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TESTO Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo

mons. Antonio Riboldi

Santissima Trinità (Anno C) (06/06/2004)

Vangelo: Gv 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 16,12-15

12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

C'è una preghiera breve, semplice, che più che preghiera è un grandissimo atto di fede, che quasi tutti, per non dire tutti, facciamo in diversi momenti del giorno, non sempre riusciamo a coglierne la divina bellezza.

E' il "segno della croce". Tanti di noi iniziano e terminano la giornata segnandosi nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Tanti lo fanno prima di mangiare o di iniziare un lavoro. Ho visto gente che lo fa prima di salire in aereo o avviare la macchina per un viaggio. Ho incontrato uomini che negano di credere in Dio, ma non tralasciano il segno della croce.

Mamma, e tante mamme, lo fanno sulla fronte del loro figlio, magari appena nato, come ad affermare che quel bambino, dono di Dio, lo affidiamo subito al Padre.

Così come noi sacerdoti e vescovi iniziamo ogni atto liturgico sempre con il segno della croce, accompagnato dal saluto: "la pace sia con voi".

Ed infine a quel segno affidiamo i nostri defunti: è l'ultimo saluto che li accompagna a Dio con la croce ben stretta nelle mani.

Il significato di questo segno è affermare la nostra fede nella Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, ricordandoci che noi apparteniamo al loro amore e a Loro ci affidiamo. "Tutto quello che il Padre possiede è mio: per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo darà" (Gv 16,15).

Nello stesso tempo, facendo il segno della Croce, facciamo presente al nostro cuore il grande amore con cui il Padre ci circonda per intero, abbracciando quasi la nostra vita, come fosse la sua, ricordiamo la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, che si è attuata passando proprio per la croce.

Noi sappiamo che diventiamo a pieno titolo figli del Padre, nel momento stupendo del Battesimo, partecipando così pienamente alla sua santità, alla sua felicità e divenendo preziosi al suo Cuore come lo è sempre un figlio con il papà e la mamma. Dovrebbe essere la nostra vita, "una vita da figli di Dio", improntata come la Sua a bontà, santità, gioia, speranza e tutto quello che volete di bello e di buono. C'è troppa gente che ignora tutto questo e a volte quasi maledicendo il dono di essere figli di Dio, dice: "Ma che vita è questa? che senso ha? sarebbe stato meglio non nascere". Ma quanti hanno coscienza di questa grande vocazione avuta nel Battesimo, di appartenere alla famiglia di Dio, amano la vita, costruiscono giorno per giorno quella santità che li renda degni un giorno di vivere insieme al Padre nella sua gloria, quando ci dirà: "Vieni benedetto nel Regno preparato per te e peri quanti mi amano. E se parliamo di Padre, ci viene spontaneo guardare a tutti gli uomini come fratelli ed amarli come fratelli.

Ma come è legge dell'amore, Dio non sta con le mani nelle mani. Sapendoci figli deboli, pronti a voltarGli le spalle, come se fosse possibile senza di Lui dare alla vita un significato, che ne giustifichi la stessa esistenza, ci dona Suo Figlio Gesù, che, facendosi uomo, ci dice come quello che viviamo nel bene o nel dolore Lui lo ha fatto proprio, e lo fa proprio, riscattandoci dal peccato.

Lui è Dio che si fa vicino a noi sempre, addirittura, se lo amiamo, dimora in noi, come se Lui fosse il delizioso amico della vita, pronto a fare gli stessi passi, a sostenerci, ad andare in croce se necessario. E' l'amico che si fa "pane della vita", nella Eucarestia, misericordia nelle miserie, forza nelle prove. E' l'amico di cui abbiamo bisogno, che è sempre vicino. Forse poche volte ci accorgiamo che noi siamo il suo tabernacolo e Lui ci ama sempre.

La sua presenza difende la nostra dignità, attira l'amore degli altri, costruisce la comunione, al punto che dice: "Tutto quello che fate ad uno di questi miei piccoli lo fate a me". E ce lo dirà nel giudizio finale, quando ci giudicherà sull'amore.

E come non bastasse, tutta la Trinità si fa presente, con la presenza dello Spirito Santo, che segue lo svolgersi della nostra vita, ci ispira le scelte, ci dona quella gioia che è propria dello Spirito e dà ai nostri passi quella fortezza che a volte ci rende capaci di atti eroici...come è nella vita dei martiri e dei Santi. Davvero abbiamo un Dio, unico e trino, che non sta a guardarci dalla finestra, come facciamo sovente noi, guardando la vita degli uomini, ma non muovendo una mano: no, è un Dio che si dona tutto.

