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TESTO La fede: la tua risposta

Marco Pedron  

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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2013)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Il vangelo inizia dicendo: "Durante il viaggio verso Gerusalemme" (Lc 17,11). Cosa è successo prima? Gli apostoli hanno chiesto a Gesù (domenica scorsa): "Aumenta la nostra fede" (Lc 17,5). Ma Dio può aumentare la nostra fede?

Una prima risposta era venuta domenica scorsa: "Se ne aveste anche solo un po' (granello di senapa!)!". Oggi c'è la seconda risposta. Dio può aumentare la nostra fede? No! Perché? Adesso lo vediamo!

"Gesù" (Lc 17,11). Qui c'è solo Gesù, sembra che solo lui faccia la strada ma, invece, sappiamo bene che con Gesù ci sono i discepoli (Lc 17,1.5). I discepoli, infatti, non lo seguono, lo stanno solo accompagnando.

"Attraversava la Samaria e la Galilea" (Lc 17,11).

E' una delle varie incongruenze del vangelo. In Palestina c'è a nord la Galilea, al centro la Samaria e a sud la Giudea, dove c'è Gerusalemme. Com'è possibile che attraversi la Samaria (centro) e poi la Galilea (nord) visto che sta andando a sud? E' chiaro: sono i Galilei (dove si trova adesso Gesù) e non gli odiati ed eretici samaritani quelli aperti, disponibili, a Gesù. E i Galilei non sono nient'altro che i suoi discepoli (per la maggior parte venivano proprio da lì).

Lc fa vedere che quei lebbrosi sono proprio i discepoli che sono incapaci di accogliere il messaggio di Gesù, presi dalle loro precedenti credenze giudaiche - quant'è difficile liberarsi dall'insegnamento della famiglia e della cultura ed essere liberi!

Ad uno studio attento vi sono poi altre varie incongruenze: come fa un samaritano andare dagli stessi sacerdoti dei giudei? Mai un samaritano sarebbe andato dai sacerdoti degli ebrei. E ancora: Gesù è rimasto lì sul posto ad aspettare il suo ritorno (visto che era in viaggio verso Gerusalemme)?

"Entrando in un villaggio" (Lc 17,12). Chomè (gr.), villaggio, è un termine tecnico che usano gli evangelisti: il villaggio è il luogo della tradizione, dove si fa difficoltà a comprendere la novità e il messaggio di Gesù. Quindi quando nei vangeli troviamo villaggio (chomè) vuol dire che troveremo sempre incomprensione ed opposizione a Gesù. Quindi Lc dice: "Preparati ad un'opposizione".

"Gli vennero incontro dieci lebbrosi" (Lc 17,12). Ma noi sappiamo che i lebbrosi non potevano vivere in un villaggio. Come mai, allora, questi lebbrosi stanno dentro al villaggio, cosa che era impossibile?

Lc, allora, vuol fa capire che questi sono lebbrosi proprio perché vivono nel villaggio. E' il villaggio che li ha resi così! E' il villaggio, il luogo della tradizione che li ha resi impuri. I lebbrosi quindi sono i discepoli che sono schiavi della tradizione, della mentalità vecchia e che non accolgono il nuovo messaggio di Gesù.

"Lebbrosi" (Lc 17,12).

Cos'era la lebbra? La lebbra è la malattia di Hansen, la lebbra appunto. Ma il termine ebraico sara'at si riferisce ad escrescenze fungose, a vari tipi di muffa', alle infezioni in genere della pelle negli esseri umani quali, ad esempio, la psoriasi, l'eczema, la vitiligine, la dermatite. Lebbra=tutte le malattie della pelle.

Ma avere la lebbra voleva dire essere un morto vivente perché dovevi vivere isolato da tutti, separato e lontano. Non potevi comunicare con nessuno, eri un isolato, un imprigionato. La lebbra era una morte sociale: cioè, anche se eri ancora vivo la società, gli altri, il mondo, ti trattava come un morto, perché tu non esistevi più per nessuno. Era una sentenza di morte lenta.

