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TESTO Commento su Secondo Maccabei 7,1-2.9-14; Seconda Tessalonicesi 2,16-3,5; Salmo 16; Luca 20,27-38

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2013)

Vangelo: 2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Triste vicenda quella dei sette fratelli del secondo libro dei Maccabei. Ma quanta speranza essa infonde. Speranza, non rassegnazione. Il quarto dei fratelli, torturato, ridotto in fin di vita, dice al suo aguzzino: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita». Una speranza che viene da Dio, ma anche da quel rapporto educativo che una madre coraggiosa ha instaurato con loro. È interessante proseguire le lettura del brano e lasciare cantare nel cuore le parole di quella donna di cui non conosciamo il nome, ma che vorremmo chiamare "madre dignità": "Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore dell'universo, che ha plasmato all'origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi»" (20-23).
In Israele la fede nella resurrezione ha avuto un inizio tardivo, ma l'esperienza della persecuzione e del martirio ha giocato un ruolo non indifferente nell'aprire spazio a questa speranza. La vita si gioca qui e ora nelle contraddittorie vicende quotidiane, ma ha un suo sbocco nell'aldilà, questa è la consapevolezza che infonde coraggio ai sette fratelli e alla loro madre. Una consapevolezza molto differente rispetto a quella dei sadducei, protagonisti del brano di evangelo di Luca. In realtà, la difesa della legge del levirato ha una sua valenza storica nel qui e ora. Gesù non la rinnega, sapendo però che in fondo la legge - ogni legge - è fatta per il tempo presente, mentre le tensione del credente - che non disprezza l'immanente e neppure la legge, anche se la relativizza - è rivolta appunto all'aldilà, a quel futuro dopo la morte che Lui, il Risorto, ci addita. Ma non si tratta di una religione-oppio, perché se non ci fosse la risurrezione del Cristo la religione - ogni religione - sarebbe funesta. Si tratta di una speranza che, come ricorda Paolo ai cristiani di Salonicco, Dio nostro Padre infonde in noi, perché ci ha amato, ci ama sempre, ci conforta e ci conferma in ogni opera e parola per il bene. Perché questo nostro Dio è il Dio della vita, non della morte.
Non si tratta di una speculazione teologica astratta e disincarnata, perché la vita è quanto di più concreto viviamo. Interessa noi tutti, la nostra coppia, le nostre famiglie.
Traccia per la revisione di vita.
- Quale fede trasmetto ai figli? Qual è il Dio che addito loro, il Dio della vita o della morte?
- Come viviamo il nostro matrimonio?
- La Parola di Dio è lampada per il nostro cammino quotidiano di coppia?
Luigi Ghia
"Famiglia Domani" - Rivista dei CPM Italiani

 

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