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TESTO Senza fede, è una missione "inutile"

don Alberto Brignoli  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/10/2013)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Come sarebbe bello, se Dio intervenisse nella nostra vita a risolvere ogni situazione complicata... Come sarebbe bello, se Dio ci rispondesse immediatamente, ogni volta che lo invochiamo... Come sarebbe bello, e come sarebbe tutto più semplice, se la religione fosse un fatto di automatismi, di meccanismi perfetti, in base ai quali a un comportamento giusto e irreprensibile dell'uomo corrisponda una grazia di Dio, e parimenti a un comportamento sbagliato corrisponda un castigo. Come sarebbe più semplice, adorare e seguire un Dio così: un Dio giudice, rapido esecutore di sentenze emesse con altrettanta rapidità, senza tentennamenti, senza ripensamenti, senza dietrofront ai quali troppo spesso i gruppi umani e le istituzioni che li rappresentano ci hanno abituati.

Come sarebbe bello avere un Dio che trova a tutto una soluzione; che ci dica come si affronta e come si esce da un periodo di crisi economica, che ci dica come si supera una crisi istituzionale, che ci dica come si risolvono i drammi esistenziali di popoli che cercano la vita emigrando da situazioni di morte e invece trovano la morte a pochi passi da ciò che nel loro immaginario si tinge di vita e di speranza. "Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti...?". Fino a quando la voce del profeta di turno, lungo la storia, dovrà gridare in attesa di un Dio che tarda a fare e dare giustizia? Fino a quando il mondo sarà dei disonesti, dei violenti, dei malvagi e di coloro che non hanno scrupoli e non si interrogano nemmeno di fronte al sangue innocente? Certo, le parole del profeta Abacuc risuonano oggi più forti che mai, quando ci vediamo circondati da situazioni d'ingiustizia e di degrado umano che invece di diminuire con l'accrescimento del benessere e del progresso dell'umanità, aumentano forse proprio a causa di un accresciuto tenore di vita, del quale sempre ci lamentiamo perché è poco, mentre in realtà è solamente mal distribuito. Non è vero che l'umanità sta sempre peggio: l'umanità sta sempre meglio, migliora sempre di più le proprie condizioni di vita, ma purtroppo le migliora solo quella parte di umanità che non ne ha bisogno perché già vive bene.

E gli altri? E coloro che non hanno voce, se non quella del profeta di turno, per denunciare e gridare "Violenza" senza tuttavia trovare risposta? Quanta disastrata umanità non trova risposta alle proprie ansie di giustizia! E quanti uomini e donne si prodigano, in ogni parte del mondo, perché un numero sempre maggiore di persone possa trovare pace, dignità e giustizia per sé e per i propri cari!

Questo mese di ottobre tradizionalmente dedicato alla riflessione e all'animazione missionaria, ci offre più che in ogni altro periodo dell'anno la possibilità di entrare a contatto con vicende, storie e situazioni in cui il progresso dei popoli va di pari passo con l'annuncio del Vangelo. Ci riempiamo di ammirazione per le esaltanti e quasi eroiche vite di molti missionari e di molte missionarie del Vangelo che in ogni parte del mondo uniscono la loro opera di evangelizzazione ad un'opera di promozione umana globale, senza confini: ma quanto saremmo ingenui, se pensassimo che per compiere questo bastasse solo un sentimento di sana filantropia, di amore per l'umanità ferita. Se ogni missionario fosse sorretto esclusivamente dalla propria autodeterminazione e dalla solidarietà dei fratelli che lo aiutano in mille modi nelle situazioni di povertà materiale che incontra, la missione nella Chiesa sarebbe crollata già da tempo, schiacciata sotto il peso della crisi di beni materiali e valoriali che ci affligge oramai da vari decenni. Grazie a Dio, come ci ha ricordato il profeta, la giustizia secondo le categorie di Dio non si misura sulle buone e tante opere che l'uomo è pure capace di fare; perché il giusto non vive per le proprie capacità e i propri meriti.

"Il giusto vivrà per la sua fede". Il giusto, colui che vive la giustizia e la annuncia, ha la possibilità di esercitare la propria giustizia non per i propri buoni meriti, ma per la grandezza della grazia di Dio. Detta così, pare una cosa scontata, ma non lo è affatto: perché in ogni uomo, in ogni cristiano, in ogni credente, alberga spesso la convinzione che un'opera funziona nella misura in cui i suoi sforzi, le sue capacità, il suo impegno, vengono profusi a questo scopo. Mentre ciò che fa vivere è la fede in un Dio che può molto di più delle nostre mani e delle nostre parole, anche e soprattutto quando siamo intimamente convinti dell'esatto contrario.

Perché, in fondo, le nostre opere non accrescono per nulla la grandezza dell'opera di Dio. Il nostro operare è "inutile" (come ci dice il Vangelo), non serve assolutamente a nulla, perché non ha un utile sul quale confidare e contare, non produce ricchezza, non accresce ulteriormente ciò che già la grazia di Dio ci dispensa. La nostra presenza sulla terra, fatta di servizio di carità ai fratelli, è una presenza totalmente inutile.

Ascoltare una frase di questo tipo, al termine del Vangelo di oggi, certamente ci sconvolge, e forse non ci fa neppure molto piacere, magari dopo aver investito energie fisiche, morali e materiali in un'attività di puro volontariato e di totale carità e dedizione al prossimo. Eppure nasconde una verità sacrosanta, per il credente: non siamo noi i protagonisti della vita divina, non siamo noi i protagonisti della storia, non siamo noi - per quanto possiamo compiere opere meravigliose, necessarie, e forse a volte da noi ritenute indispensabili - i salvatori del mondo. Ci ha già pensato un Altro. Quello che noi facciamo è "inutile" alla salvezza dell'umanità perché, forse, è più indispensabile alla nostra salvezza. Compiere opere, grandi o piccole che esse siano, contribuisce solo in minima parte al compimento della missione di salvezza. Di certo, però, ha la sua utilità: ci mantiene uniti a Dio, e la nostra unica gioia è che, un giorno, i nostri nomi siano scritti nel cielo.
Occorre quindi avere fede? Direi proprio di sì.

 

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