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TESTO Commento su Luca 18,1-8

fr. Massimo Rossi  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/10/2013)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Che peccato! il Vangelo di oggi era cominciato così bene!... e finisce così male!... "Quando il Cristo ritornerà, troverà ancora fede sulla terra?". Se dobbiamo essere sinceri, neanche ora ci sono evidenti sintomi di una fede reale, tangibile, adulta... Domenica scorsa mi sono permesso un'allusione alla credibilità dei cristiani: credenti sì, ma anche credibili, predicava il cardinal Carlo M.Martini

"La fede fa miracoli!" dice un vecchio proverbio, e quando una verità diventa proverbio popolare significa che è l'esperienza di un popolo a parlare; dunque c'è da fidarsi! Quanto a ‘sensus fidei', il popolo non sbaglia: anche questo argomento rientra fra le convinzioni fondate e fondanti della Chiesa: la fede del popolo di Dio è fede certa e infallibile! Possiamo stare tranquilli... Ma allora, perché Gesù insinua nei suoi discepoli il dubbio che la fede possa estinguersi? È un dubbio del tutto ragionevole: da quando la fede è stata infusa con la Grazia del battesimo, (la fede) partecipa delle potenzialità della persona umana; e come le potenzialità umane possono venir meno con il tempo, specialmente quando non vengono attivate, anche la fede può atrofizzarsi e infine morire.

Vi sarete certo resi conto che, in queste ultime domeniche, la riflessione sulla fede è il mio chiodo fisso. In realtà (la fede) è il chiodo fisso del Vangelo: la fede non è quel generico bisogno di religiosità, quell'istintiva e istintuale inclinazione alla ricerca di assoluto; meno ancora, la curiosità del trascendente; conosciamo bene le derive alle quali può condurre un approccio non codificato con il divino. Perdonate l'espressione un po' tecnica: avere un approccio non codificato con il divino, percorrere strade religiose diverse da quelle istituzionalizzate - il che è lo stesso -, significa rifiutare di dare un nome e una identità all'Assoluto: si preferisce chiamarlo Entità superiore, Infinito..., oppure non chiamarlo affatto.

L'uomo è capace di pensare che esista qualcosa di più grande dell'umano, che vada oltre il puro fattuale, oltre il puro biologico, oltre il materiale... qualcosa che vada oltre ciò che possiamo vedere e toccare; qualcosa che dia qualche garanzia di tenuta, che resista all'usura del tempo, che non conosca la fragilità, la precarietà, che non obbedisca ai capricci delle mode, qualcosa che il denaro non possa comprare... già, qualcosa....

Qualcosa... o qualcuno? "This is the problem", direbbe Shakespeare.

Se non ci arrendiamo al fatto che il Divino sia una persona e che la fede sia una relazione con questa Persona, allora la nostra preghiera sarà sempre una freccia scoccata nel vuoto, con poche probabilità, anzi, nessuna, di centrare il bersaglio, di raggiungere l'Assoluto e di essere esaudita. Invece la preghiera cristiana può riuscire solo sulla via che conduce a Dio ed è stata aperta da Lui stesso, dal suo Verbo fatto carne.

Dio non è un oggetto mondano e neanche un ente ultramondano, che si possa conquistare, dopo un adeguato tirocinio, con una specie di volo spaziale dello spirito. Il Dio della fede è la libertà infinita che si è resa finita e accessibile di propria iniziativa. Dal momento che Egli non solo ci ha rivolto la Sua Parola, ma l'ha fatta abitare tra noi, la Parola venuta da Dio è diventata anche quella che a Dio ritorna; questo andirivieni divino ha finalmente aperto il canale, ha tracciato un sentiero (tra Dio e noi) che la nostra preghiera può finalmente percorrere e, ne siamo certi, raggiungerà la sua meta: "Io sono la via, io sono la verità, io sono la vita" (Gv 14,6), "Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre" (Gv 12,46).

Siamo nel mese di ottobre, dedicato alla devozione ai mistero del Rosario: non possiamo evitare di sottolineare che questa Via è venuta a noi nell'unico modo che potesse consentirci di percorrerla. Altrimenti la Luce avrebbe solo brillato nelle tenebre e queste non l'avrebbero accolta; sarebbe venuta nel mondo, ma i suoi non l'avrebbero ricevuta.

Qualcuno dovette ricevere la Parola in modo così incondizionato che questa si fece posto in una creatura umana, si incarnò in lei, come il figlio in sua madre (cfr. Gal 4,4).

Questa madre, che si è aperta e offerta senza riserve alla Parola di Dio, non siamo noi; nessuno di noi sarebbe stato capace di pronunciare un ‘sì' a Dio così incondizionato; il consenso perfetto è impossibile a noi. Eppure esso fa parte delle condizioni dell'incarnazione. La Parola di Dio non avrebbe potuto incarnarsi in un cuore che si fosse aperto a Dio solo per metà, poiché il figlio è per essenza dipendente dalla madre, si nutre della sua sostanza psicosomatica, viene da lei allevato in un vero e fecondo essere-uomo.

L'essere prima della Madre, indica pertanto lo schiudersi della possibilità che anche noi diventiamo capaci di dire di sì a Dio, (la possibilità) che il Verbo arrivi davvero fino a noi, e noi arriviamo davvero a Dio con le nostre preghiere. "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parole di Dio e la osservano!" (Lc 11,27). "Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, mia sorella e madre mia." (Mc 3,35).

Il permanente ‘prima' di Maria costituisce la condizione di possibilità del nostro stare-con-Dio: la comunione che Dio stringe in lei con l'umanità, diventando Figlio dell'uomo, è il fondamento di una comunità che ci unisce tra noi, come Figli di Dio e che noi chiamiamo Chiesa.

Maria, la Madre, è la perpetua premessa, il punto di origine, la perfetta realizzazione della Chiesa, della quale noi possiamo far parte, se vogliamo, come coloro che sono in cammino verso il consenso perfetto.

Nell'esaltare la persona di Maria, noi riconosciamo il ‘prima' della sua riuscita, ci facciamo indicare da lei la via del consenso ecclesiale a Dio e, nello stesso tempo, ci inoltriamo su quella via, sulla via che Maria percorre davanti a noi. Tutto ciò è avvenuto perché Dio ci ha amati.

In occasione del suo discorso di addio, il Signore pronunciò queste parole a modo di preghiera al Padre: "Voglio che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu, Padre giusto, mi hai dato" (Gv 17,24ss.). Questo è il fine della vita cristiana: questo sia l'oggetto di ogni nostra preghiera.

E Dio la ascolterà, ci ha dato una caparra che non può più riavere indietro: la vita di suo Figlio!

"...Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.

Lascia che tutto il mio io ti serva, e liberami dalla paura."

Dag Hammarsckj-ld

 

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