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TESTO Audience e gloria

don Fulvio Bertellini

V Domenica di Pasqua (Anno C) (09/05/2004)

Vangelo: Gv 13,31-33.34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Quando Giuda fu uscito

Sembra strano che nel tempo di Pasqua si legga un brano tratto dal Cenacolo, preso pari pari dal racconto della Passione, nell'ora del tradimento. Ma l'evangelista Giovanni è colui che riflette più acutamente sull'unità profonda che lega la cena, la croce, la risurrezione. Lo sguardo superficiale, più immediato, vede nella cena l'intenzione nascosta, nella croce l'umiliazione, nella risurrezione il riscatto e la gloria. La luce di Cristo splende nel Risorto; prima sembra esserci solo nascondimento e velamento. La cortina del dolore sembra impedire che si veda in Gesù tradito e sofferente il Figlio di Dio.

Tracce da scoprire

La prospettiva di Giovanni è completamente diversa, e nel brano di questa domenica procede attraverso una risignificazione del concetto di "gloria". Ovviamente non si tratta del nostro concetto di "gloria", legato alla fama, alla notorietà, al successo, e - nel nostro mondo occidentale - all'audience e alla risonanza mediatica. Nella Bibbia, la gloria è la manifestazione visibile di Dio, la sua presenza nella storia, la sua salvezza che si rende percepibile all'uomo, attraverso i "segni" della sua benevolenza: la liberazione dall'Egitto, la protezione nel cammino attraverso il deserto, il dono della terra, la liberazione dal nemico... già nell'Antico Testamento la "gloria" di Dio appare diversa da quella umana, quella dei grandi re e conquistatori, come il Faraone d'Egitto, i re d'Assiria o di Babilonia, l'imperatore di Persia: solo chi ha fede può decifrare in pienezza i segni della presenza di Dio, e orientare tutta la propria vita nella prospettiva del "rendere gloria" all'Altissimo.

Gloria da restituire

Dio dunque "glorifica" il suo nome con le sue opere visibili nella creazione e nella storia del popolo di Israele, ma chiama il popolo stesso a "glorificarlo", e fa appello alla sua libertà: per amore, Israele può corrispondere alla gloria, diventando egli stesso "segno" della benevolenza di Dio in mezzo agli altri popoli. La gloria è quindi nello stesso tempo un dono e un compito, una missione che Israele è chiamato a compiere, e che dolorosamente non si realizza, a causa del suo peccato e della sua durezza di cuore. Si promette quindi - e si attende - un "futuro" in cui la gloria di Dio potrà risplendere pienamente, e in cui l'uomo avrà il cuore libero per glorificare Dio in pienezza.

Adesso e subito

Sullo sfondo dell'Antico Testamento, possiamo dunque comprendere la rilettura operata dall'evangelista: "ORA il Figlio dell'uomo è stato glorificato". Anche nel momento del tradimento, risplende l'amore di Gesù, che si dona e perdona. E anche Dio "è stato glorificato in lui": donando la vita, Gesù mostra la grandezza dell'amore del Padre. La gloria quindi non coinvolge solo la Risurrezione, o la manifestazione finale, ma abbraccia anche - paradossalmente - il momento della Passione. Ritorna l'idea di un progresso, di un futuro, ma non è un futuro lontano e irraggiungibile, è un futuro che ha un radicamento nel presente: "E anche Dio lo glorificherà da parte sua, e lo glorificherà subito".

Comunità irradiante

Quello che potrebbe apparire una visione mistica campata per aria, trova subito una applicazione nella vita dei discepoli: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri". Una volta che la "gloria" è stata ricompresa come manifestazione AL PRESENTE dell'amore di Dio, che si rende visibile nella Passione, e perennemente disponibile nella Risurrezione, ecco che l'amore può divenire il criterio ispiratore della vita dei discepoli e della comunità, il nuovo modo per "rendere gloria" a Dio: "da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". L'amore all'interno della comunità ha una profonda valenza missionaria, non può mai diventare chiusura, isolamento settario, esclusivismo, giudizio orgoglioso nei confronti di chi è "fuori".