Con questa presenza davvero c'è da chiedersi come è possibile non vedere la vita con serenità, quella serenità che è nella fede che Dio è davvero con noi. Sempre. Non siamo soli. Perché un Padre partecipa alla vita del figlio come fosse un bene proprio, non intaccando il dono della libertà, che a volte ignora il bene che possediamo e, come figli prodighi, ci fa perdere dignità e felicità per cibarsi di ghiande, affamati, o per cancellare dignità e grandezza che è in tutti, figli del Padre, come è stato ampiamente raccontato nelle torture, non solo in Irak, ma in tante parti. Così può finire il bello che è in noi quando si sfratta la presenza della Trinità.

"La nostra Chiesa - scrive Mons. Bello - essendo icona della Trinità, deve essere per chi la guarda, incontro personale col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, viventi nella comunione. Anzi, più uno guarda la nostra Chiesa, più deve essere ricondotto al mistero trinitario, col desiderio di viverne le conseguenze...Intanto, essendo icona, deve mostrarsi come immagine della Trinità. Deve viverne la logica della comunione, la quale, anche se insidiata dalle contraddizioni e dal peccato, costituisce il filo rosso che deve attraversare il suo impegno. In secondo luogo, della Trinità non deve essere una immagine neutra da incorniciare perché faccia da soprammobile. Ma una immagine provocante. Che provoca cioè il mondo alla comunione.

Infine la Chiesa deve essere anticipo della tavola promessa. Luogo dove si sperimenta, nei segni, la comunione trinitaria cui siamo chiamati a partecipare in modo definitivo e completo, alla fine dei tempi. Se la Trinità è tavola promessa per tutto il genere umano, la Chiesa ne fa pregustare le vivande.

Questo è il senso della celebre espressione conciliare quando parla della Chiesa come sacramento, o segno o strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. Tra la Trinità e il mondo c'è la Chiesa".

Erano gli ultimi giorni della vita di mia mamma. Nella sua lunga vita di 99 anni, non si potevano contare i segni di croce che si era fatta ed aveva aiutato noi figli a fare. Non esito a dire che quei segni di croce erano come i passi della sua lunga esistenza: così come sono stati l'alfabeto della mia vita su cui Dio ha composto la mia esperienza. E ogni segno di croce esprimeva tanta fede che era come un dire, anche in situazioni che avrebbero fatto gridare alla disperazione: "Io ti amo, Dio, si faccia come vuoi Tu". Anche quando vide morire un figlio piccolo; si chiamava Francesco e veniva prima di me: o quando vide morire un'altra figlia, Maria Redenta, ed avevo dieci anni; o come quando non aveva più notizie di me, dopo il disastroso terremoto della Valle del Belice; o quando Sua Santità Paolo VI mi volle vescovo di Acerra. Per lei tutto era amore della Trinità, anche se a volte faceva tanto male. Credo che sentisse la presenza attiva della Trinità, come fosse la via da seguire con amore e qualche volta con dolore. Ma era ciò che contava.

Conoscevo molto bene quel suo muovere lentamente le mani nel fare il segno della croce, come fosse un credo sommesso. L'ho vista qualche giorno prima della morte, quando, come una consegna, volle che mi inginocchiassi per avere la sua benedizione e poi mi chiese di benedirla. Quel segno di croce, che ci faceva una cosa sola nella fede, nell'amore e nella voglia di eternità con Dio, lo conservo come un dono di Dio da non fare cadere mai né dagli occhi, né dal cuore, perché è stata come la visione del Cielo, in cui aveva sempre creduto e verso cui andava.
Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:
"O Dio, tu sei il mio Dio: io ti cercherò sempre.
La mia anima ha sete di te. La mia carne anela a Te.

Come l'aquila appartiene all'aria, come il delfino appartiene al mare, come il lupo appartiene alla terra, così noi apparteniamo a te, o Dio, uno e trino, mio Dio.

O Dio, Dio di tutti i popoli del mondo, aiutaci, in questi terribili momenti in cui pare abbiamo smarrito il sentiero dell'amore, del perdono, del rispetto all'uomo rendendoci mostri e non uomini usciti dalle tua mani, aiutaci, ti preghiamo, a perdonarci a vicenda: rendici capaci di camminare e vivere insieme, con genuino spirito di accoglienza, rispetto reciproco, amore condiviso.

Nel nome di Gesù, con l'aiuto dello Spirito e per amore tuo. Amen

 

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