PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Saper guardare oltre

mons. Antonio Riboldi

Ascensione del Signore (Anno C) (23/05/2004)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Si racconta che un giorno, quel grande santo che fu S. Filippo Neri, che sapeva educare i giovani e i non giovani alla "vita eterna", ossia a guardare "oltre" tutto ciò che si vive su questa terra, chiese ad un giovane: "Cosa farai nella vita?" Il giovane rispose: "Vorrei farmi un domani bello, felice, diventando ricco". E il santo: "E poi?" "Potrò fare tante cose, per esempio visitare tutto il mondo" "E poi?" insisteva il Santo: "Godere tutto quello che è possibile godere". "E poi?" incalzava S. Filippo, che voleva arrivare al sodo della vita. A questo punto, il giovane aveva come esaurito i suoi desideri e non seppe più rispondere alla domanda. E il santo: "Anche se tutto quello che sogni si verificasse, tutto ciò che appartiene a questa terra ha una fine. Ma poi viene il bello, ossia l'incontro con Dio nella morte. Avendo esaurito tutti i tuoi desideri, a quel punto ti presenterai a mani vuote e la tua vita così si rivelerà un fallimento. Ci pensi? Potresti qualche volta, se sei saggio, pensare un poco di più a quel "e poi", e indirizzare tutto verso ciò che ti attende?"

L'errore di tanti è proprio qui, nell'avere progetti, tanti progetti, per questa terra, ignorando che l'unico progetto è il Cielo, dove volenti o no tutti siamo indirizzati.

Quante speranze conoscono il vuoto "della delusione", lasciando a noi un cuore, alla fine, "insoddisfatto", come avere sete e non trovare acqua che disseti. Il nostro mondo ha cancellato la vera divina natura della speranza.

Scrive il S. Padre: "Oggi assistiamo ad un affuscamento della speranza. Il tempo che stiamo vivendo, infatti, con le sfide che gli sono proprie, appare come una stagione di smarrimento. Tanti uomini, donne, sembrano disorientati, incerti, senza speranza e non pochi cristiani condividono questo stato d'animo...Allo smarrimento della memoria di quello che eravamo come cristiani, nei secoli, si accompagna una sorta di paura nell'affrontare il futuro. L'immagine del domani, coltivata, risulta sbiadita ed incerta.

Del futuro si ha più paura che desiderio. Ne sono segni preoccupanti, tra gli altri, il vuoto interiore che attanaglia molte persone e la perdita del significato della vita.

Tra le espressioni e i frutti di questa angoscia esistenziale vanno annoverati, in particolare, la drammatica diminuzione delle natività, il calo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, la fatica, se non il rifiuto, di operare scelte definitive di vita anche nel matrimonio" ( E in E. 7-8).

Questa riflessione, sulla vera natura della speranza, viene suggerita dalla solennità della Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo. Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli, nel racconto della Ascensione, sono molto scarni, come a voler affermare una meravigliosa verità che ci riguarda e, come tutte le notizie meravigliose, è caratterizzata non dalle parole, ma da stupore e gioia.

Gesù si era mostrato più volte, dopo la Resurrezione, ai suoi, perché fossero testimoni di questa vita nuova che è nella resurrezione. Alla fine di questo "breve soggiorno" con i suoi, per confermarli nella fede, con loro si reca verso Betania, e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme, con grande gioia, e stavano sempre insieme nel tempio, lodando Dio" (Lc. 24, 50-53).

Forse ci saremmo aspettati, alla fine del breve racconto, che gli Apostoli si sarebbero afflitti, ancora una volta, per la partenza oramai definitiva del loro Maestro. Ma sapevano, anche se forse non si spiegavano come, che Lui li aveva preceduti in quel paradiso, che si era conquistato con la sua Passione e Morte, non per lui ma per noi. E sapevano che solo così avrebbe potuto mantenere la promessa fatta a loro e a tutti noi, che ci sarebbe stato vicino ieri, oggi, sempre, perché di fatto con l'Ascensione cambiava solo il modo di essere vicino...

