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TESTO L'amore di Dio supera l'idolo umano

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (15/09/2013)

Vangelo: Lc 15,1-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

"Facci un Dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto." Probabilmente nel popolo di Israele vi era già un errore recondito, visto che adesso, mentre Mosè è sul monte in conversazione con Dio, si rivolge ad Aronne per chiedere "un altro Dio" materiale. Per dirla in termini più elementari, forse gli Israeliti non avevano riconosciuto il vero Dio Altissimo quale fautore della loro liberazione dall'Egitto, ma... Mosè. Avevano confuso Dio con il suo ministro, avevano sempre guardato a Mosè e mai al Signore loro vero liberatore e adesso avvertono il bisogno di un nuovo Dio materiale. Un Dio "tangibile", che si possa vedere e toccare con mano. Ovviamente chiedono un idolo e forse neppure vogliono una divinità, ma qualcosa che sia loro simile o attinente. Sanno benissimo infatti che il vitello d'oro sarà formato dagli anelli e dai pennelli aurei delle donne del popolo e che quindi scaturirà da loro e proprio per questo rivolgono tale richiesta ad Aronne: credono solo in se stessi elevato a divinità.

E' inverosimile che si possa attribuire potere divino ad una figura di metallo fuso di cui si è appena vista la costruzione e che ci si prostri ad essa in atto di umile venerazione, ma per chi è sempre stato abituato a riporre la propria fiducia esclusivamente su un soggetto umano e comunque su un elemento prettamente esteriore divenuto oggetto di idolatria avvertendo la necessità di affidarsi a cose secondarie e tangibili, il paradossale diventa sempre ordinario, anche per ragioni di carattere psichico.

Il che non deve affatto stupire, perché è tipico dell'uomo credere in quello che vuol credere. Quando ci si radica su una fede precostituita, si trasforma in credo religioso una qualsiasi illusione subdola e ingannevole, ebbene quel partito sarà preso per sempre e qualunque discorso verterà sempre a giustificarlo, non importa se l'evidenza dei fatti ci è contraria.

Quando un'ideologia, una cultura o semplicemente una supersistizione si è talmente radicata in noi da appropriarsi della nostra vita, non c'è argomento che ce ne possa distogliere fosse pure il più convincente e perfino il bianco non sarà mai bianco e il nero non sarà mai nero, non importa quali siano le altrui dimostrazioni cromatiche.

Nel peccato di Israele, che non ha pazienza nell'aspettare la rivelazione del vero Dio per mezzo delle tavole della legge e che vuole disporre immediatamente di un Dio a misura propria si trovano tante sfaccettature della nostra realtà odierna in fatto di religione, non di rado anche all'interno dei nostri movimenti ecclesiali, quando, raggiunto un certo stadio di eccessi, la devozione e la pietà si trasformano in mero fanatismo. Quando ad esempio si pende troppo dalle labbra di leader, che con il suo presunto carisma irretisce tutti, siamo nell'ambito della setta e della difficile recuperabilità.

Diceva Oscar Wilde "Credo nel Dio che ha creato l'uomo, non nel Dio che l'uomo si è creato".

Ciò nondimeno, la pazienza e la misericordia del vero Dio d'Israele onnipotente, che ha amato l'uomo al punto da farsi egli stessi Figlio dell'uomo, è veramente grande e immeritata.

Nonostante la gravità della colpa, l'amore di Dio supera enormemente l'ostinazione dell'uomo verso il male ragion per cui è sufficiente la sola intercessione di Mosè a placare l'ira divina per riottenere la salvezza degli Israeliti: in conseguenza della potente intercessione del patriarca, il popolo viene risparmiato dalla distruzione anche se non potrà fuggire ad una giusta punizione. Quanto più grave è la colpa commessa, tanto più grande è la misericordia riconciliante di Dio.

Come afferma Cipriani, Dio non riconcilia l'uomo con sé benché sia peccatore; lo perdona e lo riconcilia appunto perché è peccatore.

Nei confronti del peccatore Dio si comporta come il pastore che (assurdo a dirsi) abbandona l'intero gregge fra i boschi per andare a recuperare una sola pecorella che si è smarrita perché prescindendo da ogni raziocinio sul suo eventuale rendimento agricolo e caseario gli preme che essa si salvi da eventuali pericoli e che perisca vittima di insidie e di lupi rapaci.

Come pure si comporta similmente alla donna che accendendo di giorno la lucerna cerca per tutta la casa la dramma perduta; considerando che una dramma valeva la paga di un solo giorno lavorativo, potremmo affermare che in fondo la perdita non è considerevole, e tuttavia in questo caso la sua ricerca diventa estremamente fondamentale così come fondamentale è per il Signore che un solo peccatore, anche considerato dagli uomini come il più insignificante, possa salvarsi poiché quello che maggiormente preme esplicitare da parte di Gesù è la volontà con cui Dio intende recuperare il peccatore.

Dio gioisce e invita tutti a rallegrarsi per un solo peccatore che ritorna alla comunione con il Padre non importa quale sia stato il suo trascorso peccaminoso e quale sia adesso la sua personale condizione. Tale gioia è espressiva della festa e della letizia che esprime la benevolenza divina per l'avvenuta riconciliazione, ma che deve anche inculcare in tutti noi il sentire di gioia e di festa tutte le volte che un solo fratello disperso recupera la comunione con Dio e con tutti noi. Nella misura in cui l'amore di Dio è riconciliante, così pure riconciliante deve essere ogni nostro atteggiamento verso quanti tentano di riconciliarsi con noi e anche nello specifico della nostra vita ecclesiale un tale senso di festa e di letizia dovrebbe caratterizzarci tutti quanti.

Fin quando però ci ostineremo a costruirci ciascuno il nostro Dio personale eludendo le aspettative del Dio creatore e Salvatore, non saremo mai in grado di riconciliarci neppure con noi stessi.

 

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