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TESTO Commento su Genesi 4, 1-16; Ebrei 11, 1-6; Matteo 5, 21-24

don Raffaello Ciccone  

IV domenica dopo Pentecoste (Anno C) (16/06/2013)

Vangelo: Gn 4, 1-16; Eb 11, 1-6; Mt 5, 21-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 5,21-24

21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

Genesi. 4, 1-16
I primi tre capitoli del libro della Genesi sono una rilettura teologica della condizione della umanità. Alla conclusione c'è il dramma della lacerazione tra l'umanità e Dio. Il male ha trionfato agli albori del capolavoro di Dio che ha creato il mondo e ha posto l'umanità al vertice, capace di armonia. padrona di tutta la realtà. C'è però un limite invalicabile che è un segno: piccolo in sé ma portatore di ubbidienza e di fiducia. "Non mangiare dell'albero". Ma la suggestione di avere a portata di mano tutta la potenza di Dio, a poco prezzo, fa crollare la fiducia e la confidenza. L'uomo e la donna hanno compromesso totalmente la loro libertà ed hanno spalancato il loro mondo alla tentazione e al male.
Il racconto successivo, (capp.4-11) detto anche "preistoria biblica", da non confondere con la preistoria scientifica del mondo, ricupera alcuni episodi legati a tradizioni antiche, per illustrare il cammino del mondo nei riguardi di Dio e la sua attenzione nel non voler distruggere l'umanità ormai perduta.
Il primo racconto della famiglia umana, dopo il peccato dei progenitori, è collocato in un mondo duro e difficile. Il lavoro è indispensabile nelle due qualità di operosità del tempo dell'autore biblico: la pastorizia e l'agricoltura. Da sempre c'è stato conflitto tra le due culture ed i due clan poiché l'agricoltura sottrae terreno da coltivare e i pastori sono allontanati dalle terre coltivate poiché distruggono ciò che cresce.
L'autore biblico, comunque, segue la sua meditazione del dramma della lontananza da Dio. Alla frattura dei rapporti profondi di comunione nella prima coppia segue la frattura dei rapporti tra fratelli. Anzi, il primo richiamo alla morte, nel mondo, non avviene per malattia o per debolezza della carne, ma per l'esplosione della violenza che fa dimenticare ogni valore, ogni solidarietà ed ogni legame profondo.
La fecondità del lavoro di Abele appare benedetto mentre quello di Caino, spesso soggetto all'aridità o allo stravolgimento delle stagioni, appare maledetto e rifiutato.
La prima reazione al successo dell'altro è fatta di gelosia, e quindi di rabbia, di odio, di conflitto arrivando alla prospettiva di eliminare l'altro dalla propria strada. Solo l'esperienza ha aiutato noi a capire, se lo vogliamo capire, che l'elemento fondamentale di un cammino comune è la solidarietà perché ciascuno riceva ciò che serve per una vita dignitosa. Si è giunti faticosamente nel mondo del lavoro, arrivando alle associazioni, ai sindacati, alle contrattazioni, alla fatica dello sciopero per giungere a capire che ci si deve mettere d'accordo.
E dopo due guerre mondiali lo ha imparato l'Europa che, pure, ha ancora molto cammino da fare. Lo impariamo tutti a livello sociale nell'accoglienza, nella scuola, nella sanità, nel fare le leggi giuste e non per lobby e privilegi. Il testo garantisce che Dio è attento a ciascuno e perciò anche a Caino ed offre suggerimenti per affrontare la situazione di delusione e di rabbia. "Il peccato è accovacciato alla tua porta, ma tu puoi dominarlo". Ci viene garantita la lotta ma anche la possibilità di vittoria. E ci viene riconosciuto il valore della fondamentale libertà personale che, per quanto difficile, libera dalla rassegnazione.
Ad Adamo Dio pone la domanda: "Dove sei?" (Gen 3,9). Qui continua la ricerca di senso dell'umanità.
"Dov'è Abele, tuo fratello?". In queste due domande si raccolgono tutti gli interrogativi morali: saranno sviluppati dai profeti e da Gesù. Ci ritroviamo di fronte alle scelte nei confronti di Dio e dei nostri fratelli e sorelle e quindi alla società in cui viviamo.
Vengono formulati tre castighi. Caino che ha ucciso è maledetto (non l'umanità); quella terra che coltivava e che ha bevuto il sangue di Abele gli si rivolterà contro, diventando sterile; infine Caino sarà "ramingo e fuggiasco" cioè lontano da Dio e dagli uomini.
