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TESTO Commento su Sapienza 18,6-9; Salmo 32 (33); Ebrei 11, 1-2.8-19; Luca 12,32-48

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XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/08/2013)

Vangelo: Sap. 18,6-9; Sal 32 (33); Eb 11, 1-2.8-19; Lc 12,32-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Forma breve (Lc 12,35-40):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Nella storia della salvezza, che è storia di liberazione, c'è sempre una tensione dialettica tra notte e giorno. E l'autore del libro della Sapienza, il saggio Israelita di cultura ellenizzata, ce lo ricorda nella prima lettura di questa 19a domenica del tempo ordinario. Una lettura che richiama gli avvenimenti dell'Esodo e, in particolare, la strage di bambini innocenti. Ma, dice la Scrittura..."Quella notte fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te".
Notte e giorno... Nell'inconscio di ognuno di noi nella notte si scatenano le paure più profonde che, nei modi più diversi, tutti cerchiamo di esorcizzare. Le forze oscure del male, dei ricordi dolorosi, dell'angoscia senza nome, della morte, si scatenano e cercano di sopraffarci; creano dentro di noi una sorta di esasperazione dei problemi, dei timori nascosti: i genitori preoccupati per i figli, ad ogni età; i figli alla ricerca di un'affettività che spesso si rivela difficile e genera notti insonni... Poi arriva il giorno e con esso la luce e la radiosità dileguano la notte e scacciano il timore. Dio conosce questa nostra fragilità umana e, Lui nel quale non c'è notte, illumina anche le nostre notti. E come dà agli Israeliti una colonna di fuoco (Sap 18,3), guida per un viaggio sconosciuto, allo stesso modo dà ad ognuno di noi una luce per camminare nelle tenebre.
Eppure la nostra fede (fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono, come ci ricorda la Lettera agli Ebrei) è spesso tenebrosa, talvolta oscura come la notte più buia. Quando abbiamo una fede oscura siamo tentati di rinunciarvi, perché facciamo fatica ad accettare la notte, abbiamo sempre bisogno di evidenze, di certezze, e spesso di queste certezze ci facciamo vanto; eppure la fede è sempre oscura, il Dio è, agostinianamente, sempre nascosto...
Lo sapeva bene Abramo, la solida gigantesca figura di Abramo che campeggia nella seconda lettura. Un campione ("il" campione) della fede. Per fede, Abramo partì per una destinazione sconosciuta senza sapere dove l'errare nomade lo avrebbe condotto. Il suo progetto era nascosto nella Promessa. Potrebbe essere la storia delle nostre famiglie. Occorre certo avere un progetto, occorre partire con un progetto ed è quanto ripetiamo nei nostri incontri con i fidanzati. Ma il progetto non dev'essere rigido: deve contemplare la possibilità di una continua revisione, di un aggiustamento richiesto dagli avvenimenti della vita ai quali il progetto deve adeguarsi, per far sì che possiamo cogliere il progetto che Dio ha su di noi, Invece, oggi, o non abbiamo progetti, oppure impostiamo la nostra esistenza su progetti rigidi: si vuole programmare tutto, fino nei minimi particolari, e se poi la realtà non corrisponde al progetto, subentra la stanchezza, la delusione e allora, i più dicono, è meglio lasciar perdere...
Per fede, Abramo offrì Isacco, il figlio atteso dalla promessa di Dio, e l'angoscia di tale offerta è indicibile con parole umane... Un figlio che, sempre per fede, era sbocciato dal seno avvizzito di Sara. Forse Dio non ci chiederà mai una prova di fedeltà come quella richiesta ad Abramo, ma dolcemente ci chiede di non considerare "nostri" i figli, di lasciare che essi siano dopo averli fatti essere.
Fede indica appunto anche fedeltà, che anzi nella lingua latina da fede (fidēs) deriva e che include tutte le virtù dell'amore: fiducia, onestà, lealtà, sincerità. La fede è l'atto decisivo dell'esistenza umana, è il fidarsi nell'altro. Nel matrimonio, fede è il fidarsi del legame che unisce due persone che si amano, il luogo antropologico, etico e teologico dell'amore. Il luogo in cui si celebra il rispetto profondo per il mistero dell'altro, la sua assoluta incatturabilità. Un luogo che non può essere banalizzato da esclusive pretese moralistiche e minimaliste. In questo atto di fidarsi e affidarsi sta tutto il mistero dell'amore. Se interviene la paura, il sospetto, la sfiducia, avviene la tragedia. Ma la fidēs, l'amore che sa affidarsi, scaccia la paura, come dice san Giovanni.