Al sacerdote spettava il compito, dopo la guarigione, esaminato il lebbroso, di dichiararlo puro, guarito. Allora il guarito si sottoponeva a tutta una serie di riti e veniva reintegrato nella società. In realtà quando ci si ammalava di lebbra non si guariva più.

"Fermatisi a distanza, alzarono la voce" (Lc 17,12).

Cosa diceva la Bibbia al riguardo? La Bibbia era molto chiara e spietata a proposito (Lv 13,45): "Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: "Immondo, immondo". Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dall'accampamento".

Per questo si fermano a distanza e urlano: lo devono fare per non contaminare qualcuno.

"Dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi"" (Lc 17,13). Qui c'è un altro indizio che i lebbrosi sono i discepoli. Noi non possiamo coglierlo perché non leggiamo il testo in greco.

Qui c'è scritta la parola "maestro" (che in greco sarebbe didaskalon) ma nel testo greco c'è una parola diversa, epistata, che vuol dire "capo, presidente, direttore". Perché utilizzare una parola diversa? Perché in Lc (Lc 5,5; 8,24.25, ecc) questo titolo di "capo" viene messo in bocca solo ai discepoli.

Quindi sono i discepoli qui che invocano Gesù: sono i discepoli che sono lebbrosi. I discepoli sono lebbrosi perché non riescono a staccarsi dal vecchio e sono ancorati ancora nella vecchia tradizione religiosa, che come una lebbra fa morire le persone.

"Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti"" (Lc 1714). I sacerdoti fungevano da una specie di servizio di igiene per certificare se la lebbra era sparita. Quindi se i sacerdoti ti dichiaravano "guarito", tu tornavi a vivere. Facevi tutta una serie di riti e un sacrificio al tempio di Gerusalemme (cfr Lv 14,1 ss.) ed eri di nuovo un uomo!

"E mentre essi andavano, furono sanati" (Lc 17,14). Questo è interessantissimo: non sono purificati quando arrivano dai sacerdoti ma "mentre ci vanno". Cioè: nel momento in cui escono dal villaggio per andare dai sacerdoti questi guariscono. Allora, cos'è che li ammala? E' chiaro, il villaggio.

E' il villaggio che li rende impuri, lebbrosi. Nel momento che lasciano il villaggio, il luogo della tradizione, del nazionalismo, del "ci hanno sempre detto di fare così", questi vengono purificati.

"Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un samaritano" (Lc 17,16).

L'uomo che torna indietro fa tre cose per cui si capisce che ha riconosciuto Dio in ciò che gli è successo:
1. loda Dio a gran voce;

2. si getta ai piedi di Gesù (lett. cadde): riconosce l'autorità, la potenza di Gesù; in Gesù si vede Dio;

3. lo ringrazia: si usa lo stesso verbo dell'eucarestia (eucharisteo). Nel NT, eccetto qui che è Gesù, è sempre Dio l'oggetto di ringraziamento. E' un modo con cui Lc dice che in Gesù c'è Dio.

Ma chi è quest'uomo che riconosce che in Gesù c'è Dio? Un samaritano, cioè un eretico, il più lontano.

"Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?"" (Lc 17,18).

"Straniero" (gr. allogenes; cfr Es 12,43; 29,33) è il non-giudeo. Una iscrizione affissa al tempio di Gerusalemme gli vietava l'accesso nel cortile interno sotto pena di morte. E se fosse stato scoperto avrebbe dovuto incolpare se stesso della sua morte.

Nel tempio era proibito avvicinarsi al Signore. Qui invece è il Signore che attira gli stranieri.

"Rendere gloria a Dio" era un privilegio di Israele: ma, ecco la sorpresa, chi lo fa qui? Un non-giudeo!

"E gli disse: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato"" (Lc 17,18-19).

Cos'è allora questa fede? La fede è riconoscere il dono di Dio.