E tuttavia il castigo è mitigato. Se Caino è maledetto, nessun uomo ha il diritto di prendere il posto di Dio nell'esecuzione della sentenza perché "la vendetta appartiene a Dio "(Rom 12,19).
Lettera agli Ebrei. 11, 1-6
I versetti precedenti, nel cap.10 parlano di fatiche e di persecuzioni a causa della propria accoglienza di Cristo. "Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e duraturi. Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso".(10,34-36). Il testo continua con coraggio: "Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima" (10,39). Così l'autore della lettera annuncia la necessità della fede e della pazienza, virtù rispettivamente sviluppate nei capp.11 e 12.
Tutto il cap. 11 si apre alla riflessione ed alla testimonianza della fede degli antenati del popolo d'Israele nei tempi primitivi (vv 4-7), all'epoca dei Patriarchi (vv 8-22), di Mosè (vv 22-31), dei Giudici e dei Profeti fino al III secolo a.C. il tempo dei Maccabei (vv 32-38).
La fede è definita come garanzia dei beni promessi che si sperano, garantiti da Dio che si è impegnato per la nostra salvezza. Dante Alighieri nel Paradiso (24,64) riprende lo stesso testo: "Fede è sustanza di cose sperate, ed argomento delle non parventi; e questa pare a me sua quiditate" Questa fede nasce dalla Parola di Dio che, prima di tutto, ha creato il mondo: dall'invisibile è scaturito il visibile. Così dalla garanzia della Parola di Dio nasce la liberazione e la certezza di una fedeltà che strappa dalla sofferenza.
Il retroterra di questa riflessione ricerca il senso della nostra fedeltà. Come faccio a credere se non vedo?
Come faccio a fidarmi se il Signore è nascosto e non mi parla? Come faccio a mantenere la mia fedeltà anche nella fatica e nella prova se non vedo il suo aiuto proprio nella mia fatica di onorarlo?
La fede degli antenati vuole mostrarci che essi hanno creduto e noi siamo chiamati ad allungare questa processione di fedeli a cui il Signore non fa mancare la sua fiducia ed il suo premio. E certamente il primo testimone è un martire giusto, ucciso dal fratello eppure "parla ancora" (v4). Poi viene ricordato Enoch. La Bibbia dice che "camminò con Dio" (Gen 5,24). Si tratta di un misterioso personaggio, elencato nella genealogia di Adamo, e non a caso al settimo posto (il numero della pienezza), di cui per ben due volte si ricorda la sua comunione con Dio. Di lui non si dice che morì, quanto che "non fu più perché Dio l'aveva preso". Enoch aveva manifestato una grande fedeltà al Signore, diventando un profondo esempio di fiducia.
Così la fede è necessaria e senza di essa non è possibile piacere a Dio. Essa ci apre gli orizzonti di Dio e sa che è garanzia di giustizia. Allora il mondo acquista una sua fondamentale giustizia poiché, nonostante il male, il Signore è capace di giudicare e di premiare chi è giusto e si comporta come tale (v 6). Con questo versetto sembra che si semplifichi il contenuto della fede. In pratica se crediamo nella presenza amorosa di Dio e nell'essere giustificati secondo le opere buone, si entra, anche se implicitamente, in tutto quel mondo di salvezza che Gesù porta come mediatore.
Matteo 5, 21-24.
Gesù annuncia con la sua parola il completamento della legge. Con il " discorso delle Beatitudini," il primo dei cinque lunghi discorsi che l'evangelista Matteo scrive nel suo Vangelo, Gesù, nuovo Mosè, non rinnega la legge (la Torah dei primi 5 libri della Bibbia) ma la riprende e approfondisce.
Nella tradizione ebraica un antico insegnamento invita i dottori della legge a costruire "una siepe attorno alla Torà". Questo significa che bisogna ricircondare un precetto di Dio di successive norme destinate a proteggerlo, ad accoglierlo, a custodirlo e quindi a metterlo in pratica nella sua pienezza e nelle sue sfumature. Per esemplificare, la legge del sabato, importante nei secoli, difesa con coraggio sotto tutte le latitudini, comporta un elenco («una siepe»), un insieme di azioni che non si possono fare di sabato e sono 39: seminare, mietere, raccogliere, portare pesi, accendere il fuoco ecc. Anche Gesù conosce e pratica la costruzione della "siepe", ma con il coraggio della misericordia. Gesù, come in questo caso, vuole promuovere una "giustizia sovrabbondante". Non si tratta, infatti, di rispettare alla lettera i comandamenti di Dio, ma di arrivare ad un atteggiamento interiore profondo del cuore e alla purezza di intenzione.
