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TESTO Commento su Luca 20,27-38

fr. Massimo Rossi  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2013)

Vangelo: Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

La riflessione sulla morte e sulla risurrezione è collocata oggi, non tanto perché siamo nel mese dei morti - io preferisco chiamarlo il mese dei Santi... -, quanto perché tra due domeniche termina l'anno liturgico; e come ogni fine d'anno, anche quest'anno la liturgia ci esorta a riflettere sulle ultime cose, sui Novissimi: morte, giudizio, inferno, paradiso. Sull'inferno non intendo spendere parole. Se, come ha dichiarato Gesù, il nostro Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi, approfittiamo del poco tempo a nostra disposizione per riflettere sulla risurrezione per la vita eterna.

La vicenda raccontata dal libro dei Maccabei si riferisce all'epopea dell'omonima famiglia (II sec. a.C.), la quale trovò nella fede il coraggio di opporsi al processo di ellenizzazione avviato dalla prepotente dinastia dei Seleucidi - Antioco Epifanie e successori -, la cui politica di espansione era finalizzata alla distruzione sistematica delle culture circostanti, compresa quella giudaica e dunque anche dello spirito religioso che le conferiva un imprinting inconfondibile.

La provocazione lanciata a Gesù da parte dei Sadducei irride alla fede, in particolare alla risurrezione dei morti, l'articolo che conclude il nostro Credo, e avrebbe meritato ben altra risposta... Ma Gesù, come sempre, ci dà l'esempio dell'uomo libero dai condizionamenti e dalle provocazioni: non risponde alla domanda "di chi sarà moglie quella sventurata andata in sposa, suo malgrado, a sette fratelli", per un semplice motivo: nella vita-oltre-la-morte le modalità di relazione che caratterizzano la vita presente, sentimenti, legami affettivi, vincoli si sangue,... saranno superati da un amore più grande che li includerà tutti e li porterà a compimento tutti: l'amore di Dio per noi e l'amore nostro per Dio.

In questa relazione uomo/Dio, tanto desiderata e mai realizzata del tutto in questa vita, saremo immersi e vi troveremo tutte le risposte, ne saremo completamente e definitivamente appagati; più nulla ci mancherà, a cominciare dall'affetto per i nostri cari, perduti oggi e che speriamo di incontrare nuovamente in Paradiso. Che i nostri defunti ci precedono nel Regno dei Cieli è certo, direi; la nostra speranza, confortata dalla fede, è indefettibile.

L'aspetto che ancora ci sfugge, e forse ci sfuggirà sempre, fino a quando resteremo in questa valle di lacrime, è che, ripeto, i legami umani sono una caratteristica della vita terrena, non di quella futura.

Intendiamoci: non significa che questi legami siano poco significativi agli occhi di Dio, pertanto debbano diventare marginali anche per noi... Se così fosse, il comandamento di amare il prossimo come noi stessi sarebbe una presa in giro colossale. I due comandamenti dell'amore sono stati istituiti per noi che siamo ancora in vita; quando varcheremo la soglia dell'eternità, non ci sarà più bisogno di un decalogo, non ci saranno più obblighi, né divieti, né diritti, né doveri...

Una legge serve per impedire e sanzionare le trasgressioni, le violazioni all'integrità delle persone e del mondo. Una volta in Paradiso, l'Amore sarà infinito, pervasivo, totale... più grande di qualsiasi amore umano; dunque l'Amore con la A maiuscola include e perfeziona ogni amore particolare: da quello coniugale, a quello filiale, dall'amicizia, alla carità... Ogni sentimento positivo che ha legato gli uomini tra loro in un rapporto fecondo, non sarà annullato, né archiviato, al contrario, (sarà) elevato alle sue estreme potenzialità, che sono le potenzialità dello Spirito Santo, Amore fatto persona, Amore che crea e sostiene ogni amore (cfr. Gn 1,1), Amore che richiama alla vita, Amore che vince il peccato e la morte...

La pagina di Luca fa un delicato accenno alla vita consacrata, distinguendola dalla scelta coniugale e valutandola in un certo senso più elevata: fino a non molti anni fa, la vocazione religiosa era qualificata come vocazione ultima, a differenza di quella matrimoniale, penultima, in quanto "in cielo non si prende più né moglie, né marito"... In verità, se il matrimonio fecondo manifesta la creatività di Dio, la consacrazione dei voti manifesta la perfezione e la santità di Dio, quell'amore non più mediato dal rapporto, ma immediato e totale cui siamo tutti destinati in Paradiso.

Tuttavia, ai fini della Beatitudine, le due scelte sono assolutamente equivalenti: sposati, o celibi, tutti si può diventare santi! ogni stato di vita è una chiamata alla santità, una via per raggiungere la salvezza. Ciascuno sceglie secondo le proprie capacità: doti naturali, esperienze vissute, limiti ed errori, insomma la storia integrale del soggetto, tutto rientra in quel progetto che andiamo realizzando giorno per giorno; si tratta di un lavoro a quattro mani: due sono le nostre e due sono di Dio.

La vita presente è l'unico luogo, l'unica possibilità che ci è stata data per costruire qualcosa di valido, di grande, di bello, per noi e per il mondo. Le potenzialità di bene che ci sono state donate e che strada facendo scopriamo di avere - chi lo avrebbe mai detto! - servono per edificare il Regno di Dio, a cominciare da noi. Ecco perché Dietrich Bonhoeffer, un filosofo contemporaneo, testimone della fede fino al martirio del sangue, scriveva che chi non lavora alle cose penultime (terrene) come se fossero le ultime, non sarà allenato e pronto a vivere quelle ultime (eterne).

San Paolo ci insegna che l'uomo è salvato dalla fede, gratuitamente donata attraverso la Grazia del battesimo. Ma se questa fede è senza amore e senza speranza, allora è falsa, apparente e presuntuosa quanto le opere e più delle opere stesse; giacché (la fede senza le opere) non è che una forma sottile di autogiustificazione di sapore farisaico. La fede che non suscita l'amore e non sostiene la speranza, si riduce a una dottrina, un compendio di formule dogmatiche da mandare a memoria, una fede teorica, in breve, una fede morta.

Se il mondo con i suoi affetti è mondo penultimo, abbiamo tuttavia già qualcosa di ultimo, su cui radicare saldamente e in tutta sicurezza ogni nostro desiderio di bene: è la Parola di Dio.

Il Vangelo di Cristo di insegna ad orientare le cose penultime a quelle ultime: non si tratta di svalutare le prime a motivo delle seconde, ma neppure di classificarle dalle meno perfette (penultime) alle più perfette (ultime): la salvezza operata dalla passione e resurrezione di Cristo non è disprezzo, ma neppure coronamento del mondo. La salvezza cristiana è la salvaguardia della natura e della cultura. L'Ultimo non sta al limitare dei nostri desideri, ma al centro di essi, per strutturarli, per armonizzarli... La Parola ultima di Dio giudica i nostri desideri, distingue quelli veri da quelli esorbitanti, li sostiene, li porta a compimento....Perché "là dov'è il nostro tesoro, sarà anche il nostro cuore" (Lc 12,34).

"La crisi è la più grande benedizione per le persone e le Nazioni,

perché la crisi porta progressi."

Albert Einstein

 

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