre attenzione su ciò che essa rivela del modo di porsi davanti a Dio. La preghiera è, infatti, l'espressione della relazione con Dio. Luca vuole che il suo lettore ( noi oggi!) si senta interpellato: "Qual'è la tua relazione con Dio?" "Chi è Dio per te?"

"Disse per alcuni che si sono convinti di essere giusti e ritengono gli altri una nullità, questa parabola". "Si sono convinti di essere giusti": il problema è ancora "essere giusti". Ma cos'è questa giustizia che qualcuno pensa di possedere, di cui vantarsi tanto da distinguersi e da guardare tutti gli altri dall'alto in basso? Il tono polemico di ciò che Gesù sta per dire è evidente dall'inizio.

Luca costruisce la parabola usando ancora una volta lo strumento letterario dei due personaggi: "Due uomini salirono al tempio per pregare". Sono due "uomini", alla pari, quindi, che compiono il cammino verso il tempio per incontrare Dio e pregare. Ma immediatamente appare la diversità del modo di ciascuno di vivere la propria umanità, di interpretarla e di rapportarsi a Dio.

"Uno era fariseo e l'altro raccoglitore di imposte": il fariseo è l'uomo pio, esemplare, osservante fedele della Legge; il raccoglitore delle imposte, il pubblicano, è l'uomo giudicato disonesto, amico dei Romani, "peccatore.

"Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: Dio, ti ringrazio, perché non sono come il resto degli uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, o anche come questo pubblicano: digiuno due volte alla settimana e pago la decima di tutto quello che guadagno". La preghiera del fariseo, ricca e articolata, è esemplare: Saulo, da zelante fariseo, avrebbe pregato esattamente così. È una preghiera di ringraziamento: riconosce a Dio di averlo fatto perfetto, diverso dal resto del mondo, con l'intelligenza e la volontà in grado di capire e di compiere le opere della Legge. È una preghiera che riecheggia alcuni salmi biblici ed alcune preghiere giudaiche: tutto dunque è perfetto.

"Il pubblicano, stando lontano, non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si percuoteva il petto dicendo: Sii benevolo con me, che sono peccatore". Sta lontano, occupando lo spazio di chi si sente lontano da Dio ed emarginato dagli altri che lo ritengono un traditore: tutto manifesta in lui la coscienza di chi si sente un fallito. La sua preghiera è breve, essenziale: non ha niente da offrire a Dio, neppure la sua conversione, neppure può dire di aver compiuto un itinerario per impostare una vita nuova. Niente, se non riconoscere, lasciar uscire dal cuore il grido della propria coscienza: "Io sono peccatore", espressione della più vera condizione umana.

E l'implorazione, l'unica preghiera dell'uomo che non si maschera, non si autoconvince di essere ciò che non è: "Sii benevolo con me". L'uomo che sperimenta la sua radicale debolezza, l'invalicabilità del limite creaturale, la sua invincibile fragilità etica, morale, non può che trovare la propria salvezza nella gratuità dell'Amore di chi lo ha creato. Solo l'uomo che ha il coraggio di sperimentare fino in fondo la propria verità e di confessare: "Io sono peccatore", può dire la preghiera più sincera: "Amami!" "Solo il tuo amore mi può salvare!".

Ed appare così la novità di Gesù: "Vi dico: discese, questi, giustificato verso la sua casa, a differenza dell'altro. Perché chi si innalza, sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato".

"Vi dico": Gesù impegna tutta la sua "autorità" che spiazza quella dei "farisei", uomini sinceramente fedeli alla Legge, che avrebbero riconosciuto nel primo dei due, il tipo dell'uomo giusto davanti a Dio, un modello da ammirare. Per l'uomo, che ritiene che l'etica sia l'orizzonte che delinea il margine della realizzazione della propria esistenza, che con le proprie forze ritiene di aver risposto alle esigenze etiche, è ammirevole l'atteggiamento del fariseo che prega ringraziando Dio di essere l'uomo "giusto". Ma davvero l'uomo è così, felice, quando la sua vita è ridotta alla osservanza di leggi etiche, quando ha blindato il suo cuore perché non senta più il desiderio insaziabile di ciò che la sua debolezza gli rende irraggiungibile?

Gesù ha vissuto fino in fondo l'umanità, fragile, implorante Amore: discendendo, com-patendo, vivendo tutto ciò che è umano, egli ha sperimentato che l'Amore solo lo riempie, lo rigenera, lo innalza.

Anche noi vorremmo sempre essere dei perfetti osservanti della Legge, per poterci presentare a a Dio, per dirgli, pieni di noi stessi: "Ti ringrazio, perché mi hai fatto perfetto". Ma Gesù, il figlio dell'Uomo, che vive dell'Amore del Padre, ci invita a liberarci dalla sindrome dell'uomo perfetto, per poter gustare la gioia profonda, la bellezza della "giustizia di Dio" che è il suo Amore che riempie il nostro cuore e la nostra carne fragile, per lasciare uscire la preghiera: "Amami tu, perché io sono peccatore!"

Gesù fa a pezzi lo schema a cui noi pure, buoni farisei, siamo così legati, di un Dio che premia i buoni e castiga i cattivi, mostrandoci il volto di un Dio che solo ci implora di lasciarci amare da lui.

Questa lieta notizia di una "giustizia" gratuita, incondizionata, è il cuore dell'esperienza e della teologia di Paolo, diventato apostolo di Gesù, incarnazione dell'Amore del Padre: quando ha aperto il suo cuore all'Amore, Paolo ha cominciato a sentire che ciò che prima riteneva un vanto è diventato spazzatura (Rom.3,21-24; Gal.3,6-14; Fil.3,4-9). E noi?

 

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