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TESTO La gratitudine diventa fede che salva

don Roberto Rossi  

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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2013)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Il Vangelo ci insegna a dire grazie di cuore e con gratitudine per i doni ricevuti da Dio. Tutto ci viene da Lui. Nei brani biblici viene presentato il tema della fede che ha confini razziali, culturali, sociali. Così i lebbrosi Naaman e il samaritano giungono ad una fede vera.

Si fanno incontro a Gesù dieci lebbrosi che urlano a distanza.

La lebbra è una malattia terribile e devastante, che rovina il corpo, lo spirito e le relazioni.
Dei dieci uno è straniero, nemico, un samaritano.

Ma la malattia e il dolore accomunano ogni uomo, senza distinzioni. La sofferenza accomuna tutti.
Urlano il loro dolore, il loro abbandono, la loro preghiera.

Gesù chiede loro di andare dai sacerdoti per essere guariti.

La guarigione non è istantanea, richiede un cammino, un fidarsi; Dio non ama i miracoli eclatanti, chiede sempre consapevolezza, cammino, fiducia.

I dieci vanno e, mentre camminano, si accorgono di essere guariti.

Stupiti, sconvolti, i lebbrosi guariti adempiono la richiesta di Gesù e vanno dal sacerdote. Eccetto uno, colui che non ha tempio, che non ha sacerdoti, non ha religioni ufficiale.

Umanamente non sa dove andare il samaritano e torna sui suoi passi. Torna da Gesù.

Uno solo torna a ringraziare, pieno di fede.

Gesù constata che dieci sono stati sanati, ma uno solo salvato. E si esprime con dolore.

Una volta guariti, le differenze tornano: nove vanno al tempio e il samaritano, di nuovo solo, senza un tempio in cui essere accolto, corre dal tempio della gloria di Dio che è Gesù.

Il samaritano torna indietro lodando Dio a gran voce, non può tacere, urla la sua gioia: la sua solitudine e la sua emarginazione sono finalmente finiti. E gli altri? Chiede Gesù.

Guarire gli uomini dalla loro ingratitudine è ben più difficile che guarirli dalle loro malattie.

La gratitudine, la festa, lo stupore, sono atteggiamenti connaturali all'uomo, eppure manifestati troppo poco nella nostra vita. Siamo tutti molto lamentosi, sempre pronti a sottolineare il negativo.

Diamo tutto per scontato: è normale esistere, vivere, respirare, amare; normale e dovuto nutrirsi, lavarsi, abitare, lavorare...

Il nostro sguardo, un po' assuefatto dalle cose scontate e dovute, non sa più aprirsi alla gratitudine.

Uno scrittore si esprime così, riecheggiando un po' papa Francesco: "Come vorrei vedere uscire dalle chiese - almeno d'ogni tanto! - qualcuno che torna a casa lodando Dio a gran voce...

Come vorrei vedere più sorrisi sulle labbra dei cristiani, più lode nelle loro preghiere, più gratitudine nei gesti di coloro che, guariti dalle loro solitudini interiori e dalla lebbra che è il peccato, sono anche salvati e fatti Figli di Dio".

Essere guariti non significa essere salvati.

I nove ingrati sono la perfetta icona di un cristianesimo molto diffuso, che ricorre a Dio come ad un potente guaritore da invocare nei momenti di difficoltà. Che triste immagine di Dio si fabbricano coloro che a lui ricorrono quando c'è bisogno, che lasciano Dio ben lontano dalle loro scelte, dalla loro famiglia, salvo poi arrabbiarsi e tirarlo in ballo quando qualcosa va storto nei loro progetti.

I nove sono guariti: hanno ottenuto ciò che chiedevano, ma non sono salvati.

Rimasti chiusi nella loro parziale e distorta visione di Dio, guariti dalla lebbra sulla pelle, non vedono la lebbra che hanno nel cuore. Quanto è importante giungere alla fede vera, non fermarsi ad un rapporto con Dio interessato solo alle cose materiali o alla salute.

Gesù ci dice che la salute, pur importante, non è tutto, più della salute c'è la salvezza.

E la felicità consiste nell'aprire il cuore alla gratitudine di un Dio che ci guarisce nel profondo da ogni solitudine, da ogni dolore. La guarigione raggiunge il samaritano nel corpo e nell'anima: lui, riconoscente, è salvato. "Alzati e và, la tua fede ti ha salvato".

 

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