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TESTO Non salire a Dio

Marco Pedron  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (15/09/2013)

Vangelo: Lc 15,1-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Il vangelo di oggi ci presenta un "classico" del vangelo, una parabola che tutti, ma proprio tutti, conosciamo o abbiamo sentito almeno qualche volta: il figlio prodigo.

Il vangelo inizia dicendo che si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. Uno pensa: "Beh, saranno contente le autorità religiose che uno riesca ad attirare gli ultimi, i lontani". E invece no. Perché i farisei e gli scribi "mormorano", cioè giudicano e disprezzano il comportamento di Gesù. E osservate: lo odiano così tanto che neppure lo nominano, ma dicono: "Costui".

Ed è proprio "per loro" che Gesù dice questa parabola.

I farisei e gli scribi erano la "crema" spirituale del popolo. Attraverso preghiere, sacrifici, offerte e una vita irreprensibile (cioè seguendo tutte le norme religiose, anche le più piccole) si ritenevano santi e migliori degli altri.

Solo che così facendo si separavano dagli altri, che consideravano "gentaglia", peccatori. Loro, questa gente, i peccatori, non solo non li avrebbero fatti venire in chiesa, non solo non li avrebbero assolti, ma li avrebbero sterminati... e s'intende, in nome di Dio!

D'altronde si rifacevano all'A.T. che era abbastanza chiaro sulla questione: i peccatori vanno eliminati, sterminati, depennati. Is 13,9: "Ecco il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminare i peccatori". E Sal 139,9: "Se Dio sopprimesse i peccatori!".

Proprio per questo la religione è pericolosa: perché mentre Dio è disceso per incontrare gli uomini e lo si incontra proprio negli uomini, la religione ti distacca dagli uomini. Allora cosa succede: Dio scende, gli uomini salgono, così i "religiosi" non incontrano mai Dio.

E, infatti, chi saranno coloro che condanneranno a morte Gesù? Proprio i religiosi. La religione rende atei perché rende senza cuore. Dove non c'è l'amore Dio non c'è.

Cosa succede: Gesù mangia con questa gente che, Bibbia alla mano, dev'essere soppressa. Lo accusano non solo di accoglierli, ma anche di mangiare con loro... e la cosa, per quella mentalità, è grave.

Nel mondo palestinese il cibo era servito in un unico piatto dal quale tutti si servivano, per cui mangiare insieme significava comunione di vita. Gesù, quindi, è un impuro perché ha preso il cibo da persone impure (l'impurità si trasmetteva).

E Dio non si concedeva agli impuri, credevano i farisei. La mentalità degli scribi e dei farisei era: "Dio si dà a quelli santi". E questa mentalità è arrivata fino a noi.

Dicevano: "Tu sei puro? Sì. Allora puoi avvicinarti a Dio, andare in chiesa, ecc.". "Tu non sei puro? No! Allora non puoi avvicinarti a Dio". Quindi queste persone erano condannate, finivano all'inferno per i loro peccati e Dio le respingeva.

Solo che il Dio del vangelo, il Dio di Gesù, è l'esatto contrario. Perché nel vangelo è Gesù che va dagli ultimi. D'altronde è ovvio: Gesù va da chi più ne ha bisogno (e da chi è disponibile ad accoglierlo).

La religione dice: "Dio ce l'hai se te lo meriti. Se sei bravo, puro e righi dritto, allora Dio è con te". Il vangelo dice un'altra cosa: "Non devi essere puro per avere Dio. Ma la sua accoglienza ti fa puro. Dio è sempre con te, puro o no che tu sia... accoglilo, lasciati amare, accetta il suo amore".

E proprio per far capire questo Gesù racconta tre parabole (pecora perduta, dramma perduta, figlio perduto) dove chiarisce che Lui è venuto a cercare chi si è perduto. Perché tutti devono sapere che sono amati da Lui. Tutti devono sapere che Dio è un dono.

