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TESTO Contemplativi e attivi nell'amore

padre Gian Franco Scarpitta  

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/07/2013)

Vangelo: Lc 10,38-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,38-42

In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

All'indomani della visita del papa a Lampedusa, come sempre accade in simili circostanze, vi è stato chi ha strumentalizzato le parole del pontefice, che condannava la "globalizzazione dell'indifferenza" verso gli immigrati e i dispersi in mare. Ma ciò che è a mio giudizio più aberrante è la posizione di chi si dice "contento quando affonda un barcone." E' inaudito lo stato di insensatezza e di insulsaggine di certuni che respingono l'idea di solidarietà e di apertura. Non è da trascurarsi che il fenomeno degli immigrati nel nostro paese comporti notevoli problemi intorno all'insufficienza di mezzi e di strutture per mantenere tanta popolazione straniera, all'aumento concomitante del brigantaggio e al sovraffollamento delle carceri, alla difficoltà di integrazione sociale degli stranieri nel nostro paese, e non ultime le situazioni di disagio e di malcontento nel mondo italiano del lavoro. Il flusso continuo migratorio determina una serie di problemi dalla portata non indifferente. Ciò tuttavia non legittima il distacco e l'indifferenza nei confronti di quanti muoiono fra i flutti del mare mentre cercano ragioni di speranza nelle nostre coste: la solidarietà e l'accoglienza, il soccorso e l'aiuto umanitario sono gli obblighi inalienabili di uno stato di diritto nei confronti di chi soffre e sa da una parte è necessaria discrezione e prudenza, dall'altra non va disatteso il dovere, civile e morale, di apertura e di solidarietà affinché episodi di morte in mare non abbiano più a verificarsi. La xenofobia e il pregiudizio razziale sono mali sociali da combattere e da estirpare. Poco si considera del resto che è sopratutto grazie alla presenza di immigrati che il nostro paese può gestire attività lavorative solitamente deprezzate dai nostri concittadini quali il lavoro della terra o l'assistenza agli anziani. Non importa se clandestino o con regolare permesso di soggiorno, oggigiorno si tiene conto quasi sempre di un extracomunitario quando si tratti di procacciare un badante per una persona anziana, e anche per esperienza diretta posso affermare che la disponibilità di un immigrato per tali onerosi lavori è quanto mai preziosa e sempre più indispensabile.

Proprio la considerazione del loro prezioso aiuto al nostro paese, potrebbe aiutarci a non precluderci nei confronti degli immigrati.

Fortunatamente, esistono lodevoli iniziative di accoglienza gestite anche dalle varie strutture ecclesiali, come i centri di volontariato Caritas che con lodevole generosità e abnegazione si prodigano senza riserve nei confronti degli immigrati e indigenti, esercitando il dovere di accoglienza verso quanti cercano cibo e rifugio.

Inderogabile compito della comunità umana è l'accoglienza del forestiero senza condizioni. Per la comunità dei credenti essa è un correlativo della fiducia incondizionata in Dio e nella sua Parola e proprio il Signore nella Bibbia esorta a fare nostri i bisogni degli stranieri: "Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d'Egitto (Es 22, 2).

Ci viene tratteggiato nelle pagine odierne della Liturgia lo stile di disinvolta accoglienza e ospitalità esercitato da parte di Abramo, che, ignaro di trovarsi di fronte al Signore e ai suoi angeli, rifocilla i tre visitatori giunti alle querce di Mamre nell'ora più calda del giorno. Come dirà poi la lettera agli Ebrei, in casi come questi, chi si cimenta nell'ospitalità caritatevole e senza riserve, inaspettatamente si accorge di servire angeli e uomini di Dio (Eb 13, 2).

Quando un povero bussa alla nostra porta, a condizione che si tratti di un vero un bisognoso e non di un profittatore, è sempre Dio che bussa alle porte della nostra fede; e in tal caso la fede diventa accoglienza di Dio nel fratello che chiede aiuto. E' vero che occorre adoperare prudenza e circospezione considerando la falsità e la doppiezza di quanti svolgono il "mestiere" di poveri e di bisognosi approfittando della bontà e dell'ingenuità di quanti incontrano, ma è altrettanto vero che il Cristo povero, indigente, sofferente va aiutato con atti concreti nella persona di quanti versano nel bisogno e che anche a pochi passi da noi, nella nostra zona, nel nostro rione, si trovano non poche famiglie o singoli seriamente bisognosi di accoglienza, di ristoro e di aiuto economico. Amare Dio che non si vede è possibile soltanto amando il fratello che si ha davanti (1Gv 4, 20).

La vera carità ha però una condizione di fondo perché non si trasformi in pura assistenza sociale: essa non può non scaturire da una retta coscienza e da una fede sincera (1Ts 4, 3) la quale a sua volta consiste nell'assimilazione dell'amore ricevuto da Dio che viene condiviso con gli altri.

Sempre l'episodio inerente Abramo e i tre visitatori ci lascia intendere che il nostro patriarca, nell'esercizio dell'accoglienza pronta e premurosa, era animato dalla fede nel Dio vivente, spronato dall'apertura del cuore nei confronti di Chi veniva a visitarlo sotto altre spoglie.

L'apertura del cuore al dono che Dio ci ha fatto di se stesso, cioè la fede, è alla base del dono che noi facciamo di noi stessi agli altri perché ogni singolo atto di amore sia denso e duraturo e non si limiti alla sola soddisfazione esteriore dell'elemosina. La fede in Dio che ci ama per primo nel suo Figlio ci induce a vedere lo stesso Cristo Figlio di Dio nel bisognoso o nel ramingo, ragion per cui è indispensabile concedere il primato innanzitutto alla Parola e alla preghiera. Così insegna effettivamente Gesù ospite di Marta e di Maria: egli elogia la premura e l'accoglienza che l'amica Marta sta usando nei suoi confronti, apprezza la sensibilità e l'amicizia che si esterna nelle puntuali opere di ospitalità, ma non può esimersi dall'osservare che la "parte migliore", cioè l'elemento indispensabile che da il senso perfino a quel pranzo che si sta preparando, se la sta procurando Maria. Quest'ultima è intenta a conferire con Gesù, ad intrattenersi con lui, ascoltando la sua parola di vita e facendo tesoro del suo messaggio. Degna di stima e di riconoscenza la sollecitudine della sorella indaffarata sui preparativi domestici, ma ancora più lodevole è l'atteggiamento di Maria, che cerca nel Signore tutto quello che conferisce il verso senso e la vera anima di ogni ministero e di ogni attività caritativa: la fede derivata dall'annuncio e coltivata con l'ascolto.

L'amore a Dio e l'amore verso il prossimo coincidono e sono consequenziali e l'uno non può restare scisso dall'altro, pena l'esercizio di una carità incompleta, seppure efficiente e lodevole. E anche se la carità copre una moltitudine di peccati e legittima in certe occasioni isolate l'assenza dalla preghiera o dai Sacramenti, non va omesso l'esercizio della familiarità con Dio mentre ci si prodiga a favore degli altri: la preghiera, l'ascolto e la meditazione della Parola di Dio, l'Eucarestia e i Sacramenti sono validi coefficienti affinché anche l'amore al prossimo acquisti sempre più slancio motivazionale, affinché non si smorzi lo spirito del bene cristiano. Marta e Maria sono ambedue modelli per il credente, chiamato in ogni caso a coniugare la contemplazione e l'attività operosa.

 

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