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TESTO Mi contraddico e me ne vanto

don Cristiano Mauri  

Dedicazione del Duomo di Milano (Anno C) (20/10/2013)

Vangelo: Lc 6,43-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,43-48

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.

«Perché mi invocate: "Signore, Signore!" e non fate quello che dico?» (Lc 6,46)

Già, perché? Bella domanda. Una di quelle che ti mettono all'angolo, nudo e disarmato a masticare il mozzicone di qualche giustificazione nemmeno troppo convinta. Spalle al muro, ti rendi conto che di perché ne avresti mille, tutti validi ma nessuno convincente e vorresti tanto che insieme alla domanda ti venisse consegnata la risposta.

Dimmelo Tu il perché, Signore. Tu che conosci il cuore dell'uomo, Tu che ne scruti le profondità, Tu che sai la sua parola prima ancora che essa affiori sulla sua bocca, Tu che penetri da lontano i suoi pensieri. Dimmelo. Ho bisogno di una risposta perché quella domanda risuona in me ogni giorno con forza, senza che io sappia risolverla una volta per tutte. La spina delle incoerenze e delle contraddizioni lavora sulla coscienza e le parole di Paolo nella lettera ai Romani sono la voce mia e di ogni discepolo del Vangelo:

«Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.» (Rm 7, 5.19)

Amo e odio, dono e rubo, salvo e uccido, perdono e mi vendico, credo e bestemmio, mi interesso e sono indifferente, sono egoista e generoso, sono fedele e tradisco. Sono luce e sono tenebra. Sono contraddizione e non ne so la ragione. Dimmelo Tu quel perché.

Silenzio. Nessuna risposta. Perché mai? Si trattava davvero di una domanda retorica, di un semplice atto di accusa per scuotere le coscienze in preda a una cieca e sorda incoerenza? Non credo. Troppo poco, troppo strumentale, troppo artificiale. Voglio pensare che per Gesù quella sia stata una domanda autentica. Ho bisogno di credere che si sia interrogato sul serio circa la ragione delle contraddizioni degli uomini.

E che forse, semplicemente, non abbia trovato una risposta definitiva.

Non mi stupirei, anzi. Ne andrebbe della verità del suo essere uomo come ogni altro uomo, se avesse invece sempre avuto la soluzione in tasca: lo smarrimento, lo sconcerto, la perplessità devono necessariamente aver fatto parte della sua esperienza. Perciò non mi scandalizza affatto pensarlo senza parole, come basito, di fronte all'assurdità delle contraddizioni umane.

D'altra parte fu esperienza anche sua quella della lacerazione interiore, del cercare il bene e sentirsi attratto dal male, del voler servire e ed esser affascinato dal dominare, di voler perdonare ed essere tentato dal punire, di obbedire al Padre e di disconoscerlo. La sua stessa carne gli parlò dell'uomo come contraddizione, dell'incredibile possibilità di coesistenza di verità e menzogna, bellezza e degrado, nobiltà e miseria dentro l'animo dell'uomo. La sua predicazione e le sue opere contengono abbondanti tracce del tentativo di cavare l'uomo dal vicolo cieco delle sue incoerenze e delle sue debolezze, ma è indubbio che la matassa, alla fine, è rimasta tale e quale tra le sue mani senza essere dipanata. Occorreva ben altro che un cumulo di ragioni, una teoria o ancor meno un compendio di indicazioni pratiche per venirne a capo. E lo immagino sorpreso e pensoso nello scandagliare l'abisso della coscienza dell'uomo, rimanendo in contemplazione di quel mistero, per rendersi conto, infine, che non esisteva risposta unica o facile soluzione al dramma della libertà perennemente in bilico tra il bene e il male.

L'irrisolvibile contraddizione dell'uomo chiedeva di essere compresa ma per un'altra via.

La Croce di Cristo è il luogo in cui l'uomo in quanto contraddizione viene preso con sé dal Figlio di Dio. Il Golgota è il culmine di ogni ambivalenza: un Dio viene ucciso in nome di Dio; un innocente passa per maledetto; una sconfitta è il luogo della vittoria; l'apparente silenzio del Padre cela il Suo operare più portentoso. Ma soprattutto la Croce è l'evento in cui si vede Dio lasciarsi ferire dal paradossale e scandaloso rifiuto dell'uomo: le mani piagate, i piedi feriti, il costato aperto sono il segno che Dio prende in sé e con sé quell'enorme contraddizione che è l'umanità. Che importa se nell'uomo c'è alternanza di luce e tenebra, di bene e male, di giustizia e empietà? Dio lo comprendo nel modo più totale, prendendolo con sé e sono la Sua Luce, il Suo Bene e la Sua Giustizia a bastare. Non c'è da rendere ragione, non c'è perché a cui dare risposta, non c'è garbuglio da risolvere: c'è una Misericordia da cui lasciarsi comprendere.

Quale fede testimonia chi vive nella preoccupazione di nascondere le proprie mediocrità? Quale vangelo annuncia chi è preoccupato solo di condurre battaglie contro le contraddizioni dell'umanità? Quale Cristo rivela chi crede che la salvezza sia la liberazione da ogni incoerenza?

La Chiesa quando è la casa delle contraddizioni, è davvero la casa del Signore. Quando in essa si sentono a casa e pienamente a loro agio gli uomini segnati delle più aspre incoerenze. Quando coloro che non sanno risolvere le proprie infedeltà sentono di aver trovato una dimora. Quando chi non può rimediare ai propri tradimenti non ha più paura di essere di scandalo. Allora, davvero, la Chiesa è il tempio di quel Dio che sulle contraddizioni umane non incespica, ma ci fa un passo di danza.

 

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