La fede in Dio e la fede coniugale condividono, a ben vedere, un unico destino: devono sempre attraversare la notte. Non esiste amore senza ripensamenti, senza crisi ricorrenti, e non esiste una fede senza dubbi e senza oscurità, perché la fede - e qui siamo nel cuore stesso del suo mistero - transita sempre nella morte e con essa è destinata a scontrarsi. Occorre passare attraverso la morte per trovare la vita, questa è l'esperienza di Abramo, e questa è l'esperienza di ognuno di noi, di ogni nostra famiglia. In amore occorre passare attraverso la morte per poter dire alla persona che ci sta accanto: "Tu non morirai".
Abbiamo incontrato e incontriamo tante coppie che esperimentano, giorno dopo giorno nella fedeltà, questo senso tragico della fede e dell'amore. Non siamo eroi, spesso fatichiamo ad essere uomini e donne. Il buio ci fa paura. Ma se riusciamo ad accettare che esso faccia parte della nostra vita, non siamo più gli stessi di prima. Forse ci ritroveremo zoppicanti, come Giacobbe dopo la lotta con l'angelo, ma vivi. Ogni liberazione avviene dopo e grazie ad una lotta spesso difficile e aspra. Ma la tenebra non è mai assoluta, la notte non è mai completamente notte. Anche nelle situazioni più difficili e più tragiche c'è sempre un sia pur flebile intravedimento di luce. A Taizé si canta: «La ténébre n'est point ténébre devant toi: la nuit comme le jour est lumière».In te la tenebra non è tenebra, La notte è chiara come il giorno. No, in Dio non c'è tenebra.
Visto in questa prospettiva, il compito dell'uomo e della donna di fede apparirebbe immane, tragico appunto.
Ma se è vero che non riusciremo mai a raggiungere una fede luminosa, certa - poiché nessun cristiano può mai vantare alcuna certezza ("credo perché voglio credere", ripeteva Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa) - è altrettanto vero che per tentare almeno questo cammino dobbiamo porre due precondizioni fondamentali di cui parla oggi l'Evangelo di Luca.
La prima è la vigilanza. "Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.".
Il linguaggio di Luca è evidentemente immaginifico, allusivo: ma "essere svegli" significa astenersi da quelle azioni che potrebbero darci "sonnolenza", addormentare la nostra capacità critica. Ancora una volta, la ricchezza, il desiderio di ottenere tutto e subito, il benessere materiale potrebbero ottundere la nostra capacità di progredire nella fede.
La seconda precondizione è che questo orizzonte della vigilanza non deve essere orientato solo alla dimensione escatologica dell'esistenza, sul compimento definitivo della storia, quanto piuttosto sull'ekklesia, sulle dinamiche proprie della comunità che cammina nella storia. E qui interviene il messaggio di Gesù rivolto ad ogni persona scoraggiata, ad ogni comunità delusa.: "Non temere, piccolo gregge". Non avere paura.
Il Regno di Dio viene offerto a chi sa essere piccolo e povero. A livello personale, ma anche comunitario. A chi non ha come ambizione le adunate oceaniche, le piazze piene, le folle immense, la nevrosi ossessiva della quantità, il bisogno di poter finalmente esclamare: "Siamo in tanti!". Se la Chiesa vivesse questa tentazione sarebbe fatalmente destinata a mondanizzarsi piuttosto che ad incarnarsi sul modello del Maestro, a fare del colonialismo clericale, piuttosto che vivere una testimonianza silenziosa; sarebbe un club di perfetti e di salvati, più che un popolo di peccatori in cammino; il suo ecumenismo sarebbe più di facciata che di cultura. Ci sembra questo il messaggio che, in questi primi mesi dalla sua elezione, ci offre costantemente Papa Francesco.
Ci penserà poi Lui, il Signore, alla fine dei tempi, a radunare il piccolo gregge, noi per ora possiamo solo attendere, cercando di scacciare la paura, accettando il buio e il silenzio di Dio, accogliendo la nostra e l'altrui fragilità, e cantare, col Salmo:L'anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. È in lui che gioisce il nostro cuore, nel suo santo nome noi confidiamo. Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo"
Traccia per la Revisione di Vita
1. La nostra fede è certezza da esibire, oppure perenne ricerca?

2. Come "trasmettiamo" la fede in famiglia? Preferiamo imporla, proporla o testimoniarla?

3. Riteniamo che la vita semplice, austera, ci aiuti ad esprimere la nostra lode a Dio?

4. Come pensiamo la Chiesa, come una grande potenza o come un piccolo gregge?
Luigi Ghia Famiglia Domani

 

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