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TESTO Commento su Secondo Re 5,14-17; Seconda Timoteo 2,8-13; Luca 17,11-19

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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2013)

Vangelo: 2Re 5,14-17; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

La liturgia di questa 28a domenica del tempo ordinario invita, ogni fedele, "in questo giorno santo" a rendere gloria a Dio per il dono della fede e per la salvezza che il Padre opera per mezzo del Figlio prediletto.
Questa Domenica potrebbe chiamarsi " la domenica della riconoscenza per il dono della salvezza". Sia la prima lettura che il Vangelo ci parlano di guarigioni, di salvezza, di ringraziamento, mentre il Salmo responsoriale ci dice che la salvezza del Signore è per tutti i popoli; infine, la seconda lettura ci parla di libertà, di memoria, di lode e di ringraziamento. Ma chi opera la salvezza? Chi ha il dovere di ringraziare? La salvezza è opera di Dio, del Dio trinitario, che agisce servendosi dei profeti e dei Santi; il ringraziamento appartiene all'uomo peccatore, che gioisce per il dono ricevuto.
La prima lettura ci parla di "Naaman, capo dell'esercito del re di Aram, un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato...Ma questo uomo prode era lebbroso". Pur affidandosi alle cure dei medici e ai sortilegi dei maghi siriani non riesce a guarire. Si fida, forse per disperazione, alle parole di una persona insignificante, la schiava della moglie. Chiede al suo signore il permesso di andare in Samaria per essere guarito dalla lebbra dal profeta Eliseo. Eliseo gli ordina di lavarsi sette volte nelle acque del giordano, dalle cui acque l'uomo riemerge con la sua carne come quella di un giovinetto. Torna da Eliseo per ringraziarlo e dice: "ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele". Con queste parole egli riconosce di aver fede in Dio e in Eliseo l'intermediario di Dio. Dopo inutili tentativi di far accettare doni di riconoscenza al profeta, chiede il permesso " di caricare terra quanta ne portano due muli...per offrire olocausti e sacrifici...solo al Signore". La prima riflessione che mi passa per la mente è la seguente: "Quante persone che, noi riteniamo insignificanti, svanite, ci suggeriscono, con parole e atteggiamenti parole ed atteggiamenti che vani non sono? Quanti pensieri ci passano per la mente e che non vengono presi in considerazione perché richiedono fede, perseveranza e umiltà per poterli attuare?"
La fede è un dono, un dono di Dio, che Lui elargisce, senza che noi ce ne rendiamo conto; ma ci rendiamo conto del dono solo se la chiediamo insistentemente, con cuore puro e non come ricompensa per il nostro buon operare. La fede nel Dio di Israele fa ritenere a Naaman che Dio può essere adorato e ringraziato solo in quella terra di cui egli sii fa provvista rientrando in patria. Noi sappiamo che Dio si adora e si ringrazia in spirito e verità ovunque ci siano dei veri adoratori, cioè si fa comunione con Dio solo attraverso la fede, e il materiale per la celebrazione è sua proprietà: le sue meraviglie, i prodigi del suo amore. A noi spetta coltivare tutto con riconoscenza in un "cuore di carne". Cristiano è chi rende grazie a Dio, non chi chiede grazie e talvolta, indegnamente le riceve. Cristiano è colui che riconosce i molteplici doni che, Dio gli fa attraverso i sacramenti, con la consapevolezza che ciò che ha ricevuto non gli è dovuto. Cristiano è colui che si chiede "che cosa gli darà ancora la vita", ma colui che dice "che cosa sono capace di dare a Dio in ringraziamento per i suoi innumerevoli doni ricevuti e che ancora mi darà". La risposta a queste domande la troviamo nel salmo responsoriale. " Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni!".
Nella seconda lettura san Paolo invita Timoteo a ricordarsi che la gratitudine è anche memoria e pertanto le sue sofferenze, quelle di Paolo, sono "per gli eletti, perché anch'essi raggiungano la salvezza". La sofferenza non è fine a se stessa, unita a Cristo è causa di salvezza per se e per gli altri. Il brano della lettera termina ricordando, a noi e a Timoteo, che la libertà della parola che ha crocifisso Gesù di Nazaret e ha incatenato Paolo, si è rivelata efficace, poiché è diventata non solo la nostra ragione di vita ma anche la nostra ragione di speranza.
Ci si è sempre interrogati sul significato dei miracoli di Gesù. Il miracolo della guarigione dei dieci lebbrosi ci apre uno spiraglio di comprensione che ci dice che l'evento può essere indipendente dalla fede di chi risulta beneficiato (vedi anche i vv. precedenti la prima lettura allorché Naaman il Siro si sente offeso dall'invito di Eliseo a bagnarsi nelle acque del Giordano). Ma dei guariti uno solo ritorna a ringraziare il benefattore: un samaritano, uno con una fede non proprio cristallina, anzi più tosto torbida e inquinata, per non dire assente. Dei dieci solo questi è stato guarito sia nel corpo che nello spirito, gli altri nove non tornano indietro preoccupati soltanto di obbedire alle prescrizioni della legge, per fare autenticare la propria guarigione. Il samaritano, il solo ritornato, non ha queste obbedienze da osservare, ma solo la libertà di fare le cose come si deve: dire grazie. Dire grazie, avere gratitudine, è il sentimento di chi riconosce di dovere qualcosa a qualcuno. Con la parola grazie non si ha la pretesa di estinguere il debito, non si dice: " Non ti devo più nulla", ma si dice: "Io sono dipendente da te per tutta la mia vita perché tu mi hai usato misericordia".
La gratitudine è una restituzione mai completamente soddisfatta, un contraccambiare senza raggiungere il pareggio e la restituzione appare sempre piccola. Pertanto chiediamo a Dio, nella preghiera, di avere sempre qualcosa per cui dovergli dire: "Grazie Signore"
REVISIONE DI VITA
1) Siamo consci, in famiglia, che "tutto" ci viene donato da Dio indipendentemente dai nostri meriti e anche dalla nostra fede in Lui?

2) Quanta fede ho in mio marito e/o in mia moglie da sentirmi sempre riconoscente nell'altro e/o nell'altra?

3) Pensiamo che la gratitudine sia facile? Il nostro grazie è sempre una risposta d'amore oppure di convenienza?
Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari

 

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