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TESTO Commento su Filèmone 9b-10.12-17

Monastero Domenicano Matris Domini  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (08/09/2013)

Brano biblico: Fil 9b-10.12-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,25-33

In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Collocazione del brano
La lettera a Filèmone in realtà è poco più di un biglietto. Si tratta però di uno scritto prezioso, che la Chiesa degli inizi ha gelosamente custodito perché si tratta di un importante punto di riferimento nel tentativo di risolvere il complesso problema della schiavitù. Filèmone è un cristiano (addirittura un collaboratore di Paolo, cf. Fm 1,1) probabilmente di Colossi, che aveva conosciuto Paolo a Efeso. Il suo schiavo, Onésimo, era scappato dal suo padrone e aveva cercato rifugio presso Paolo, il quale si trovava in carcere, nuovamente ad Efeso. Paolo rimanda lo schiavo al suo padrone con un biglietto di accompagnamento, la lettera a Filèmone appunto. La posizione di Paolo era critica, in nome del Vangelo egli avrebbe potuto trattenere presso di sé Onesimo dandogli la libertà e proteggendolo dalle severe sanzioni previste per gli schiavi fuggitivi. Oppure avrebbe potuto riconsegnare lo schiavo al suo padrone, senza prendersi carico del suo desiderio di libertà. In modo molto arguto Paolo rispetta la legge: rimanda lo schiavo a casa. Al tempo stesso però chiede a Filèmone, anche in modo un po' ironico, che lasci libero Onesimo di seguire Paolo. Così dovette accadere, visto che il nome di Onesimo si trova poi ricordato nella lettera ai Colossesi come accompagnatore di Tichico (cf. Col 4,7-9).
Questa domenica leggiamo i passi più importanti di questa lettera, che vi invitiamo però a leggere nella sua completezza. In fondo è lunga soltanto 25 versetti!
Lectio
Carissimo, 9 ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù.
Questo versetto è preceduto (vv. 8-9a) da queste parole molto eloquenti: "pur avendo in Cristo piena libertà di ordinarti ciò che è opportuno, in nome della carità piuttosto ti esorto io...". Sin dalle prime parole di questa lettera è chiaro l'atteggiamento di Paolo. Egli, in forza dell'autorità apostolica potrebbe chiedere a un credente il compimento di un dovere cristiano, cioè la liberazione di uno schiavo. Eppure Paolo, come vedremo nel versetto 14 vuole da Filèmone un gesto libero e generoso e quindi lo esorta in nome della carità.
Paolo nel versetto 9 si dichiara vecchio: a quell'epoca doveva avere circa sessant'anni e le innumerevoli fatiche che aveva sopportato durante i suoi viaggi per l'annuncio del Vangelo avevano certo logorato il suo corpo. Paolo si definisce ancora prigioniero di Cristo, cioè incarcerato a causa della sua predicazione.
10Ti prego per Onésimo, figlio mio, che ho generato nelle catene,
Paolo viene al dunque. Egli ha una richiesta da fare in favore di Onesimo, che definisce proprio figlio.
Questa definizione e il riferimento alla generazione nelle catene fanno pensare che Paolo abbia convertito Onesimo alla fede e lo abbia battezzato egli stesso.
11 lui, che un giorno ti fu inutile, ma che ora è utile a te e a me.
Paolo approfitta del nome di Onesimo per fare un gioco di parole. Onesimo infatti significa: colui che è utile . Con la sua fuga Onesimo è divenuto inutile a Filèmone, ma adesso che è diventato cristiano diventa utile non solo al suo padrone ma anche a Paolo.
12Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Paolo rispetta la legge e rimanda lo schiavo al suo padrone, anche se ormai gli è divenuto caro, è un figlio per lui. La sua utilità quindi non è più quella di uno schiavo, ma quella di un figlio devoto e di un cristiano che vuole impegnarsi per la diffusione del Vangelo.
13Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. 14Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Qui l'apostolo manifesta chiaramente le sue intenzioni. Con un velo di ironia sembra affermare che Filèmone non lo stia aiutando molto in questo frangente della sua prigionia. Avrebbe avuto dunque il diritto di trattenersi Onesimo. Egli però si rimette al cuore di Filèmone, perché compia il bene non per forza, ma con un atto libero e di sua volontà.
15Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; 16non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Quindi Paolo esorta Filèmone a non trattare più Onesimo come uno schiavo ma come un fratello nel Signore. Solo così dimostrerà di essere davvero un cristiano. Egli deve concedere la libertà al suo schiavo e lasciargli la facoltà di andare da Paolo per servire il Vangelo.
17Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
Dunque Filèmone, in forza dell'amicizia che lo lega a Paolo dovrà accogliere Onesimo come Paolo stesso. Ciò che Paolo chiede è molto forte. Gli schiavi non erano considerati come persone, ma come oggetti o come animali. Erano proprietà del loro padrone ed egli li poteva trattare come meglio credesse. Non avevano alcun diritto. Anche se Filèmone era cristiano non è detto che trattasse bene i propri schiavi. Forse Onesimo era fuggito proprio per un trattamento poco umano (lo suggeriscono anche le parole egli che un giorno ti fu inutile). Quindi chiedere a Filèmone di trattare Onesimo come un fratello in Cristo è chiedergli molto; ancora più forte forse di chiedergli la libertà.
Meditiamo
- Ho mai chiesto qualcosa a qualcuno in modo disinteressato, ma nel nome della carità?

- Cosa significa per me essere utili a quanti oggi sono gli apostoli nella predicazione del Vangelo?

- Come è il mio atteggiamento nei confronti dei fratelli e sorelle nel Signore? Sento verso di loro una certa comunanza o sono come gli altri?

 

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