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TESTO Lazzaro, il povero che ci inquieta

mons. Antonio Riboldi

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (29/09/2013)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Se ricordate, già il Vangelo di domenica scorsa aveva duramente attaccato l'idolatria del benessere, che si incarna nella ricchezza, con le parole: ‘Non potete servire Dio e la ricchezza'. (Lc. 16, 10-13)

Ed è vero. Non si può dividere il cuore, illudendoci di darne un pezzo a Dio e un pezzo alla ricchezza.

È proprio della natura dell'amore, e quindi del cuore, essere di uno solo.

Il ‘cuore' ci è stato donato dal Padre per una sola ragione, quella di ricevere il Suo amore ed amare. E l'amore chiede piena libertà da tutto ciò che non è amore, come il denaro.

C'è in giro una voglia estrema di rincorrere la ricchezza, pur sapendo che non fa felici e difficilmente ‘giusti'. Questa anzi può generare tante povertà che sono sotto gli occhi di tutti.

Così affermava il grande Paolo VI, commentando la scelta della totale povertà di Gesù, il Verbo fatto carne, da Cui tutto è stato fatto e senza del quale nulla può esistere:

"La povertà di Cristo è il più stretto rapporto di vicinanza esteriore che Egli poteva offrire agli uomini. Gesù ha voluto metterne all'ultimo livello sociale, affinché nessuno lo potesse credere inaccessibile. Ogni ricchezza temporale è in qualche modo divisione, dislivello, è distanza degli uomini tra di loro, ogni proprietà stabilisce un ‘mio' e un ‘tuo' che separa gli uomini o li unisce in un rapporto che, come non è comunione di beni, così tanto spesso non è comunione di spiriti. Gesù, se non ha voluto stabilire per la società terrena la proprietà, ha voluto totalmente prescindere da essa, per venire in immediata ed universale comunione con gli uomini, che invece voleva a Sé affratellare. La povertà di Cristo ci appare allora sotto un aspetto meravigliosamente umano; essa è il segno della sua amicizia, della sua parentela con l'umanità. E quella umanità che non opporrà alla parentela fraterna con Lui il diaframma della propria posizione sociale, della propria isolante fortuna, della propria egoistica sufficienza, Lo incontrerà, Lo capirà, Lo avrà suo...Risuona a questo punto la più squillante voce del Vangelo, l'appello a coloro che sono nella migliore condizione per entrare nel disegno della salvezza: ‘Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli'".
(Natale 1959)

Nessuno nega ciò che Dio ci ha donato, ossia il diritto alla proprietà.

Questo serve, se vogliamo, per affermare la propria dignità, per dare spazio alle proprie capacità, sempre doni di Dio, ma...tutto e sempre, senza fare, dei ‘beni', impossibili idoli, che non potranno mai donare la felicità!

La vera felicità è frutto dell'amore e questo, a sua volta, ha bisogno per espandersi di non essere svenduto a ‘cose', che si rivelano ‘ali spezzate' che non permettono ‘i voli della carità', propri dei ‘poveri in spirito'.

Del resto anche chi rincorre la felicità nella ricchezza, se è sincero, alla fine si sente ‘solo', ‘nudo', infelice... perché solo l'amore trasmette gioia e serenità.
Fanno davvero pensare le parole del profeta Amos:

"Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti di avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali. Bevono il vino a larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi". (Amos 6, 1-7)

Parole durissime che fanno meditare in un tempo, come il nostro, in cui la povertà è considerata ‘maledizione' e la ricchezza ‘fortuna'. Ma è vera fortuna?

In quanto discepoli di Gesù, ci si sente come umiliati ed offesi, nel vedere come tra di noi ci siano troppi emarginati: immigrati costretti a vivere in fradice baracche, che annientano la bellezza dell'uomo, inducendolo poi a diventare nemico del fratello, come è spesso cronaca oggi.

La ricchezza, come affermava Paolo VI, crea divisione e, spesso, aggressione.

Gesù, ‘il ricco che si fece povero', così oggi con grande efficacia descrive l'insensibilità di chi si chiude nel proprio benessere e non si avvede del povero che sta alla sua porta e la sorte che, alla fine, toccherà ai due.

Vale la pena meditarla bene questa parabola e in essa specchiarci.

"Gesù disse ai farisei: ‘C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco: ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi tra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: ‘Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma'. Ma Abramo rispose: ‘Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di lì possono giungere fino a noi'. E quello replicò: ‘Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento'. Ma Abramo rispose: ‘Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro'. E lui replicò: ‘No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno'. Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi anche se uno risorgesse dai morti". (Lc. 16, 19-31)

Infatti, Colui che è risuscitato dai morti ed è oggi tra di noi, proprio con la Sua parola, che stiamo meditando, Gesù, è poco creduto!

Ho avuto il dono da Dio di svolgere la massima parte del mio servizio pastorale dove i poveri erano tanti e, tante volte, senza speranza. È un dono conoscere la bellezza di fare felici ‘tanti Lazzaro' e in essi vedere il volto di Gesù che ama essere amato così.

Non mi pesava dopo il terremoto nel Belice passare notti sul pavimento dei vagoni ferroviari, perché privo di tutto, e poi in quelle misere abitazioni, che chiamavamo ‘baracche', e tali erano.

Così come ho visto in faccia la povertà di tante famiglie costrette a vivere in miseri ‘bassi', dove si mancava di tutto. Ma posso anche testimoniare che Dio ha sempre saputo ‘parlare' al cuore di persone generose, dalle tante possibilità, che venendo a conoscenza delle necessità in cui mi trovavo non hanno mai esitato a riempire le mie mani, perché tanti, ma proprio tanti, tornassero a sperare e vivere.

E quando aprii questo nostro ‘sito', che accoglie richieste da tante parti del mondo, soprattutto dove le condizioni di vita sono spesso impossibili, altrettante persone generose hanno teso la mano per dare vita a realtà che tolgono dall'emarginazione tanti, soprattutto bambini e ammalati.

Oggi, dalle Filippine al Perù, alla Bolivia e, soprattutto, in Africa, ci sono ‘segni' di ricchezza fatta solidarietà.

Davvero la ricchezza può, se Dio trova ascolto, tramite il grido dei poveri, diventare meravigliosa sinfonia della carità e rinascita di speranza.

Il peccato più grave davanti a Dio è quello spesso denunciato dal Suo Vicario in terra, Papa Francesco: "Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna. La globalizzazione dell'indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere... La cultura del benessere rende insensibili alle grida degli altri, fa vivere in bolle di sapone. Una situazione che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza".

La stessa ‘indifferenza del ‘ricco epulone', mostrata davanti al povero Lazzaro, e denunciata da Gesù.
Vi è una testimonianza che voglio proporvi.

È quella della nipote del medico, Giuseppe Bono, che fu chiamato a testimoniare la miracolosa guarigione di Suor Ludovica Noè, miracolata dal Rosmini.

La nipote, Dott.ssa M. Cristina De Giovanni, l'ha resa il 1° luglio 2007, a Stresa.

"Quando mio nonno testimoniò il miracolo era una persona, non so se dire atea, comunque agnostica ed era decisamente anticlericale...Abitava a Borgomanero (No)...Essendo stimato da tutti e molto bravo, era medico delle Suore Rosminiane. Come mi raccontò andava tutti i giorni a visitare una suora che era afflitta, mi pare, da tubercolosi intestinale, e comunque aveva delle piaghe visibili. Una mattina si recò di nuovo a visitarla e rimase allibito, perché non c'era più traccia delle piaghe che la suora aveva sul ventre. Mio nonno chiese cosa fosse successo e la suora disse: ‘Ho messo un'immagine di Antonio Rosmini sulle ferite'. Allora, come mi ha raccontato molte volte, mio nonno disse: ‘A questo punto io devo credere, perché nessuna spiegazione scientifica è possibile a quello che è successo'. Da quel momento la sua vita è cambiata completamente: divenne un cristiano praticante e la sua fede religiosa lo aiutò molto, perché dovette attraversare numerose traversie.....Un giorno arrivò una cartolina di mio zio, che diceva di essere prigioniero dei tedeschi, trattandosi del '43 io me lo ricordo come fosse oggi... Il 25 aprile del '45 mio nonno sentiva che stava per spegnersi e sperava di rivedere suo figlio, ma è morto una settimana prima che mio zio ritornasse. Quando l'abbiamo vestito per la sepoltura, gli abbiamo trovato sul cuore una lettera in cui diceva: ‘Dio mio, ti offro la mia vita, ma salva quella di mio figlio'. Mio nonno è morto povero, nonostante fosse primario dell'ospedale di Borgomanero, facendo la maggior parte delle visite gratuitamente. Bastava che qualcuno gli dicesse: ‘Dottore, non posso pagare' e lui gli faceva pagare solo cinque lire. Non ha mai posseduto una macchina, a settantun'anni andava ancora in bicicletta: è stata una vita veramente esemplare..."

Il miracolo, sopra raccontato, fu accolto dalla Commissione per la Beatificazione di Rosmini all'unanimità.

Ma, non possiamo dimenticare che, al miracolo della carità corporale, riguardante la guarigione di Suor Ludovica, malata, si è aggiunto, nei confronti del medico, il miracolo della carità intellettuale (‘devo credere') e della carità spirituale: ‘divenne cristiano praticante'.

C'è solo da pregare, per riportare giustizia nel mondo e dare speranza ai poveri Lazzaro, affinché di questi miracoli, che trasformano la ricchezza in carità e povertà, ne succedano tanti.
È possibile: è la grande speranza.

 

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