Dio ti fa un dono: l'amore e la vita (il dono di Dio è per tutti). La fede è la tua risposta al dono d'amore. Per questo Dio non può fare nulla per la tua fede. Non è che Lui te ne può dare tanta o poca. O ce l'hai o non ce l'hai. Magari ce l'hai vacillante, flebile, tremolante, ma ce l'hai. Perché la fede è la risposta dell'uomo ad un incontro, ad un'esperienza.

Qui tutti e dieci erano stati guariti e avevano incontrato Gesù. Ma solamente uno, e per di più il più eretico per i religiosi, si è lasciato toccare e coinvolgere. La fede, quindi, è l'accoglienza del dono di Dio. Ma non c'è fede senza esperienza.

La fede, quindi, è qualcosa che cambia la tua vita: il samaritano cambia strada, torna indietro e, lui che non crede in Dio, non fa altro che lodarlo e ringraziarlo. Fa cioè cose che prima mai aveva fatto.

Questa è la fede: quando hai incontrato Lui non sei più lo stesso e non lo sarai mai più. Per questo la gente piuttosto ama digiunare e fustigarsi in tanti modi ma non fare esperienza di Dio (fede). Perché Lui non lascia indifferenti.

Marcello Candia, tre lauree e 25 anni di attività imprenditoriale, vende l'azienda del padre e con il ricavato fonda un ospedale a Macapà sul Rio delle Amazzoni.

Madre Teresa a 38 anni sente chiaramente una voce, finché è in treno, che le dice di lasciare il convento per aiutare i poveri. E lei lo fa. Quando incontri Dio, lui è irresistibile.

Una donna malata di tumore fa un sogno dove sente una voce: "Vivi per me". Non è pazza: per lei quella voce è Lui. Cambia vita, lascia suo marito al quale vuole bene ma con il quale da vent'anni non c'è più amore, va vivere da sola e va in giro a portare la sua testimonianza su come è guarita dal cancro.

Fra Antonio Mendes Ferreira vive vicino a Rio de Janeiro. Ha fatto il marinaio per tanti anni ma dentro di sé c'è sempre stata una insaziabile ricerca della felicità. Un giorno in uno dei tanti porti incontra un uomo talmente miserabile da provare ripugnanza. Nonostante lo schifo, rimane lì a conversare con l'uomo. Ed ecco che all'improvviso, il mendicante, grazie alla conversazione con fra Antonio, si lascia andare a un sorriso radioso. E' quanto gli basta. Quel sorriso fece nascere in Antonio una felicità inspiegabile e scoprì la chiave della sua vita: prendersi cura dei condannati e degli umiliati di strada e (parole sue) "diventare un cacciatore di sorrisi sui volti tristi".

La fede è: 1. Sentirsi amati gratuitamente, quindi importanti, quindi essere qui per uno scopo. Non pensarlo: sentirlo. E' tutta un'altra cosa: la differenza tra il pensare ad un buon gelato e il mangiarlo!

2. Permettere che quest'amore (Dio) ci entri dentro, ci coinvolga, ci cambi e ci trasformi (conversione). La paura (degli altri, di sbagliare, ecc.) se ne va perché siamo radicati in Lui.

3. Rispondere gioiosamente e andare noi per la nostra missione. Dio ti ama; la fede è la tua risposta.

Ecco le tre parole chiavi della fede: sentirsi amati, trasformarsi, andare noi in prima persona.

E se noi siamo quei lebbrosi? Se mi identifico con loro? Qual è la mia lebbra?

La lebbra era una malattia vergognosa. Era un marchio indelebile che tutti vedevano.

Il vangelo mette in luce un cammino terapeutico, di guarigione, di uscita dalla lebbra.

Cosa fanno quei dieci lebbrosi? 1. Non si nascondono. 2. Riconoscono la loro vergogna 3. Fanno ciò che c'è da fare.

