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TESTO Fede, purificazione e riconoscenza

padre Antonio Rungi

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2013)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

In tempi difficili come i nostri, in cui la riconoscenza non entra nella dimensione delle relazioni umane nei rapporti tra le persone, la parola di Dio di questa domenica ci dà l'esatta misura di come esprimere la nostra gratitudine a Dio per tutto quello che ogni attimo riceviamo senza nostro merito o perché migliori degli altri.

E' soprattutto il testo del Vangelo di questa domenica, classificato come dei "dieci Lebbrosi", che ci fa capire come sia distante il nostro modo di pensare ed agire rispetto a quello del Signore. Su dieci lebbrosi guariti, nonostante il consiglio e l'indicazione data dallo stesso Gesù che aveva guarito tutti, solo uno (diremmo oggi in termini statistici: il 10%) va a ringraziare Dio; mentre il restante 90% non sente né l'esigenza, né il dovere morale di farlo. E' come dire che solo il 9-10% dei cristiani che oggi frequentano regolarmente la chiesa, soprattutto di domenica, rende grazie al Signore per i benefici che ricevono ogni giorno e caratterizza di spiritualità la giornata di festa, la Pasqua settimanale, che celebriamo la Domenica. E' questa fede e religione superficiale, non sentita o all'acqua di rosa, scialba, che molti cristiani vivono oggi, pensando di essere dei buoni cristiani. Non è affatto così. La riconoscenza e la gratitudine nascono e si sviluppano nel quadro di una fede vera, autentica e sincera. Solo chi ha fede sa dire grazie ogni attimo a Dio. Quante volte i nostri genitori, nonni ed educatori, di fronte alle nostre continue lamentele, ci ricordavano sistematicamente di dire grazie a Dio per tutto: per la vita, per la famiglia, per il lavoro, per il cibo (anche se poco) per la salute ed anche per la malattia quando sopraggiungeva e nella fede doveva essere giustamente accettata con rassegnazione alla volontà di Dio. "Signore mai peggio"; ringrazia il Signore che poteva andare peggio, contentati di quello che hai, erano e sono i continui appelli e messaggi per ricordare e rammentare che davvero dobbiamo inginocchiarci per dire grazie a Colui che tanto di dona e ci offre per la nostra vita fisica e spirituale.

Comprendere lo stretto rapporto che intercorre tra fede e gratitudine non è facile. Perché spesso la fede è strumentale. E' finalizzata ad ottenere e poi a dimenticare il dono ricevuto. La fede è altra cosa che ricevere una grazia ed un favore. La fede è costante dialogo con Dio, è un costante dire "grazie Signore" per tutto quello che ci dona. Ci ricorda Paolo, che è in carcere e soffre tanto per il vangelo, nel brano della lettera a Timoteo che: "Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso".

La salute del corpo per i più è quella che interessa la stragrande maggioranza dei fedeli. E non sempre si ha la stessa attenzione e preoccupazione per la salute spirituale. Nella colletta specifica della domenica odierna noi così preghiamo: "O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa' che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio".

Nella prima lettura di oggi, tratta dal secondo libro dei Re, si parla di Naaman il lebbroso che attraverso la purificazione dell'acqua del giorno venne guarito dalla sua malattia corporale. La lebbra del corpo rimanda alla lebbra dell'anima, il peccato, che per essere purificato e rimesso necessita della grazia sacramentale della confessione e penitenza. Quanti avvertono oggi la necessità di confessarsi, di purificarsi da quella lebbra mortale che è l'egoismo e la presunzione di essere senza macchia e senza peccato? Forse moltissimi, se non ci si confessa più, se la coscienza del peccato è cambiata nella nostra società e non ci si ritiene peccatori, perché non si fa alcun male fisicamente agli altri. La coscienza del peccato nasce anche dalla qualità e dalla grandezza della nostra fede. Più ci avviciniamo a Dio e più prendiamo coscienza delle nostre fragilità e miserie, che nel sangue preziosissimo di Cristo vengono purificate e perdonate.

Nel testo del Vangelo di Luca di questa domenica possiamo perciò trovare tutti i suggerimenti pratici per comportarci da veri cristiani, che riconoscono davanti a Dio le proprie colpe, chiedono la salvezza e la purificazione ed una volta ottenutala attraverso il sacramento della riconciliazione vanno per le strade del mondo per annunciare quanta e grande ed infinita la misericordia di Dio. Sappiamo anche noi davanti alle nostre povertà spirituale gridare come i lebbrosi: Gesù, abbi pietà di noi.

Questa invocazione, che introduce la celebrazione eucaristica ed entra nella preghiera che la comunità dei credenti rivolge al Signore all'inizio della messa, diventa presa di coscienza delle nostra pochezza, come ci viene ricordato nell'antifona iniziale della liturgia di questa domenica: "Se consideri le nostre colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso di te è il perdono, o Dio di Israele".

 

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