D'altra parte, l'amore cristiano non può ridursi ad un pur meritorio assistenzialismo, o ad un generico slancio di amore per tutti gli uomini. Come quando si fa un fuoco, bisogna tenere uniti i pezzi di legna che bruciano - e allora ogni pezzo alimenta l'altro, e la fiamma fa luce e calore per tutti. Spargendo tizzoni ardenti qua e di là, il fuoco rischia di perdersi, di esaurire la sua fiamma, di ridursi a poche brace destinate a fumare e poi spegnersi. L'amore fraterno va custodito e coltivato con attenzione, prima che possa incendiare tutto il mondo.


Flash sulla I lettura

"Ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia": l'evangelista annota con cura le tappe del viaggio di ritorno, in un brano di transizione che potrebbe anche sembrare superfluo. Non si riporta infatti nessun evento particolare, e l'attività degli apostoli non appare più, in questa fase, esaltante espansione missionaria, ma semplice conservazione dell'esistente.

"... rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede": questo lavoro di "conservazione" è tuttavia necessario, ed è l'ultima fase del lavoro missionario. I discepoli hanno bisogno di essere confermati, rafforzati nella loro fede ancora fragile, e dopo le prime fasi esaltanti della scoperta, devono essere abilitati al cammino quotidiano, con le sue inevitabili tribolazioni.

"Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani": ovviamente, gli apostoli non possono fare tutto da soli, ed hanno bisogno di collaboratori in ogni comunità. Il loro compito sarà di continuare a esortare i discepoli, secondo lo stile trasmesso dagli apostoli.

"dopo aver pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto": il digiuno e la preghiera indicano che la comunità che si è costituita non è un'associazione, un club, o una setta fondata sulle capacità umane di Paolo e Barnaba e dei collaboratori che si sono scelti, ma è parte del Regno di Dio, opera sua, a lui affidata. La comunità non è affidata agli anziani, ma al Signore, e semmai il compito degli anziani è di richiamare costantemente alla fede che li lega al Signore.

"Riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro": l'ultima fase della missione è il racconto delle opere di Dio. Senza questa narrazione la missione sarebbe monca, e rischierebbe di essere infruttuosa. Attraverso le parole di Paolo e Barnaba, tutta la Chiesa di Antiochia diventa partecipe della missione, può lodare Dio, può riconoscere la sua presenza attuale nella storia.

Flash sulla II lettura

"Vidi un nuovo cielo e una nuova terra": l'autore dell'Apocalisse presenta qui il destino finale dell'uomo e del cosmo, usando l'immagine del "rinnvamento universale". Una lettura attenta ci consente di rilevare che l'agiografo, più che descrivere il mondo futuro, si limita a spiegare come "non sarà". La comprensione dei "nuovi cieli e nuova terra" è al di là delle risorse umane. Eppure una certa percezione della meta finale è essenziale per il nostro cammino di uomini.

"il cielo e la terra di prima erano scomparsi, e il mare non c'era più": il mondo nuovo non può essere come il presente. Non può essere una semplice lifting dell'esistente. Il "mare" nell'Apocalisse, rappresenta il negativo, il mondo del male, la malvagità umana che resta sotto il controllo di Dio, ma ha un tempo in cui può esprimersi, fino alla sua scomparsa.

"la nuova Gerusalemme": spesso l'aggettivo "nuovo" entra nella formazione dei nomi di città. Il fenomeno è già conosciuto dal greco: anche "Napoli", deriva dal greco "nea polis", letteralmente "città nuova", così come New York, conquistata dagli inglesi, fu ridenominata con riferimento alla città di York, dopo essere stata fondata dagli olandesi con il nome di "Nuova Amsterdam". La città nuova deriva dalla città madre, e ne conserva in parte il nome, ma è qualcosa di totalmente diverso. "Nuova Gerusalemme" è dunque il nome di una realtà totalmente diversa dalla Gerusalemme terrena.

"scendere dal cielo, da Dio": la nuova comunità è opera di Dio. Non è frutto di uno sforzo organizzativo umano. Se da un lato questo può consolarci e rassicurarci, d'altra parte ciò che l'autore sacro vuol comunicare rischia di essere visto come qualcosa di assolutamente irraggiungibile, non pensabile, non significativo.

"pronta come una sposa adorna per il suo sposo": l'immagine matrimoniale consente di aprire una finestra sul mondo futuro, e di vederlo legato alle nostre attese e ai nostri desideri più profondi. Si tratterà di una esperienza profonda di amore, di comunione, di unità.

 

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