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TESTO Commento su Geremia 38,4-6.8-10; Salmo 39 (40); Ebrei 12,1-4; Luca 12,49-53

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XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/08/2013)

Vangelo: Ger 38,4-6.8-10; Sal 39 (40); Eb 12,1-4; Lc 12,49-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

"I capi allora dissero al re: «Si metta a morte quest'uomo, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest'uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi». Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia"(Ger 38,4-6).
Forse oggi i profeti - coloro che parlano in nome di Dio e coloro che parlano in nome dell'uomo, ed anzi coloro che dicono Dio per dire uomo, e che dicono uomo per dire Dio - non vengono più gettati in una cisterna piena di fango in cui inesorabilmente si affonda. Eppure, mai come in questo nostro tempo, la profezia è disattesa, irrisa, e le voci profetiche spente e messe in condizione di non nuocere.
Un esempio tratto dall'attualità dei giorni in cui scriviamo queste note. Nelle "Lettere al Direttore" de La Stampa del 19 luglio 2013, un lettore denuncia "la cecità, o forse l'ipocrisia, di molte persone di fronte ai problemi della Difesa e di tutto ciò che le è correlato". Il "casus belli" è fornito dall'acquisto da parte del Governo Italiano, e purtroppo approvato o quanto meno non disapprovato dal Parlamento, degli aerei da combattimento F35. Che l'attuale ministro della Difesa non abbia scrupoli nel caldeggiarne e predisporne l'acquisto non ci stupisce in realtà più di tanto: un po' di più, dobbiamo confessarlo, la maggioranza di parlamentari che hanno votato affermativamente. Non ascoltiamo forse tutti i giorni il lamento di ministri e di parlamentari di ogni corrente politica sulla fatica che fanno le famiglie ormai non solo per coprire la quarta settimana del mese, ma anche la terza e per molte già la seconda? Come pensano di giustificare di fronte ad esse lo spreco di denaro pubblico con il quale molti problemi delle famiglie potrebbero essere risolti? Chi scrive è tra coloro - lasciamo ad altri decidere se ciechi o ipocriti, o con entrambi tali attributi - che hanno firmato tutte le petizioni possibili perché questo scempio potesse essere evitato. Inutilmente, anche se in realtà una firma non costa molto. Ci permettiamo tuttavia di additare alle famiglie, soprattutto a quelle che fanno più fatica, l'atteggiamento profetico (indipendentemente dall'appartenenza ad una fede) di coloro che hanno lottato in tutti i modi per evitare un inutile spreco di risorse e che hanno, soprattutto, confermato con il loro esempio la beatitudine dei costruttori di pace.
Per dire come Geremia sia attuale anche nel 2013. E per poter proclamare, con il Salmista, "Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel Signore e non si volge verso chi segue gli idoli né verso chi segue la menzogna" (Sal 39, 5).
Questo è dunque il contesto in cui siamo chiamati a lasciarci coinvolgere e a proclamare la parola dell'Evangelo. Il cristiano non vive in un contesto tranquillo, non può mai vantarsi di avere la coscienza pulita, anche se su di essa deve orientare sempre ed esclusivamente le azioni. C'è sempre, in ognuno di noi, un peccato di omissione, o l'alibi di aver fatto tutto il possibile, o quanto meno la paura di essere gettati, come Geremia, in un pozzo profondo e melmoso. Ma, ancora una volta, ci soccorre la parola del Signore. Ci dice di non guardare indietro, ma avanti, di non considerare le controtestimonianze, ma le testimonianze di coloro che, poveri e fragili come noi, ci indicano tuttavia la strada.
Scrive l'autore della Lettera agli Ebrei:"Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato..."(Eb 12,1-4).
Dunque occorre resistere. Resistere "fino al sangue". Resistere come ha fatto il Maestro. E noi pensavamo che bastasse andare a messa la domenica, biascicare qualche preghiera, baciare l'anello al Vescovo, fare un'offerta alla Caritas parrocchiale, dare ai poveri i nostri vestiti smessi e fuori moda... Ma il progetto di Gesù è diverso.
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,49-53).
Fuoco, non acqua... Divisione, non pace. Potrebbe apparire paradossale, tutto questo, frutto di un'esaltazione. Eppure è un messaggio chiaro quello di Gesù, circostanziato dalla premessa: "Disse ai suoi discepoli". Allora, se vogliamo essere suoi discepoli dobbiamo, anche noi, portare il fuoco sulla terra, non accettare i compromessi, in qualsiasi contesto essi possano tentarci, e soprattutto in quei contesti in cui la nostra responsabilità, come nel campo politico, si riversa su molte persone. Portare il fuoco significa ridurre in cenere gli idoli, a partire da quelli del benessere, del denaro, del potere. Significa lavorare non per una salvezza ultramondana, che potrebbe essere fine a se stessa e quindi caricarci di un peccato in più, che è quello dell'egoismo, ma per una salvezza intramondana in cui condividiamo con coloro che fanno più fatica le sofferenze del vivere quotidiano. Significa rifiutare tutte quello strutture, comprese quelle "religiose", alle quali affidiamo la nostra sicurezza. Significa mettere al primo posto quella coscienza della quale, possiamo confessarlo, spesso faremmo (e facciamo) volentieri a meno. Significa infine fare in modo che in noi, nelle nostre coppie, nelle nostre famiglie e nelle famiglie che ci sono affidate questo fuoco diventi inestinguibile, e non si spenga mai.
Traccia per la revisione di vita
1) Che cosa significa per me "accettare il rischio delle fede"?

2) In chi ripongo la mia fiducia? Di chi mi fido e a chi mi affido? Agli uomini o al Signore?
3) Accetto i compromessi o tento di resistere ad essi?

4) Educo i miei figli o le persone che mi sono affidate a dire sempre "si, si"; no, no" sapendo che il di più viene dal maligno?

Luigi Ghia Direttore della rivista dei CPM Italiani "Famiglia Domani"

 

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