Quindi il Padre è ciò che Dio fa per tutti noi (che siamo il figliol prodigo). Che fa Dio per noi? Festa!

Mentre il fratello maggiore sono gli scribi e i farisei, servi di Dio, non figli di Dio (così loro si percepiscono e così insegnano). Al padre dirà: "Ecco io ti servo (=doulein) da tanti anni e tu non mi hai mai dato un capretto...". Ma era già tutto suo!

La religione lascia le persone puerili che attendono sempre da qualcuno l'autorizzazione. La religione crea persone giudicanti, invidiose, di chi ha di più, di chi riesce, di chi è felice (del fratello, il maggiore dirà che è andato con le prostitute, cosa che sa solo lui o che gli altri se lo sanno tacciono (Lc 15,30: solo un arrabbiato sputtana la gente!) e al padre dirà: "Tuo figlio" e mai "Mio fratello", tanto lo odia e non lo sopporta). La religione non sa sorridere, né far festa, perché è corrosa dalla rabbia dentro (Lc 15,28: "Egli s'arrabbiò").

La parabola è però anche una stupenda fotografia sulle relazioni familiari. C'è un padre con due figli. E la madre? La madre non c'è o se c'è, è come se non ci fosse. Sono le madri aspirapolvere, le madri lavastoviglie, le madri che fanno un sacco di cose, che si danno da fare tutto il giorno, che, dicono loro, "sacrificano la loro vita per i figli" ma che in realtà non ci sono.

Fare tanto per i figli non vuol dire amare: vuol dire solo fare tanto. Amare è valorizzare, coccolare, giocare insieme, ridere, rendere autonomi, aver fiducia, accettare la diversità, non essere ansiosi (se no si passa questo); amare è avere qualcosa da dare e non fare un figlio perché qualcuno ti ami (per prendere da lui).

Da un'indagine risulta che le mamme italiane sono le più ansiose d'Europa (76%), più delle mamme tedesche (56%) o di quelle svedesi (40%). La mamma italiana soffre cioè di "figliolite": crede, cioè, che il figlio abbia sempre bisogno di lei. Sorge il dubbio che sia lei ad aver bisogno di lui.

Una madre non è una persona a cui appoggiarsi, ma grazie alla quale si impara che non è necessario appoggiarsi.

I due figli sono diversi e hanno comportamenti apparentemente opposti. In realtà hanno lo stesso problema: hanno lo stesso padre e non si sentono riconosciuti da lui. Nati dallo stesso padre sono all'opposto proprio perché hanno lo stesso problema. Il padre non è riuscito a trasmettergli l'amore perché entrambi lo sentono come un nemico. Entrambi sono schiavi, entrambi sono dipendenti, entrambi si comportano da mercenari.

Sentite cosa dice il primo: "Dammi la parte del patrimonio che mi spetta" (15,12). Ma non gli spettava niente!

Il minore cerca di arraffare più che può: è chiaro, non conosce l'amore del padre. Gli lotta contro. L'eredità si otteneva solo dopo la morte del padre. Dicendogli così gli dice: "Tu sei morto per me. Io non ho più nulla a che vedere con te. Tu per me non esisti più!".

Il maggiore invece dice al padre: "Io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando" (15,29). Si percepisce come un servo, uno schiavo: non fa altro che ubbidire, ma dentro cova rabbia. Il maggiore lo teme, teme di perdere il suo privilegio (lui è il primo) e si assoggetta.

La diversità è solo sulla scelta, sulla strategia che utilizzano per avere un rapporto con il padre.

Il maggiore si sottomette: il dovere. Rinuncia alla sua vita per "amore" del padre: "Tu mi rifiuti (cioè non mi ami per quello che sono), ma io ti dimostrerò che ti sbagli". E fa il bravo, il bravissimo figlio.

