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TESTO Siamo servi inutili

mons. Gianfranco Poma

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/10/2013)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Nella domenica XXVII del tempo ordinario, iniziamo la lettura del cap.17 del tempo ordinario (Lc.17,5-10). La serie di insegnamenti della prima parte del cap.17 (la lettura liturgica omette i vv.1-4), apparentemente diversi, è collegata da un filo unico che è la vita nella comunità ("la vita nella Chiesa"): la relazione tra fratelli (17,1-2); il perdono (17,3-4); la fede (17,5-6); il servizio (17,7-10).

Anche in questo brano appare con evidenza il lavoro redazionale di Luca che parla alla sua comunità non più legata all'ambito giudaico, con uno stile fortemente impregnato di retorica orientale nella quale abbonda l'uso delle immagini.

Oggi, Luca parla a noi, alla nostra comunità, immersa in un mondo radicalmente cambiato, alla ricerca di una vita "ecclesiale" la cui identità non è più determinata dalla appartenenza sociologica, ma dall'adesione personale al Vangelo.

E parla in modo particolare a chi nella comunità ha la responsabilità dell'autorità ("gli apostoli") e lo fa in modo severo: già agli inizi della sua storia la Chiesa ha sperimentato il pericolo di autocomprendersi come una comunità di discepoli che mettono in pratica insegnamenti di una morale particolarmente esigente e non come una comunità la cui bellezza sta nell'essere composta da persone normali ("i piccoli") che, nella loro fragilità, vivono l'esperienza dell'amore del loro Signore.

Ai suoi discepoli, a tutta la comunità, Gesù, con molto realismo, dice: "È inevitabile che gli scandali avvengano". Egli richiama alla situazione concreta della comunità nella quale non possono non esserci "scandali", e al tempo stesso sottolinea la responsabilità grave di colui per il quale essi avvengano: "Guai a colui a causa del quale avvengono", e perché tutti siano convinti della sua gravità, dice che sarebbe il caso di ricorrere al castigo noto a quell'epoca: gettare il colpevole in mare, appesantito da una grande pietra.

"State attenti a voi stessi": sottolinea Luca richiamando con particolare insistenza i componenti della sua comunità. Ma come deve comportarsi una comunità di discepoli di Gesù, che certo non getta in mare chi è responsabile di "scandali"?

Egli ha presente l'immagine di una comunità, immersa nella società, nella quale fratelli e sorelle nella fede, si affidano l'uno all'altro: è in questa comunità che è inevitabile che avvengano "scandali" (pietra di inciampo), cioè gesti, parole, che fanno vacillare la fede dei fratelli e delle sorelle. Ma quali sono questi gesti che fanno da ostacolo alla fede dei "piccoli" (deboli, fragili: uomini e donne che non hanno difese, non mettono maschere, sono i discepoli affidati all'amore di Cristo)? Sono gli atteggiamenti e le parole di chi condanna gli altri, di chi si ritiene perfetto ("i grandi"), di chi toglie le speranze a chi è povero e si sente peccatore: di chi, sicuro della propria raggiunta, presunta perfezione, scoraggia chi continua a sentirsi peccatore e la cui unica forza è la fede nell'Amore del Padre.

All'interno della comunità, per Luca le relazioni non possono che continuare ad essere fraterne pur nelle inevitabili difficoltà: guai a chi con i propri atteggiamenti è di ostacolo alla fede che è la radice della comunione e con il proprio cuore duro, impedisce la circolazione dell'amore che è il primo frutto della fede.

Ma se all'interno della comunità i conflitti sono inevitabili, come gestirli? Nel caso di gravi offese, di peccato, la regola per la soluzione di situazioni di crisi, è salvare e ricomporre sempre la relazione fraterna come valore essenziale, regola che si sviluppa in tre momenti: "riprendilo, ascoltalo, perdonalo". La relazione fraterna, la comunione come anima della comunità, va curata in modo raffinato: né l'indifferenza, né il silenzio, né il risentimento sono atteggiamenti costruttivi. Il perdono come relazione sincera, vera e concreta di amore è la regola fondamentale della vita della comunità.

E ritorna ancora una volta la concretezza con cui Luca guarda alla sua comunità: la fragilità rimane sempre in una comunità umana, e per questo egli ricorda che la regola del perdono è valida "sette volte al giorno" cioè infinitamente: all'infinito del perdono di Dio corrisponde l'infinito del perdono umano.

È evidente che la logica fondamentale che regge la comunità dei discepoli di Gesù non è semplicemente quella della buona volontà di uomini e donne che decidono di mettersi insieme, dandosi delle regole condivise, dettate dalla psicologia e dal desiderio di una vita comune, ma è l'esperienza della fede in Gesù, Figlio amato dal Padre. La comunità cristiana vive dell'Amore del Padre che genera fratelli.

Gli "apostoli", le guide della comunità, non possono non intimorirsi all'ascolto di quanto siano esigenti le caratteristiche con cui Gesù delinea le relazioni fraterne, e per questo gli rivolgono una preghiera: "Accresci in noi la fede". Solo la freschezza dell'esperienza dell'Amore del Padre che irrompe nel cuore sempre duro degli uomini rende possibile vivificare le relazioni tra persone umane perché siano fraterne.

Gesù risponde alla loro preghiera in modo sorprendente: li risveglia perché prendano coscienza di ciò che essi hanno già. Non c'è da aspettare che la fede aumenti: "l'Amore del Padre è adesso. Già adesso, dentro la tua fragilità, debolezza, nella tua situazione peccatrice, è presente l'Amore". Il contrasto è enorme, tra la piccola fede magari sommersa dal dubbio, dalla disperazione, simile ad un granello di senape, e la forza che essa può esprimere: la fede può realizzare l'impossibile, perché non è fondata su se stessa, ma sulla fiducia nella potenza sempre operante di Dio (Lc.1,37). Basta risvegliare la fede, non aspettare, chiedendo che essa aumenti: significherebbe, in realtà, condizionare la fede ai nostri progetti, ai nostri calcoli, alle nostre valutazioni.

Agli apostoli, alle guide della comunità, a cui è affidata la responsabilità essenziale del servizio alla fraternità, Gesù, con una parabola che rispecchia la cultura sociale del tempo, ricorda che la loro responsabilità non li autorizza a prevalere su Dio per l'impegno che a loro è richiesto: la comunità credente rimane sempre affidata solo al suo Amore. Gli apostoli sono "servi privi di valore": con uno stile iperbolico, Gesù dice che essi non devono aspettarsi risultati, riconoscenza o favori particolari, perché fanno soltanto il loro dovere. È un richiamo forte per gli apostoli di ogni tempo: essere liberi per essere solo servi, attraverso i quali passa l'Amore del Padre. Ma questo è meraviglioso: l'unico motivo di orgoglio è di essere solo servi, deboli e senza pretese, dell'Amore, che è l'unica forza che cambia il mondo.

 

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