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TESTO Commento su Luca 18,9-14

fr. Massimo Rossi  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/10/2013)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La parabola del fariseo e del pubblicano viene abitualmente interpretata come duplice tipologia di fedele, l'una alternativa e di segno opposto, rispetto all'altra: o si è come il fariseo, oppure come il pubblicano; nostro malgrado, nella pratica religiosa, ci comportiamo più da fariseo che da pubblicano... la morale della favola è questa, almeno, quella consueta.

Ebbene, oggi propongo di rimescolare le carte: in altre parole, provate a vedere i due personaggi della storia come due aspetti, due atteggiamenti della stessa persona: talvolta siamo un po' come il fariseo e talvolta un po' come il pubblicano, un po' doctor Jeckil e un po' Mr.Hide; esageriamo nelle litanie delle nostre virtù, ci diamo un sacco di arie, in famiglia, o peggio ancora, fuori casa, forse più fuori casa che in famiglia, visto che in famiglia ci conoscono meglio, e c'è ben poco da vantarsi. E mentre ci facciamo belli davanti al mondo, anneghiamo letteralmente nei sensi di colpa.

In entrambi i personaggi della parabola ci sono aspetti buoni, che dobbiamo cogliere e valorizzare; tutti e due manifestano dei lati negativi, che ugualmente dobbiamo riconoscere per evitarli.

Il lato positivo del fariseo è la consapevolezza del bene: l'onestà, la giustizia, la fedeltà,... sono virtù indubbie, e non vedo che cosa ci sia di male nel riconoscerle in sé stessi; non si fa il bene per averne un profitto; si fa il bene perché fare il bene fa bene, prima di tutto a colui che lo compie.

Il peccato comincia quando il fariseo lascia emergere l'orgoglio, sempre latente nella natura umana; ci vuole poco per cadere nella trappola della superbia, non è necessaria alcuna fatica, basta assecondare l'istinto. Beh, adesso non si venga ad accampare scuse, del tipo: "Son fatto così, siamo fatti così...". Le nostre facoltà superiori, l'intelletto, la volontà e la libertà, ci sono state date dal Buon Dio proprio per moderare gli istinti, elevandoci dal livello puramente animale a quello di persona, ad immagine e somiglianza del Creatore.

Dal canto suo, il pubblicano possiede il lato positivo della consapevolezza del suo peccato e lo confessa senza nascondersi dietro a un dito, e neppure invoca il fatto che "...tanto, lo fan tutti, chi più chi meno", altra scusa diffusissima tra i cristiani, quasi che il male diventasse un bene, solo perché lo fanno tutti. Riflettiamo attentamente sui nostri "sì, ma...", "sì, però...", sulle ‘attenuanti' che opponiamo ogni volta che siamo colti in flagranza di peccato.

Anche il pubblicano manifesta tuttavia un aspetto che non è secondo il Vangelo, non rientra nella mentalità cristiana: gli manca il coraggio di alzare lo sguardo per guardare Dio dritto negli occhi. Il senso del peccato è vero senso del peccato se e soltanto se confidiamo nel perdono del Padre! In altre parole, quando ci accostiamo al sacramento della riconciliazione, la nostra attenzione si deve spostare dai nostri peccati all'Amore che perdona; se, mentre riconosciamo le colpe, restiamo ancora ripiegati su quelle, se la percezione di noi-peccatori non si muta in convinzione d'essere figli-salvati, destinatari della Grazia, il sacramento sarà stato celebrato invano! C'è un'ipocrisia reale, anche se subdola; una finzione non del tutto conscia, forse, ma c'è: presentarci al confessore, senza credere sul serio che Dio ci perdonerà completamente, anzi, ci ha già perdonato. Del resto, è la fede che ‘attiva in noi' la grazia che salva.

Che la Grazia sia un fatto oggettivo non ci piove... ma la sua efficacia in ciascuno dipende esclusivamente dalla fede. È come se nostro padre avesse depositato in banca una somma di denaro esagerata;....tuttavia noi non andiamo mai ad attingervi. La somma è sempre a nostra completa e gratuita disposizione, ma, finché rimane in banca, noi non ne trarremo alcun beneficio.

S.Agostino scrive: "Colui che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te!": la salvezza terrena, che è salvezza dai peccati, richiede inevitabilmente la nostra collaborazione; l'uomo collabora alla Grazia di Dio, cominciando col crederci!

Credere nell'efficacia della Grazia di Dio in noi, non è solo un atto della mente. Se la fede non muove la nostra volontà, non è vera fede cristiana. Credere nell'efficacia della Grazia significa anche credere che ce la faremo a fuggire le tentazioni, ce la faremo a lottare contro la nostra natura che ci inclina a cedere... Non si tratta di promettere che da oggi non commetteremo più alcun peccato, sarebbe presunzione; ciò che dobbiamo promettere è che da ora in poi saremo più attenti, da ora in poi saremo più coraggiosi, lavoreremo con maggiore energia per abbassare almeno la frequenza delle nostre cadute, lavorando così alla costruzione della nostra santità. Pochi giorni e celebreremo la solennità di Tutti i Santi! Cominciamo a pensarci e soprattutto a fare qualcosa di concreto per diventare più santi... Dalla nostra santità, dipende la santificazione del mondo.

Evitando i due estremi suddetti, il primo, l'orgoglio e il secondo, il disimpegno, l'uomo credente raggiunge la sua piena verità, cioè l'umiltà del cuore. Come ho già detto altre volte, il sinonimo di umiltà è verità di sé: non è necessario sottovalutarsi, per piacere a Dio... Al contrario, sarebbe un affronto alla Bontà celeste, non manifestare i talenti ricevuti, mettendoli al servizio del prossimo. Al tempo stesso, l'atteggiamento più consono all'ideale cristiano è la conversione, di cui la figura del pubblicano che si batteva il petto è un simbolo.

Non si può concludere la riflessione sulle letture di questa XXX domenica senza fare almeno un accenno al testamento spirituale di Paolo indirizzato al fratello Timoteo a modo di commiato: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.".

Non c'è tristezza in queste parole, al contrario, una luce di speranza che poggia sulla certezza della Risurrezione di Cristo, ma anche sulla tranquilla coscienza di avere aderito con tutto se stesso al Vangelo. Questa è la verità dell'apostolo, niente a che vedere con la prosopopea orgogliosa e saccente di chi strumentalizza anche del Vangelo pur di accumulare tesori in terra. L'apostolo dei pagani aveva, anche lui, i suoi punti deboli, i suoi difetti, i suoi peccati; lo sapeva bene, e non li nascondeva. Ma, con altrettanta convinzione confessava la vicinanza del Signore, la forza che il Cristo gli infondeva, per poter compiere il ministero. Questo ministero fu per Paolo molto più che una professione, molto più che un servizio; fu la sua vita! Per testimoniare il Vangelo, san Paolo visse e morì: perfetta conformità al Vangelo, adesione totale e definitiva alla Persona di Cristo nella vita e nella morte. Ma tutto questo non era ancora abbastanza: era necessaria, è necessaria anche la partecipazione alla risurrezione di Cristo! Questo fu l'oggetto della speranza di Paolo (cfr. Fil 3,11). La risurrezione di Cristo è il fondamento della speranza di tutti noi cristiani: risorgeremo nella nostra forma migliore, perfetti nel corpo e nell'anima. Non ci mancherà nulla! Solo i nostri peccati non ci saranno più...ma quelli non mancano a nessuno.


"Lottare, soffrire il dolore della morte,

perché il nostro cuore abbia pace e trovi un Cielo aperto."

Dag Hammarsckjold

 

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