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TESTO Ravviva la fiamma!

padre Gian Franco Scarpitta  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/10/2004)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

E' molto interessante che Gesù, nel descrivere quale debba essere la vera fede, si rifaccia all'immagine del granellino di senapa. Soprattutto perché essa rimanda ad una altro passo evangelico, nel quale il granellino di senapa rappresenta il regno di Dio (Lc 13, 18-21): " A che cosa paragonerò il Regno di Dio? E' simile ad un granellino di senapa che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto ed è diventato un arbusto".

Alla pari del Regno di Dio che sedimentato da Cristo nella storia del mondo è destinato a crescere, anche la fede è una prerogativa tutt'altro che statica, ma che impone in chi la possiede una continua evoluzione: essa è cioè un dono che Dio comunica all'uomo ma che non va affatto considerato come scontato una volta per tutte, bensì "accresciuto" di giorno in giorno, vale a dire "coltivato" da attraverso la preghiera, la speranza e la continua sottomissione alla volontà di Dio.

La fede è insomma paragonabile ad una fiamma che rischia di estinguersi qualora non riceva più l'alito del vento o la combustione del carbone, ma capace di divampare trasformandosi anche in falò allorquando venga ravvivata costantemente. Non per niente una vecchia preghiera del Catechismo di Pio X chiedeva al Signore: "Accresci la nostra fede."

Essa quindi non è un dato acquisito una volta per tutte, ma qualcosa che deve essere coltivato e nutrito per tutto il corso della nostra vita spirituale e quando a noi sembra di aver "perso la fede" in realtà avviene che non l'abbiamo coltivata né vissuta in pienezza, specialmente al presenziare di particolari vicissitudini che ci stanno assillando. Molta gente infatti vacilla nella fede quando è colpita da un lutto gravissimo quanto improvviso, come anche da una situazione di grave infermità o qualsivoglia malessere fisico o spirituale; ma in siffatte circostanze non avviene che le prove e le difficoltà ci "tolgano" il dono della fede, quanto piuttosto che questa fiamma non venga debitamente alimentata.

Sarebbe molto opportuno allora che considerassimo l'importanza di questo dono divino a proposito delle circostanze di prova, tentazione, solitudine e smarrimento: è proprio allora che esso viene vagliato in noi come si vaglia l'oro nel crogiolo e la sua autenticità viene appurata a partire dalla perseveranza e dalla lotta in situazioni di male, e del resto sarebbe fin troppo semplicistico pretendere di aver fede nelle sole circostanze di benessere, prosperità e pace interiore.

Come afferma anche la Prima Lettura di questa Domenica, in cui Abacuc constata la deprimente situazione del popolo di Israele oppresso da Nabucodonosor, non capita di rado che nel corso della vita spirituael proprio le prove e le circostanze in negativo possano ostruire la nostra perseveranza con il Signore e indirci a lamentarci con Lui ("Fino a quando Signore") ma questo può ben orientarci (appunto) ad esternare al Signore le nostre pene, senza tuttavia indurci allo scoraggiamento e per ciò stesso all'allontanamento da Dio che ci chiede un minimo sacrificio per ottenerci il premio.

La fede coltivata in situazioni avverse, infatti, che sottoporci alla prova garantisce un costante appiglio e un punto di riferimento continuo affinché noi non si possa cadere nella disperazione e soprattutto costituisce un monito di fiducia e di speranza, senza il quale parecchi cedono allo scoramento non senza terribili conseguenze. Ma soprattutto si ha la certezza che prima o poi i traguardi verranno raggiunti e le ricompense guadagnate. Ed eccoci alla seconda parte del monito di Gesù: "Potreste dire a questo monte levati e gettati in mare... " Forse non avverrà nel senso stretto del termine il precipitarsi del monte sul mare, ma certo la fede farà meritare col tempo le opportune conquiste.

Facevamo poc'anzi un piccolo riferimento alla preghiera. Ed è infatti questa una delle tante prospettive con cui noi si possa accrescere il dono della fede anche attraverso situazioni di contrasto: la preghiera, ossia l'apertura filiale e spontanea del nostro cuore a Dio e la confidenza assoluta del nostro malanimo a Lui. Come Lui stesso al Getzemani fece con il Padre, nella preghiera vi è la possibilità di colloquiare con il Signore presentando ogni sorta di acredine interiore, problema assillo... anche i peccati. Ferma restando ovviamente la priorità del Suo volere sul nostro, giacché noi nulla abbiamo da esigere nei triguardi di Dio. Ciò nondimeno, nella dimensione della preghiera che ci aiuta a riscoprire di volta in volta e ravvivare il dono della fede, ci accorgiamo che, nonostante Egli sia incommensurabilmente più grande riguardo a noi, Dio sente sempre "obbligato" nei nei nostri confronti: Gesù riporta questo paragne del padrone per rafforzare un'immagine di contrasto: se da una parte è vero che va fatta la Sua volontà e nulla noi abbiamo da esporre come vanto a Dio, è altrettatno vero che Dio verso di noi si comporta alla maniera del tutto opposta rispetto a quella del padrone verso i suoi servi: Egli infatti non manca di "prestarci" servizio" perché si sente in dovere di ricompensare la nostra fedeltà nei suoi riguardi, conducendoci a riscuotere premi e vantaggi. Non è un Dio che si diverte a provare l'uomo, il nostro! Piuttosto, è un Dio che si diverte a mettersi al servizio dell'uomo e coprirlo di doni, anche quando dovesse privarsi e sacrificarsi.

 

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