Pensate cosa doveva fare chi aveva la lebbra? Doveva andare giro con un sonaglio e suonarlo. Così nessuno si avvicinava. Capite che l'umiliazione, la vergogna: perdevi ogni dignità! La vergogna è la sensazione non solo di aver fatto qualcosa di sbagliato ma di essere noi stessi sbagliati. La vergogna mi dice che io stesso sono sbagliato... non vado bene... sono inferiore... faccio schifo. E' per questo che chi si vergogna arrossisce, si nasconde, si sente inferiore o bloccato. La vergogna ci toglie la dignità di esistere, di esserci, di vivere (nonostante i nostri sbagli).

Ver-gogna=andare (ver-so) verso la gogna (il collare medioevale stretto attorno al collo dove i condannati venivano esposti alla berlina).

Vi ricordate di quando una donna rimaneva incinta prima o fuori del matrimonio? Oltre al giudizio sociale vi era il giudizio religioso e la donna si sentiva "una poco di buono". Era una vergogna, un disonore e si teneva nascosta il più possibile la cosa. Alcune donne andavano a partorire in un'altra città perché nessuno lo sapesse! Conosco una donna la cui famiglia l'ha costretta non solo a partorire lontano da casa, ma ad abbandonare suo figlio, tanta era la vergogna (erano famiglia "di chiesa" e non potevano avere certe onte loro!!!).

In una classe di città tutti i papà dei ragazzi erano commercianti, avvocati, docenti, medici, impresari. Uno aveva il papà in carcere per delinquenza. E quando gli hanno chiesto, così per presentarsi, il lavoro del papà, lui ha detto: "Non ce l'ho". Si vergognava così tanto che era meglio non averlo!

Ci si vergogna perché si ha il padre alcolista, il genitore in galera o tossicodipendente o depresso, il fratello disabile, o per un fatto che ti ha fatto finire sui giornali o per un difetto fisico.

Alcuni politici di tangentopoli si sono tolti la vita per essere apparsi sui giornali accusati di corruzione.

Nel 2002 la diva nepalese Shreesha Karki si è impiccata per essere comparsa senza veli sulle pagine di un famoso giornale nepalese.

1. Non nasconderti.

Di fronte a certi fatti la prima situazione è quella di nascondersi per la vergogna, per paura del giudizio altrui. Ma cosa fanno nel vangelo i lebbrosi: vanno incontro a Gesù. Qualunque sia la tua situazione, allora, non nasconderti. Con le nostre "lebbre" ci verrebbe da chiuderci in casa: "Fai schifo! Non ti vergogni! Guarda cos'hai fatto! Non meriti di vivere".

Vi ricordate la veste bianca del battesimo? Forse la vostra no, eppure ne avete ricevuta una. Quella veste bianca non può mai essere sporcata: non perdete mai la vostra dignità agli occhi di Dio.

Zapatero, il presidente spagnolo, anni fa, dopo un attentato dell'Eta dice davanti a tutti: "Ieri ho detto che le cose andavano meglio rispetto a 5 anni fa e che sarebbero migliorate ancora. Anche se ciò non è comune tra i politici, ci tengo a riconoscere che ho sbagliato". Un giornalista gli chiede: "Cosa ci ha guadagnato a dire questo (tra l'altro non era tenuto a dirlo)?". "La mia dignità: potermi guardare allo specchio senza vergognarmi".

2. Riconosci la vergogna. Quando i lebbrosi si avvicinano a Gesù gli urlano: "Abbi pietà di noi!". Cosa fanno in sostanza? Dicono: "Sì, siamo lebbrosi". Che vuol dire: "Sì l'ho fatto! Sì è successo!".

Allora io devo imparare a dire: "Sì, scusa, qui ho sbagliato, mi dispiace", ma dobbiamo distinguere tra fare uno sbaglio (anche grande) ed essere sbagliati.

Quando le persone sbagliano io gli dico: "Ti racconterò una storia. Hai mai visto un bambino quando impara a camminare?". "Sì". "E quante volte cade?". "Tante!". "E si vergogna di essere caduto?". "No". "E perché non si vergogna?". "Perché è normale, visto che sta imparando". "Vale anche per te. E' normale sbagliare, perché se sapessimo certe cose, se avessimo certe informazioni, se sapessimo fare ciò che non sappiamo fare, non lo faremo".