Una persona che "fa tutto quello che si deve", brava, che non si ribella e non trasgredisce mai, è molto amata da chi sta sopra (genitori, autorità), ma non conosce l'amore. Perché? Perché tenta di avere con l'ubbidienza ciò che non si può avere (l'amore è gratuito). La strategia è: "Rinuncio alla mia vita e faccio quello che vuoi tu, così mi amerai".

"Ti amo se vai bene a scuola": e il bambino si sottomette così da avere l'approvazione del genitore. "Ti amo se non disturbi": e il bambino si sottomette e diventa un adulto per avere l'approvazione. "Ti amo se fai così": e il bambino si sottomette per avere l'amore del genitore. Ma uno che rinuncia alla propria vita, per ricevere amore, come potrà sentirsi dentro? Come il maggiore: pieno di rabbia, ovvio. Dice: "Guarda cosa mi chiedi (la vita) per essere amato".

Il minore, invece, non è accettato dal padre, si ribella e se ne va: "Mi rifiuti? Anch'io!". D'altronde cosa poteva fare il secondo, il minore? Suo fratello più grande aveva trovato il modo per accaparrarsi un po' di stima del padre: fare il figlio bravo e ubbidiente.

Se in casa c'è già chi fa il bravo (via già percorsa da uno), all'altro rimane che fare il non bravo. Se in casa c'è chi rimane, all'altro non aspetta che andarsene. Se uno fa una cosa, l'altro per differenziarsi dovrà per forza farne un'altra! D'altronde si sa: biologicamente il primogenito è il responsabile, il custode della tradizione e della famiglia, il serio, l'osservante. Il secondo invece è il comunicativo, l'uomo delle relazioni, abile nel sociale, fuori casa (il primo è l'abile in casa): e infatti il minore se ne va in giro per il mondo.

A volte i genitori dicono: li abbiamo educati nella stessa maniera... e sono diversissimi.

1. Biologicamente ogni figlio è equipaggiato per funzioni diverse (il 1° il responsabile della casa; il 2° il comunicativo, il fuori casa; il 3° il creativo o il ribelle; poi il quarto è come il primo, ecc).

2. Il posto determina situazioni diverse: se sei 1°, non hai nessuno davanti. Se sei 2° hai sempre qualcuno davanti.

3. Il 1° figlio ha un investimento diverso da parte dei genitori, perché è il primo (l'aspettato o "la sorpresa") o perché le condizioni di vita sono diverse.

4. Guai se i figli fossero uguali! Con un figlio avremo una relazione unica, diversa: non si ama allo stesso modo i figli perché hanno esigenze diverse. Ciò che conta è amarli, non fare le stesse cose.

Osservate: i due fratelli non si incontreranno mai!

Il maggiore non lo chiamerà mai "fratello" ma si rivolgerà al padre dicendogli: "Questo tuo figlio che ha divorato gli averi con le prostitute" (15,30). Sentite la rabbia? "Tuo figlio": sentite quanto lo odia. Si sente defraudato: "Io ho fatto sempre il bravo, io mi sono sempre comportato bene e tu sei con mio fratello alla stessa maniera di come sei con me?".

"Con le prostitute": non era mai uscito questa cosa prima? Che sia vero o no, non è piuttosto un tentativo di screditarlo, di metterlo in cattiva luce, di denigrarlo? Non sappiamo se suo fratello sia andato con le prostitute. Forse il minore non ci ha mai pensato... ma il maggiore sì. Il cervello non conosce che noi e quindi quando parliamo degli altri parliamo sempre di noi!

Cos'è in gioco? In superficie i soldi, ma in profondità l'amore del padre. A quel tempo era così: il primogenito era il preferito, il prescelto: gli andavano i 2/3 dell'eredità e riceveva tutti gli incarichi paterni. Il maggiore vinceva, il minore perdeva. Era così.

Il maggiore si attacca ai beni: "Sono il preferito del padre, e ce l'ho tutto per me". E quando il fratello se n'è andato, non gli sarà sembrato vero. Anche l'ultimo rivale se n'è andato: tutto mio, adesso! Ma l'attaccamento ai soldi è l'attaccamento al padre: per questo non è mai cresciuto come persona, per questo non ha mai fatto nulla. E' ancora attaccato, dipendete dal padre e dal suo riconoscimento.

