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TESTO Rinnegare noi stessi...perché no?

don Alberto Brignoli  

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/06/2013)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

"Rinnegare"...che brutta parola. Significa negare di conoscere una persona, dichiarare di non averla mai neppure conosciuta, nonostante le si era legati da un vincolo di sangue o di affetto; per cui, ci si sottrae a ogni obbligo materiale e morale nei suoi confronti. Si rinnega un amico, la persona del cuore; si può giungere addirittura a rinnegare il proprio figlio e i propri genitori, quasi non li si fosse mai conosciuti. Ma mi dite voi come si può arrivare a "rinnegare se stessi"? Come è possibile che io dica agli altri: "Non so chi sono, non mi riconosco più, non pongo più attenzione a me stesso?". Eppure, nel Vangelo di oggi, è questo ciò che il Maestro ci chiede: rinnegare noi stessi, come condizione per "venire dietro di lui", ovvero per seguirlo.

Per poter seguire Gesù, è lui stesso che ci pone due condizioni: rinnegare noi stessi e prendere la nostra croce ogni giorno. Quello di prendere la nostra croce quotidiana, non mi pare sia un grosso problema: non c'è bisogno che ce la andiamo a cercare, ogni giorno ha la sua pena, ogni giorno ha la sua croce e il suo affanno quotidiano. Ci sono giorni in cui la croce è talmente piccola da identificarsi con un piccolo malore, con un acciacco, con un'azione sul lavoro non realizzata alla perfezione, con una parola sbagliata detta in famiglia...per cui, non ci pare nemmeno così gravoso o pesante portarla. Ci sono invece altri giorni in cui la croce è veramente pesante e faticosa da portare, per qualcosa che ci colpisce improvvisamente, e che magari poi diviene un assillo non solo per un giorno o due, ma per lunghi giorni a venire, una compagna di cammino a motivo della quale spesso non si riesce a intravedere dove e quando terminerà questa Via Crucis.

Questo che il Signore ci chiede, allora, non è una condizione da realizzare, perché è la vita stessa che lo realizzerà per noi: la condizione che ci viene chiesta è la prima, "rinnegare noi stessi". Ed è proprio il trasporto quotidiano della nostra croce che ci aiuterà a soddisfare questa condizione necessaria al discepolato e alla sequela di Gesù. Sì, perché portare la croce ogni giorno significa comprendere che non siamo noi a dettare le regole del gioco, a indicare il punto di partenza, la meta, e il tracciato di questo percorso. Queste sono le cose che ci è permesso di fare (e che, di fatto, facciamo) nelle nostre attività ordinarie, dove giustamente siamo noi a dover programmare, pensare, disporre, preparare, organizzare, perché quello che è nelle nostre intenzioni e nei nostri sogni diventi realtà. Lì sì, che dobbiamo conoscere fino in fondo noi stessi, le nostre capacità, i nostri limti, le risorse a nostra disposizione, apprezzare e valorizzare fino in fondo ciò che siamo perché ogni nostro progetto arrivi a pieno compimento. Perché se non conosco e non apprezzo me stesso (la cosiddetta "autostima"), difficilmente riuscirò a realizzare un'idea, un sogno, un progetto di vita.

Ma con la sequela di Gesù, non funziona così: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso". Per seguire Gesù, non serve autostima, conoscenza di sé, capacità di porsi obiettivi, accumulare strategie e risorse e realizzare quanto prefisso: a tutto questo, ci pensa lui, perché è lui che detta le regole del gioco, è lui a indicare il punto di partenza, è lui a indicare la meta, è lui che segna il tracciato del percorso. Con la nostra croce sulle spalle, ogni giorno. Già questo ci sconvolge, perché significa spesso buttare all'aria i nostri progetti, gettare via le nostre idee e pensare in maniera diametralmente opposta a come noi vorremmo.

Ma ciò che sconvolge di più è vedere che questo gioco le cui regole sono da lui dettate, questo cammino da lui indicato, termina esattamente nello stesso modo in cui l'abbiamo condotto e portato sulle spalle...con la croce. Queste sono le cose che sconvolgono e che "fanno male" quando ti metti alla sequela del Maestro: tu speri che la croce che ti porti dietro ogni giorno, che quotidianamente ti carichi sulle spalle, a un certo punto divenga sempre più leggera e addirittura possa poi essere abbandonata lungo il cammino, per giungere più spediti alla meta. Invece, la meta coincide con il cammino: un cammino di croci, con la croce sulle spalle, e che termina con la croce ben piantata, ritta, al culmine di quel Calvario che è il nostro vivere quotidiano.

E nessuno verrà a darti una mano per scendere da quella croce, finché tutto sia compiuto. Anzi, ti guarderanno, come hanno guardato "colui che hanno trafitto"; tutt'al più, puoi sperare che non ti disprezzino (come spesso avviene quando vivi con una croce quotidiana nella tua vita), tutt'al più, puoi sperare che facciano su di te "il lutto come per un figlio unico" che ti piangano "come si piange il primogenito". Non aspettarti salvezza, onore e gloria da chi solo si attende la tua rovina, dagli uomini come te che, pensando solo a se stessi, cercano in tutti i modi di salvarsi dalla croce e dalla morte fuggendola.

Oggi c'è però una parola di speranza in più: e questa non viene dalla gente che aspetta sempre e solo gli uomini di valore, gli eroi, i Giovanni Battista, gli Elia, gli antichi profeti di turno, per ottenere da loro salvezza. Oggi la speranza ci è data da chi non promette gloria, ma annuncia croce; da chi non promette esito e successo ma sconfitta e perdita della vita per causa sua: "Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà". E la speranza ci viene dalla certezza e dalla sicurezza con cui, da subito, quando il cammino è da poco iniziato, senza mezzi termini e senza mezze parole, ci annuncia la sua - e la nostra - missione: "Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi e dai sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno".

Se seguire Cristo rinnegando noi stessi e prendendo la nostra croce ogni giorno significa poi risorgere, ci viene spontaneo dire: perché no?

 

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