Io mi devo dire: "Sì, è vero, ho sbagliato. Adesso, però, ho imparato qualcosa e so qualcosa in più".

3. Fai ciò che c'è da fare. In genere la terapia è fare qualcosa che ci fa paura fare.

Cosa fa fare Gesù a quei lebbrosi? 1. Li fa uscire dal villaggio. Forse il villaggio, come un nido, come una madre, li proteggeva; ma quella protezione diventava mortale. Quindi se ne devono andare.

Un ragazzo, vent'anni, figlio di ragazza-madre si vergognava di uscire con gli amici, di scherzare, di stare in gruppo, di confrontarsi con loro e aveva paura di essere rifiutato dalle ragazze. Così se ne stava sempre in casa.

Quando la sua guida gli disse: "Devi uscire", lui le rispose: "Io ho paura". E la guida: "Lo so, ma lo devi fare lo stesso". "E non solo devi uscire, ma devi anche lasciare tua madre".

2. Li manda dai sacerdoti. E' chiaro che avrebbero fatto di tutto piuttosto che esporsi, mostrarsi, farsi vedere dall'autorità. Ma è quello che devono fare.

Parecchi anni fa un ragazzo ebbe una storia occasionale con una donna e questa rimase incinta. Allora andò da suo padre pur sapendo che non sarebbe mai stata accettata. Quando poi lo rividi gli chiesi: "E allora, come è andata?". "Me ne ha dette di tutti i colori, mi ha picchiato e mi ha sbattuto fuori di casa". "Mi dispiace...". "No, no, bene così. Vedi ho sbagliato, e ho sbagliato "di brutto". Ma dentro mi sento forte come una tigre e fiero come un leone perché posso dire: "Ho sbagliato" senza poter dire: "Che schifo che faccio". Lui si vergogna di me, ma io non mi vergogno di me. Se ho sbagliato mi assumerò le mie responsabilità, ma non sono sbagliato". Nota: oggi i due sono felicemente sposati.

Di fronte agli altri, all'autorità, ai genitori, quando sbagliamo, ci nascondiamo perché temiamo il loro giudizio. Ma Gesù dice: "Non temete nulla".

Capisco allora le meravigliose parole di Mt 26-30: "Non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato (la vergogna ci porterebbe a nascondere, a tacere le cose). Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti (ma non dobbiamo temere di riconoscere ciò che siamo, ciò che abbiamo fatto, la nostra storia: siamo noi!). E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna (la cosa peggiore, il vero morire, è quando noi ci vergogniamo di noi e uccidiamo la nostra anima). Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! (agli occhi di Dio, mai e poi mai perdiamo la nostra dignità e il nostro valore, qualunque cosa sia successa o abbiamo commesso)".

Passavo per quel paese e andai, senza preavviso, a dare un saluto ad una donna che per tanti anni era stata la mia guida. Era una persona eccezionale, una di quelle fuori dalla norma, che trasmettono fiducia per il solo fatto di esserci. Era verso cena, entro, mi accoglie con gioia e vedo preparata la tavola in modo sontuoso: doppio piatto e bicchiere, candela accesa, musica di sottofondo e incenso che brucia.

Mi sentivo fuori posto perché pensavo: "E' una cena romantica (c'erano tutti gli ingredienti). L'unica cosa strana era che c'era solo un piatto. Allora le chiedo: "Deve arrivare qualcuno?". E lei: "Sì, arrivo io". Io non riuscivo a capire: "Ma festeggi qualcosa?". "Sì, festeggio me, che sono la persona più importante del mondo".

Quando ci si ama così... davvero non ci si può mai vergognare di sé.

Pensiero della Settimana

Gli uomini vincenti trovano sempre una strada...
i perdenti una scusa.

 

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