TESTO La fede e le umane ingratitudini
padre Gian Franco Scarpitta Chiesa Madonna della Salute Massa Lubrense
padre Gian Franco Scarpitta è uno dei tuoi autori preferiti di commenti al Vangelo?
Entrando in Qumran nella nuova modalità di accesso, potrai ritrovare più velocemente i suoi commenti e quelli degli altri tuoi autori preferiti!
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/10/2004)
Vangelo: Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Eccettuando quelle scurrili o poco morigerate, le famose mattonelle decorate che si vendono come souvenir presso le bancarelle o i negozi di ricordini delle varie località turistiche attirano sempre la mia attenzione a motivo delle massime che vi sono riportate.. Fra tutte, ne ricordo una particolarmente ironica e allusiva: "Non fare il male perché è peccato, non fare il bene perché è sprecato." E' chiaro che questa espressione contrasta con i moniti e gli insegnamenti della nostra fede, che invita a comunicare l'amore al prossimo in tutte le circostanze e ad operare sempre il bene senza che ci si debba attendere il contraccambio, e per questo motivo non va da noi condivisa; tuttavia essa sottolinea la realtà di fatto che effettivamente, fino a quando ci troveremo a vivere sotto questo cielo, dovremo sempre aspettarci episodi ed esempi di ingratitudine umana: parecchie volte ci si prodiga nella generosità e nell'apertura al prossimo in modo disinvolto, con massima abnegazione e abbandonando ogni retorica e falsità, per poi tuttavia ricevere come contraccambio l'indifferenza e addirittura l'ingiustizia; in luogo di un atto di riconoscenza per il bene che abbiamo fatto ad un altro, avviene non di rado che riceviamo da questi anche un vero e proprio atteggiamento di cattiveria come un pettegolezzo o una falsità; anziché un "grazie" sereno e sincero da parte di coloro ai quali abbiamo appena fatto del bene, non è escluso che possano provenirci anche ulteriori pretese o cattiverie. E tutto questo conduce allo scoramento e di conseguenza alla mancata perseveranza nel bene: ci si scoraggia e si vorrebbe rendere pan per focaccia in tutte le situazioni.... Eppure, proprio in questo consiste l'eroismo del cristianesimo, e in particolar modo è proprio in questa prospettiva che noi si segue le tracce del Signore Gesù Cristo, il quale di ingratitudini e persecuzioni ne ha subite molto più di noi, avendo egli operato il bene in misura incommensurabilmente maggiore rispetto alla nostra; e pertanto, lungi dal lasciarci avvincere dallo sconforto occorre in questi casi rievocare a noi stessi l'appello di San Paolo: "Non lasciatevi scoraggiare dal male, ma vincete il male facendo il bene". Agire in vista dell'amore a prossimo infatti è cosa tutt'altro che semplice, soprattutto se si considera che l'umanità in se stessa non è amabile e suscettibile di tradimenti e delusioni. Anche la Scrittura afferma che "Anche l'amico in cui confidavo, alza contro di sé il suo calcagno"; e "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo", a riprova del fatto che solo Dio è fedele, perché non rinnega se stesso (San Paolo).
Ma se già noi stessi sperimentiamo l'ingratitudine da parte degli uomini, che cosa avrebbero dovuto pensare i personaggi di cui alla Liturgia di oggi, Eliseo e Gesù Cristo, nel ricevere, sia pure sotto modalità differenti, effettivi atti di ingratitudine e pretestuosità?
Osservando infatti la Prima Lettura, essa riporta solo la parte conclusiva di tutto un discorso relativo a Naaman: nei versi iniziali del capitolo, infatti, questi decide di recarsi dal profeta Eliseo per ottenere il miracolo della guarigione dalla lebbra a tutti i costi e senza condizione alcuna. Anziché l'invito a lavarsi sette volte per purificarsi, si sarebbe infatti aspettato da parte del profeta un semplice atto terapeutico: " Certo... invocherà il nome del signore suo Dio toccando con la mano la parte malata e la lebbra sparirà". (v 11). Così non avviene, e Naaman addirittura si arrabbia con Eliseo per quanto gli sta chiedendo, avendo questi la convinzione di trovarsi di fronte ad medico guaritore piuttosto che ad un uomo di Dio. Solo in un secondo momento, il generale si accorge che davvero Eliseo è tale mostrandogli tutta la sua riconoscenza.
L'episodio che sta interessando Gesù ci fa ricordare invece tutte le circostanze nelle quali veniamo urtati dalla faccia tosta e dall'ipocrisia di tutte quelle persone false e opportuniste che, ai fini di ottenere da noi un determinato favore, si mostrano gentili, aperti e simpatici adoperando una faccia del tutto differente da quella che di fatto possiedono;
i dieci lebbrosi, infatti, tutti Ebrei e Samaritani, non avevano mai chiamato Gesù "Maestro", né lo avevano mai pregato secondo quelle modalità (le stesse che adoperavano nel pregare il loro Dio). Soltanto adesso che gli chiedono un atto di pietà e di misericordia, ricorrono a quel linguaggio, quasi ad accattivarsi la simpatia del Signore. E una volta ottenuto il miracolo... Attenzione: chi sta tornando indietro a rendere lode a Dio (in Gesù Cristo)? Soltanto una persona, e per di più un SAMARITANO, del tutto estraneo alle pratiche religiose e alla fede degli Ebrei che accomunava Gesù con tutti gli altri nove!!!
Esempi quindi di irriverenza che Gesù stesso riscontrava, e ora lo stesso episodio appena commentato ci avverte per inciso che essi sono per noi all'ordine del giorno.
Dbbiamo sempre aspettarceli e non lasciarci mai scoraggiare.
Tuttavia domandiamoci: a che cosa si devono questi atti di ingratitudine nei due casi descritti? Osserviamo che sia nel caso di Gesù che in quello di Eliseo viene sempre chiesto un atto di fede: la purificazione. Questo non viene affatto eseguito perché i malati di lebbra sono abituati ad un concetto del tutto materiale della guarigione, che prescinde dalla trascendenza e dalla religiosità; in pratica sembra che ragionino alla stregua dei mercanti intenti al commercio: io ti pago, tu guariscimi. Ma a meritare il miracolo (lo stesso vale per noi oggi!) è invece appunto la fede, cioè la predisposizione a fare la volontà di Dio in tutto e per tutto, a sottometterci con filiale abbandono alla Sua volontà e alla sua parola senza alcuna reticenza e soprattutto a ringraziarLo nella prosperità!! Non equivale affatto ad aver fede il nostro invocare il Signore nei soli momenti di bisogno; questo corrisponde piuttosto ad ipocrisia e opportunismo. Dio va pregato anche nei momenti di benessere, secondo i libri Sapienziali, che invitano a rendere grazie nella prosperità oltre che a invocare aiuto nell'abbandono.
Domandiamoci ancora: come possiamo noi reagire alle comuni, episodiche, ingratitudini e cattiverie da parte degli altri? Abbiamo già affrontato la risposta al presente interrogativo ricordando il monito a fare il bene senza lasciarci scoraggiare, in quanto in questa circostanza si è certi di seguire il Signore, e le ricompense certamente non mancheranno, ma che cosa ci è di sprone a questa certezza motivazionale se non la fede, ossia il fatto che noi si agisce in fondo solo in vista del Regno di Dio e per il fatto che a Lui apparteniamo, prescindendo dalle umane condizioni? Ecco che anche per noi allora la fede nel Signore è quello che motiva la nostra perseveranza cristiana; chi si muove in quest'ottica non perderà la sua ricompensa.