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TESTO Si diresse decisamente verso Gerusalemme

don Romeo Maggioni   Home Page

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/06/2004)

Vangelo: Lc 9,51-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,51-62

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Solo chi è innamorato capisce la logica della radicalità.
L'amore vero non ha misura.

Ma quando questo amore è rivolto a qualcosa di grande e di assoluto, quella radicalità diventa opzione fondamentale della vita, unità e forza di una esistenza che ha ritrovato se stessa, e che ormai più nulla può ostacolare.

Gesù è uno di quei pochi uomini fortunati che presto nella vita hanno intuito il senso e il ruolo della propria missione, e vi si sono gettati a cuore e volontà totale; e vuole che anche i suoi discepoli siano così. Sa infatti che solo un amore grande salva la vita e dà felicità.

1) "INDURI' IL SUO VOLTO"

"Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme". E' quasi un sussulto nella vita di Gesù, un gesto radicale, una svolta decisa verso quella méta che l'attende a Gerusalemme - la "sua ora" la chiamerà Giovanni -, nella quale si compiranno i gesti di salvezza e il suo "essere elevato", cioè esaltato e assunto in cielo. Gesù ha chiara coscienza dell'opera da compiere, ne sa i passi e lo sbocco finale. Già due volte aveva parlato di dover andare alla croce come di un modo suo proprio di ritornare al Padre, di compiere un suo speciale esodo. Del resto questa era stata la scelta pensata e provata all'inizio del suo ministero, in occasione del ritiro nel deserto e delle tentazioni di satana.

"Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato" (Gv 4,34), aveva dichiarato, lui che sapeva bene che "non di solo pane vive l'uomo" (Mt 4,4).

Appena adolescente aveva fatto la sua scelta: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). Il progetto di Dio, la missione difficile che gli veniva affidata, la fiducia piena e amorosa alla volontà del Padre, è ciò che caratterizza ogni suo passo e scelta. Obbedienza e fiducia che è frutto d'una sintonia profonda, del cuore e della volontà, ma prima ancora di intelligenza e di fede perché di Dio ha assunto pienamente lo sguardo sul mondo e sulla storia. "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,30) diceva, intendendo appunto questa assoluta consonanza di intenti e di giudizio. Si può dire che l'uomo Gesù, per dono di grazia e per scelta, è colui che in un modo eminente crede che Dio vede e vuole il nostro bene più di quello che noi vediamo e vogliamo di noi!

Per questo oggi si dice - è l'espressione propria del testo greco - che "indurì la sua faccia" e si diresse verso Gerusalemme. Prese sul serio, senza tentennamenti, ad affrontare il cammino duro della passione perché lo sapeva la strada giusta della sua promessa "elevazione", cioè della riuscita preparatagli da Dio. Chiaro è il fine, conosciuta è la strada, non rimane che la decisione ferma e totalitaria. Gesù è uomo tutto d'un pezzo e sente che solo così la sua vita s'unifica e s'esalta. Ma non è volontarismo caparbio: è frutto di una precedente e radicale esperienza di Dio, al cui amore si abbandona fino al rischio della vita: "Nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46).

2) "NON HA DOVE POSARE IL CAPO"

Un uomo dallo stile così adamantino, vuole dei discepoli altrettanto decisi e radicali. E anzitutto liberi, leggeri, come una freccia che punta tutta al suo bersaglio, senza remore né ostacoli. "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Povertà e distacco è la base necessaria per una libertà di movimento, ma che più profondamente dice relativizzazione di tutto ciò che non è il tesoro del Regno. "Il Regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; uno va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi... e compra quel campo" (Mt 13,44). Paolo sarà più sfacciato contro tutta l'idolatria del possedere: "Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato da lui" (Fil 3,8). Si sente vibrare dentro il cuore l'orgoglio di un possesso grande. Se l'avessimo un po' noi tale orgoglio per la fede...!

"Lascia che i morti seppelliscano i loro morti": altra espressione di una radicalità paradossale. "Tu va' e annunzia il Regno di Dio". Anche gli affetti e i rapporti più sacri non sono un assoluto. Sta prima il Regno di Dio.

L'uomo è fatto per Dio, la sua felicità piena sta nella comunione con Lui; non c'è cosa, persona o amore che lo possa saziare. Guai a chi assolutizza anche il più fortunato amore umano.
Alla fine ne rimane deluso.

Anche l'amore dei figli, anche l'amore coniugale deve far riferimento a Dio. Quante sbagliate tragedie inconsolabili io vedo vivere anche tra coloro che si dicono cristiani...!

Alla fine è necessaria la perseveranza: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio". L'essere cristiani non è una bella esperienza, magari giovanile, magari quando si aveva il buon tempo. E' opzione fondamentale che deve prendere tutta la vita e, come ogni cosa seria, resa dura e purificata dalla prova. Il cristiano è creatura nuova, e deve tagliare i ponti col passato. Significativa è l'immagine - richiamata dalla prima lettura - di Eliseo che per seguire la sua vocazione profetica brucia gli attrezzi del suo mestiere. Come avvenne per Pietro e i primi discepoli, i quali "lasciarono tutto e lo seguirono" (Lc 5,11).

Discepoli radicali, ma liberi. Perché l'amore è anzitutto libertà, non imposizione. "Cristo ci ha liberati - si dice san Paolo - perché restassimo liberi" (II lett.).

Rifiutato da un villaggio samaritano, Gesù non cede al castigo invocato da Giacomo e Giovanni; anzi, "si voltò e li rimproverò". Cristo vuol conquistare il cuore con l'amore, non imporsi con potenza. Per questo Dio è paziente, e sa perdere molte volte anche con noi. Senza scoraggiarsi.

Sant'Agostino però diceva: "Ho paura del Signore che passa...!". Guai a perdere gli appuntamenti di Dio! Nella vita ci sono ore critiche in cui ciò che non si fa in quel momento non lo si farà più. Il vento soffia, e quand'esso sarà caduto, la nave non potrà più uscire dal porto. Quante volte anche noi ci lamentiamo di aver perso certe occasioni decisive!!

 

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