Sapevano che era definitivamente chiusa quella meravigliosa parentesi di storia di un Dio che si dona per aprire le porte del Cielo. Il venerdì della passione e morte apparve ai loro occhi come la sconfitta della stupidità umana e della loro malvagità, sulla potenza di Dio. Avevano capito che "dare la vita", come aveva fatto Gesù sulla croce, era il trionfo dell'amore, la vittoria sul male e quindi lo spalancarsi della speranza a quanti sanno guardare al cielo come sola patria desiderabile.

Forse sarà stato difficile per gli Apostoli capire questo atto divino di amore per noi, poveri uomini, troppe volte capaci di nutrirci della terra che è il sepolcro della speranza. Erano uomini come noi. Ora però Gesù aveva vinto la morte: era Uno che non conosceva più le strettoie ed i vicoli chiusi della vita umana, fatta di piccoli niente che si infrangono sul nascere. Gesù con la Resurrezione e la sua Ascensione al Cielo, aveva tracciato la strada per conoscere l'infinito e l'eternità.

Che bello sentire Gesù che così spiega il suo apparente distacco da noi.
"Io salgo al Padre mio e Padre vostro".

E prima di salire così parla ai suoi e a noi: "Sta scritto: il Cristo dovrà patire e resuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su voi quello che il Padre mio ha promesso: ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto" (Lc. 24, 46-49).

Su questa ineffabile presenza e promessa siamo tutti invitati a vivere con gli occhi rivolti al cielo, come gli Apostoli. Forse troppe volte i nostri occhi, le nostre vedute, i nostri desideri, nulla hanno a che vedere con il cielo. Si fermano a ciò che è "polvere e in polvere tornerà".

Guai a staccare gli occhi e il cuore dal cielo ed indirizzare tutto verso quel domani che ci attende! Il vero cristiano sa bene che non si può portare la croce di ogni giorno, se non vive di speranza, ma quella che è data da Dio, che ha gli occhi rivolti al cielo. Uno scrittore disse: "Ci sono tre sorelle che sono sempre insieme e non possono staccarsi, perché non avrebbe senso essere sole. Le tre sorelle sono la fede, la speranza e la carità. Si tengono per mano camminando. Ai lati ci sono le sorelle più grandi, la fede e la carità: al centro quella, all'apparenza, più piccola, e più fragile, la speranza. Ma a guardare bene non si capisce bene se sono le due grandi che sostengono la piccola o se è la piccola, la speranza, che sostiene le due grandi". E penso che abbia ragione. Non c'è mai grande o piccolo disegno di vita cristiana che sia possibile senza la speranza. Non c'è la forza del martirio, senza la speranza. Non c'è la gioia del dono di sé nella carità, senza la speranza che domani quel dono lo troveremo conservato nel cuore di Dio, come tutto ciò che si scrive in cielo. E' proprio vero che vivere di sogni o di speranze, che non nascono dalla Speranza che conta, è come fare della vita uno scrivere sulla sabbia, che in un batter d'occhio un'onda cancella: la morte.

Quando ero parroco a Santa Ninfa', dopo il terremoto, la sola speranza che la gente giustamente nutriva, era una pronta ricostruzione della casa andata distrutta. E mi feci voce alta del loro diritto davanti alle istituzioni ed alla opinione pubblica. Era come sventolassi ogni giorno il vessillo della speranza, che non deve conoscere la morte. Una speranza, quella, che era figlia della carità. Quando iniziò la ricostruzione, ed io vivevo in baracca, come baracca era la Chiesa, la gente mi chiedeva come mai non premessi per ricostruire casa e Chiesa. A tutti rispondevo: "La mia vera casa è da una vita che sto cercando di progettarla e costruirla". Alla domanda: "Dove e come?" rispondevo: "Non mi fido di una casa qui in terra: dura poco e non è sicura. Ogni giorno, con la fede e la carità, cerco di farmi una casa là dove tutto è eterno, in Cielo".

Ed è questo il modo di vivere tenendo strette le mie mani nelle mani delle tre sorelle: fede, speranza e carità. Vivere di questa speranza è come, ogni giorno, in tutto e sempre, gustare la bellezza della vita. Tutto diventa meraviglioso. Anche il martirio.

Ricordiamocela sempre, ogni giorno, la domanda di S. Filippo, quando siamo tentati di coltivare speranze che sono parole sulla sabbia: "E poi?".

 

Ricerca avanzata  (54027 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: