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TESTO Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato

Ileana Mortari - rito ambrosiano  

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VI domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (06/10/2013)

Vangelo: Mt 10,40-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,40-42

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Siamo al termine del secondo discorso del vangelo di Matteo (cap.10): quello "missionario", materialmente pronunciato solo per i Dodici, ma in realtà indirizzato a tutta la chiesa, che i Dodici rappresentano, e dunque ad ogni cristiano.

Gesù prepara a lungo i suoi alla missione, non solo impartendo insegnamenti teorici, ma soprattutto chiamandoli a seguirLo, a vivere in comunione con Lui, ad amarLo.

Qui sono esposte senza mezzi termini le condizioni della sequela che rende possibile la missione; le parole pronunciate da Gesù sono molto dure: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me" (v.37)

La chiamata di Gesù è molto esigente: non ammette compromessi o mezze misure. Laddove si crei una situazione di conflittualità, di inevitabile scelta, la priorità va data a Colui il cui amore supera indubbiamente quello dei familiari e che dunque può richiedere di essere corrisposto adeguatamente.

In particolare, nei 3 versetti della pericope odierna, Gesù parla dell'accoglienza riservata al suo inviato e si ricollega ad una realtà già presente nel giudaismo, dove si diceva dell'inviato ("shaliah" in ebraico): "Chi è inviato è come colui che lo invia". Infatti un principio giuridico riconosciuto nel giudaismo e non ignoto al diritto romano (anzi al diritto delle genti, "ius gentium") era che il mandante considerava come fatto a se stesso il trattamento riservato al suo delegato.

E poi un aforisma rabbinico diceva: "Chi accoglie il discepolo è come se ospitasse il maestro"

Così - precisa Gesù - "chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha inviato". E' evidente che, rispetto al contesto giudaico, qui c'è un "salto" considerevole; colui che manda non è un essere umano, titolato fin che si voglia, bensì Dio stesso!

Questa consapevolezza è di grande conforto per l'apostolo inviato (che ha personalmente sperimentato l'amicizia con Gesù!) e può ripagarlo anche delle difficoltà e persecuzioni subite a causa della Parola.

Parlando di "inviati", Matteo fa una triplice distinzione; gli esegeti discutono se si tratti di diverse categorie all'interno della comunità o semplicemente di tre denominazioni diverse per indicare un'unica realtà.

Personalmente ritengo che non si tratti di differenze puramente nominali o formali, ma di tre "tipologie" - diciamo così - degli inviati da Gesù, che peraltro non corrispondono ancora a vere e proprie gerarchie nell'ambito della comunità cristiana.

Chi erano i "profeti" nel Nuovo Testamento? Ne parla S. Paolo nella 1° Lettera ai Corinti capp.12 e 14: profeta è colui che ha ricevuto il dono di parlare per ispirazione dello Spirito Santo, dunque è il "portavoce di Dio", colui che interpreta rettamente la Parola e la volontà di Dio; egli edifica la comunità, esorta e consola, rimprovera e incoraggia, pronuncia parole di giudizio e di speranza; è un missionario itinerante, che lascia ogni sicurezza per annunciare la Parola, spostandosi di città in città.

E chi è il "giusto"?

Nel 1° come nel Nuovo testamento il "giusto" è colui che agisce in conformità ai precetti della Legge per attuare la volontà di Dio, è l'uomo che con la sua rettitudine e sottomissione a Dio è a Lui gradito; è colui che riconosce nella vita e nella storia l'opera del Creatore e vi si inserisce con libertà; è uno che si distingue eminentemente per santità e devozione alla causa di Cristo.

Ora - afferma Gesù - chi avrà accolto (nel senso non solo di ospitare, ma anche di ascoltare con fede) profeti e giusti, riceverà una ricompensa non in relazione al gesto compiuto, piccolo o grande che sia, ma alla dignità e importanza dei personaggi ricevuti, perché sarà la loro stessa ricompensa.

Questa promessa doveva essere molto incoraggiante per tutti quei seguaci di Gesù che non potevano lasciare la loro famiglia o gli impegni di lavoro, e tuttavia cercavano di mettere al centro della vita l'annunzio del regno di Dio. Il vivere insieme in uno stretto rapporto comunitario viene così riconosciuto come un mezzo efficace per raggiungere le stesse mete a cui tendevano coloro che avevano rinunziato ai loro beni per seguire Cristo più da vicino. Il movimento di Gesù abbraccerà sempre su un piano di parità coloro che hanno abbandonato tutto per seguirLo e coloro che con non minore impegno operano per il regno di Dio nelle proprie famiglie e nella società in cui restano inseriti.

Infine, nel v.42, si parla ancora di un gesto di accoglienza e carità nei confronti di "questi piccoli", che poi sono detti "discepoli".

Se è vero che in bocca a Gesù "piccoli" ("mikroi" in greco) si riferiva ai bambini (cfr. Marco 9,37),

nel contesto di Matteo sembra invece che venga attribuito ai missionari del vangelo; intanto era facile che gli apostoli chiamassero «piccoli» i discepoli, perché i maestri erano chiamati Rabbi, cioè "grandi", dall'ebraico "rab" = grande. Inoltre essi erano considerati persone umili e poco significative agli occhi del mondo, perché privi di prestigio e di potere. Infine, il missionario è un "piccolo", cioè un uomo comune, debole e bisognoso, che ha lasciato la sua casa per essere un "nomade" a servizio della Parola. Proprio per le suddette ragioni tutti costoro vanno assistiti con premurosa sollecitudine nella chiesa a imitazione di Gesù, sempre solidale con le persone semplici ed emarginate. Dato il clima torrido d'estate e la scarsità d'acqua in Palestina, un bicchiere d'acqua costituiva un gesto prezioso e anche generoso, che Dio avrebbe compensato largamente. Oggi, in un diverso contesto, il "bicchiere d'acqua fresca" può essere il nostro sorriso, un cenno di saluto, una stretta di mano, una battuta.

Un'ultima considerazione sulla "ricompensa". Da quanto dice il vangelo, si capisce molto bene che non si tratta di una semplice riconoscenza umana, ma che è molto molto di più. Lascio la parola a un Padre della Chiesa: "Com'è la ricompensa e a cosa somiglia? Paolo non ti spiega come è, ma che essa non ha paragone; non come essa è grande, bensì che essa non ha misura: "Ciò che occhio non vide e orecchio mai ha udito e ciò che mai entrò in cuore di uomo, è ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano" (1° Cor.2,9; Is.64,4). La grandezza della ricompensa è rivelata da queste parole." (Filosseno di Mabbug, Omelia 9)

 

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