Il minore si vendica sperperando tutto. Perde tutto perché dentro di sé sente di aver perso l'amore del padre: suo padre ha scelto l'altro. E quando tornerà, tornerà solo per interesse: solo per fame!, solo per non morire di fame.

Le guerre per l'eredità o le lotte al lavoro sono conflitti d'amore (nascosti) per essere i primi amati. Il sogno di ogni figlio è di essere unico, di avere tutto l'amore del padre e della madre. Ma è pericoloso: perché da grande penserà che tutto il mondo, che gli altri, girino solo attorno a lui e in funzione sua.

E' importante, invece, avere fratelli, anche se è inevitabile (da piccoli) un po' di gelosia, di rabbia e di odio: perché dobbiamo imparare a spartire la torta dell'amore. Non ci siamo solo noi a questo mondo.

Quando mia madre portò a casa mio fratello io dissi: "Se non lo fai tu, lo butto fuori dalla finestra io!". Altri bambini si divertono a istigare il fratello (lo svegliano finché dorme, ecc).

Un bambino di 6 anni, arrivata la sorellina, ha fatto le valigie. "Cosa fai?", dice la mamma. "Non c'è spazio per due in questa casa!".

Una bambina ha scritto questa poesia: "La mamma dice che io sono il suo zuccherino. La mamma dice che io sono il suo orsacchiotto. La mamma dice che io sono perfetta. La mamma dice che sono meravigliosa. Ma perché la mamma allora ha avuto un altro bambino?".

E il padre? Dov'era? Come ha fatto a non vedere tutto ciò che accadeva in casa? Non si era mai accorto che il minore era insoddisfatto? E quando il minore gli dice: "Dammi la parte di patrimonio", perché non dice neppure una parola? Perché non gli dice, com'era giusto: "Mi dispiace ma finché sono vivo non avrai il mio patrimonio"?

Non si era mai accorto che il maggiore era un esecutore? Non si era mai accorto che voleva un capretto? E quando il minore se ne va perché non lo interpella (visto che era parte in causa)?

Quanti padri (e madri) sono così! Non si accorgono di niente. Succedono un sacco di cose nella vita dei figli, ma loro non vedono! Poi dicono: "Ma guarda cos'è successo!?". "Per forza... eri cieco!".

Guardate il padre: non dice nulla, neanche una parola. Succede di tutto in casa sua, ma lui zitto.

E' un genitore che non sa rapportarsi con il figlio: non sa parlargli al cuore, non sa ascoltarlo, non sa cosa dirgli, non ha niente da dirgli. Perché se non conosci il tuo cuore, non puoi conoscere il suo.

L'unica cosa che sa fare è dargli le sue cose, così al minore, così al maggiore. Ma quando un genitore da le proprie cose al figlio vuol dire che non ha altro da dargli, vuol dire che non ha anima, spirito, emozione, vitalità, niente di sé da passargli. E' il fallimento dell'educazione.

Molti genitori riempiono di giocattoli, di vacanze, di cose, di vestiti, di telefonini, di attività (sport, musica, lingue, corsi): bene, ma questo non può sostituire la cosa più importante, l'amore. Un figlio ha bisogno del padre, del suo amore e di un rapporto con lui (parole, momenti, abbracci). Un figlio ha bisogno della madre, del suo amore e di un rapporto con lei (parole, carezze, sentimenti). E l'uno non sostituisce l'altro.

I genitori a volte dicono: "Hai tutto"; sì è vero, tutto di materiale, ma niente di spirituale, niente dell'anima.