Matteo riporta sei esempi o "antitesi" (contrapposizioni), introducendo con: "In antico fu detto" e concludendo con: "Ma io vi dico". Sono 6 poiché Gesù sa di aver solo iniziato un elenco che la sua comunità continuerà per vivere con profondità la volontà di Dio dopo la sua morte e risurrezione.
Il "non uccidere" è una disposizione chiara (Gen 9,5-6) che vale anche di fronte ad un criminale (Gen 4,15: Caino). La vita umana è sacra e intangibile. Ma il cuore delle persone, pur senza arrivare ad uccidere una persona, accumula atteggiamenti di rifiuto: "non gli rivolgo la parola, ne parlo male, lo odio, gli rinfaccio un errore, gli tolgo la stima". Gesù dice che bisogna circondare di attenzione l'altro, altrimenti il nostro cuore può diventare, esso stesso, un cimitero di uccisi. Usare parole offensive, adirarsi, alimentare l'odio significa uccidere il fratello (v 22). E fa parte di questa operazione di esclusione e di violenza il denigrare l'altro con una delle parole: "stupido, pazzo, senza Dio...". Pazzo: traduce in greco «insensato», ma l'uso ebraico aggiunge una sfumatura molto più grave di empietà religiosa. Nel testo, per quattro volte, viene ripetuta la parola "fratello" (versetti 22-24): e così si pone il significato di questa volontà di riconciliazione. Altrimenti noi maceriamo l'odio e la recriminazione di Caino.
Un elemento, che può sembrare curioso e che è stato ripreso pari pari dalla liturgia Ambrosiana, è lo scambio della pace prima dell'offerta del pane e del vino: perciò purificazione prima di iniziare a pregare o, ancor più, prima di offrire un sacrificio a Dio come si usava nel tempio. Ogni ebreo, prima di pregare, deve sottoporsi a meticolose purificazioni, quindi, una volta iniziata la preghiera giudaica più importante: "Ascolta Israele", non può interrompersi, neppure se un serpente si è attorcigliato intorno alla gamba di chi prega. Gesù, invece, afferma che, per riconciliarsi con il fratello, si può interrompere qualsiasi cosa, anche l'offerta del sacrificio.
Il Vangelo va preso per quello che dice, per quello che vuole: non c'è da scegliere. Dobbiamo preferire la pace. Poi vengono la preghiera e l'offerta. Ma anche la preghiera deve avere, in caso di fatica e di difficoltà, l'intenzione di chiedere la forza di perdonare.
E' vero che noi accampiamo tutte le scuse e ci sentiamo spesso vittime. "Non è colpa mia, è colpa dell'altro, non doveva comportarsi così". E' difficile che noi accettiamo di avere sbagliato. Eppure Gesù vuole la pace a tutti i costi e per sradicare dal nostro cuore la radice dell'inimicizia, ci sentiamo dire: "Guarda e controlla quanti hanno qualcosa contro di te. Se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo sacrificio davanti all'altare. Rappacificati prima, poi vieni".
E se San Paolo traduce questa attenzione di Gesù scrivendo: "Non tramonti il sole sulla vostra ira" (Efesini 4,26), a me viene il sospetto, e non solo, che, prima dell'offerta del pane e del vino nella messa, se nessuno si alza per telefonare, o per appartarsi con il telefonino, ci siamo proprio dimenticati di questa raccomandazione. Ma poi, per non pensare male, si deve anche pensare di trovarci in un popolo di grande riconciliazione o di grandi progetti di pace nella settimana. Così le aziende diventeranno luoghi di grandi attenzioni tra colleghi, le scuole ambiti di reciproco aiuto nel capire, gli uffici pubblici i luoghi della cortesia soprattutto verso le persone non esperte e non competenti Certo non tutti seguono Gesù e sono credenti ma almeno un 20% della popolazione della Diocesi frequenta la liturgia. Una tale percentuale porterebbe ad un interessante livello la "non violenza" a Milano.

 

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