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TESTO Ho tutto... ma mi manca Dio

don Alberto Brignoli  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/08/2013)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

La vita è un insieme di fatiche inutili.

Ti alzi presto, vai a letto a orari indecenti: e durante la giornata ti dai da fare come un forsennato per costruire qualcosa, per guadagnare un po' di soldi per mangiare, ma anche per risparmiare e per concederti qualche sano svago, e poi d'improvviso ti fermi a pensare e ti accorgi che quello che hai fatto ha ben poco senso, perché potrebbe durare il tempo di un sospiro e terminare nella tomba. Spesso quello che fai ti sembra perfettamente inutile e senza senso, perché c'è gente che fa poco o nulla e campa bene lo stesso, anzi, se la ride del tuo affannarsi, perché - tant'è - di fronte al senso finale della vita, che tu abbia lavorato molto o poco, fa lo stesso: sia il fannullone sia l'accanito lavoratore muoiono, e tutto termina lì. E con te nella tomba non ti porti nulla, per cui è inutile star lì a dannarsi. Meglio non diventare matti, visto che ogni giorno ha già la sua pena: pure la notte ha le sue pene, perché spesso non riusciamo nemmeno a dormire bene pensando alle cose che dobbiamo fare il giorno dopo e alle ansie che ogni nuovo giorno porta con sé. Che vita grama: correre a destra e sinistra per tirare insieme poco o nulla, e vedere che per di più quello che fai non solo non torna a vantaggio tuo, ma di tutto questo spesso se ne avvantaggiano altri che non hanno fatto nulla, e che per di più - solo perché dicono di essere i tuoi capi - vanno in giro a gloriarsi dei successi ottenuti come se fossero i loro! Quante volte succede questo nel mondo del lavoro: tu lavori onestamente, nessuno ti gratifica, e l'approfittatore è quel collega fannullone o quell'accentratore di un tuo diretto superiore che si becca tutti gli onori perché ha la lingua più lunga e si fa notare di più agli occhi degli altri, come se fosse quello che fa tutto lui, magari stando a casa giorni e giorni con malattie più o meno reali, e cose di questo genere... Ma dai! Che senso ha una vita così? Che senso ha investire energie, tempo e soldi in una vita che riserva quasi sempre solo amarezze, sacrifici e preoccupazioni? È tutto così inutile, vano, insensato, ed è pure... Parola di Dio!

Sì, avete capito bene: questa è Parola di Dio! Non è diventato pazzo di colpo chi legge la prima lettura di oggi dall'ambone! Al termine di quanto è stato proclamato, prendendolo dal libro di Qoélet, ci è stato detto che a parlare non è "l'uomo-della-strada" di qualsiasi epoca storica: è un uomo ispirato da Dio e che parla in suo nome, e quindi ciò che lui dice siamo invitati dalla Chiesa ad ascoltarlo e attuarlo come "Parola di Dio"! Che roba è mai questa? Questo sarebbe il Dio della Speranza cui affidare la nostra vita? Un Dio che della tua vita e del tuo "affannarti sotto il sole" per cercare di dare il meglio di te stesso dice: "Tutto quanto è vanità"?

Chi definisce l'autore di Qoélet un "saggio ateo" non va molto lontano dalla realtà. Almeno da una prima e realistica lettura. Dio, nell'ispirato e canonico testo in questione, può benissimo starsene ai margini, tra le righe o nelle note integrative che poco cambierebbe del senso di questo libro, se non arrivasse un Vangelo come quello di oggi a gettare su di esso un po' di luce e a ridarci un pizzico di speranza. Neanche troppa, a dire il vero. Ma per lo meno ci aiuta a fermarci un istante e a porci delle domande su ciò che stiamo facendo. Una, su tutte: uomo, dove stai andando? Per meglio dire: che senso ha tutto quello che - con ansie, nevrosi, dolori di testa, scatti d'ira, impazienze, affanni, preoccupazioni diurne e notturne - ogni giorno ti sbatti a tirare insieme, se la tua vita è "vanità" (in ebraico "hebel"), ossia "vuoto, soffio, nulla"? La vita è vanità, per Qoélet, è un nulla, è vuota, vale quanto la durata di un soffio: hai iniziato a emetterlo, ed è già finito. Per cui, che senso ha vivere ciò che dura il nulla di un soffio affannandosi come se fosse un assoluto? I progetti che l'uomo fa', pur legittimi ed economicamente ragionevoli come quelli dell'uomo ricco della parabola del vangelo, hanno la consistenza di un soffio. E come tali, difficilmente ti danno la possibilità di godere di ciò che hai costruito in tanti anni di lavoro, sacrifici, affanni e rinunce. E a volte ti rimane pure l'incombenza di affrontare lotte con i tuoi familiari per spartirsi, come i due fratelli del vangelo, l'eredità di chi ha lavorato tanto per goderne nulla, proprio come Qoélet insinua.

Probabilmente, a una vita così manca qualcosa per potersi dire veramente "vita". Ed è il dramma di tutti. Anche - ma oserei dire soprattutto - dell'uomo ricco. Di chi confida nell'abbondanza di ciò che ha e pensa che la sua vita possa dipendere da quest'abbondanza per non avere più affanni e preoccupazioni "per molti anni". Di colui a cui guardiamo spesso con invidia, come se fosse veramente felice perché ha tutto e se lo può godere: soldi, divertimento, abiti firmati, macchine lussuose, donne e uomini a sua disposizione, successo, potere economico e quasi sempre anche politico, ampi consensi dalle masse, visibilità dai mass-media... tutto, veramente tutto! Le uniche cose che gli mancano sono le ansie, gli affanni, le preoccupazioni che gli uomini comuni hanno in abbondanza. Ma di fronte "alle cose di lassù", come le chiama Paolo? Di fronte a un Assoluto al quale deve render conto, in qualsiasi momento, della propria esistenza, come la mettiamo? Forse nella tomba riuscirà a portarsi qualcosa di quello che ha? Siamo sicuri che - oltre alle preoccupazioni che invece ha l'uomo-della-strada - non gli manchi pure il senso della vita? Non sarà - più semplicemente - che ha tutto, ma proprio per questo gli manca Dio?

Qoélet, questo grande saggio apparentemente senza Dio, terminerà il suo meraviglioso e attualissimo libro con l'invito, in un'esistenza così inutile, a cercare proprio Dio e ad affidare a lui i nostri progetti. È vero: né l'uomo senza Dio, né l'uomo che ha Dio possono cambiare la sorte della loro esistenza. Qoélet ce lo dice in modo immediato e drammatico, il vangelo ce lo ricorda con una parabola: tutta la vita, priva o meno della sicurezza delle ricchezze, libera o no dalle preoccupazioni e dalle ansie quotidiane, è "hebel", un soffio, un nulla, è tutta una vanità. È "come l'erba che germoglia - ci dice il salmo - che al mattino fiorisce e alla sera è falciata e si secca". Ma se invece di accumulare tesori per me, mi preoccupo di arricchirmi presso Dio, alla fine del mio "affannarmi sotto il sole" mi resta per lo meno lui. Che con me nella tomba ha il coraggio di scendere, me ne ha già fornita la prova.

E - detto con tutta sincerità - se ho Dio, questo mi basta.

 

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