Una giovane coppia entrò nel più bel negozio di giocattoli della città. L'uomo e la donna guardarono a lungo i colorati giocattoli allineati sugli scaffali, appesi al soffitto, in lieto disordine sul bancone. C'erano bambole che piangevano, ridevano e parlavano; giochi elettronici, cucine in miniatura che cucinavano torte e perfino pizze. Non riuscivano a prendere una decisione. Si avvicinò a loro una graziosa commessa. "Vede", spiegò la donna, "noi abbiamo una bambina molto piccola, ma siamo fuori di casa tutto il giorno e spesso anche la sera". "E' una bambina che sorride poco", continuò il marito, "vorremmo comprarle qualcosa che la rende felice anche quando noi non ci siamo, qualcosa che le dia gioia anche quando è sola". "Mi dispiace", sorrise gentilmente la commessa, "ma noi non vendiamo genitori".

E' la parabola del non detto, della non comunicazione, dove all'inizio nessuno parla. Osservate: per metà parabola nessuno dice niente, nessuno parla a qualcun altro (eccetto la frase iniziale del minore).

Assomiglia a tante nostre famiglie: "Tutto bene; nessun problema". E, invece, ci sono un sacco di cose che non vengono dette, che rimangono dentro, che non sono espresse e che poi esplodono. Quando poi esplodono tutti cadono dalle nuvole: "Ma cosa gli è preso? Ma cos'ha?".

Papà e mamma che non si sopportano, ma che "per il bene dei figli" fanno finta di niente? Ma... passa lo stesso! C'è un problema in casa ma nessuno ne parla, tutti fanno finta di niente. La mamma ha fatto un esame e sembra che abbia "un brutto male" o il papà forse verrà licenziato: non se ne parla, come se niente fosse, come se le cose non passassero lo stesso. L'angoscia viaggia, passa.

Il figlio è triste, ma: "Sarà niente! Sarà la primavera! Sarà un periodo! Sarà l'età!".

Bisogna sistemare la casa, riordinare, pulire: non c'è tempo per parlare di sé e di quello che si ha dentro. O forse si hanno tante cose da fare, così si ha la scusa per non affrontare certe questioni!

Si dice che Napoleone confinato nell'isola di Sant'Elena sia stato avvelenato con l'arsenico. Ogni giorno gli sarebbe stato somministrato un po' di veleno. Così sarebbe lentamente morto. Il non detto, la non comunicazione, è un veleno che ti viene iniettato e ti uccide l'anima lentamente.

Quand'è che la parabola svolta, cambia? Quando i personaggi iniziano a parlarsi.

Il minore parla a sé (15,17-20): "Quanti salariati...". E cosa si dice? Di che cosa parla? Deve parlare del suo errore (rientrò 15,17), del suo sbaglio, di ciò che ha capito, della sua fame d'amore.

Il padre parla quando lo vede e quando si commuove (15,21-24). E di cosa parla? Esprime la sua gioia, il suo pianto, la paura che ha avuto di perderlo, parla ciò che ha imparato e di cosa è davvero importante.

Il maggiore parla della sua rabbia (15,29-30), del suo odio, della sua invidia, del mostro che ha dentro e della bestia che lo assale sapendo del ritorno del fratello.

I personaggi iniziano un viaggio, cambiano, parlandosi, comunicando, aprendosi. Se sto male, come il minore, parlerò del mio male. Non farò finta di niente. Se ho odio e rabbia, come il maggiore, tirerò fuori e parlerò di questo: dietro l'odio c'è una persona tanto ferita. Se ho gioia, emozione, vitalità, come il padre, esprimerò tutto questo. Il minore e il padre tirano fuori ciò che hanno dentro: per questo "guariscono". Il maggiore non ancora, ma ha iniziato... vedremo!

Apriti, comunica, parla di ciò che tu hai dentro; se non ti apri e non comunichi muori dentro. Se non ti apri, nessuno ti può conoscere; se non ti apri, nessuno potrà vedere quanto bello sei!


Pensiero della Settimana
"Il perdono è due volte benedetto.
Benedice chi lo dà e chi lo riceve".
(Shakespeare)

 

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