TESTO Al di là del dolore e della morte
padre Gian Franco Scarpitta Chiesa Madonna della Salute Massa Lubrense
X Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (09/06/2013)
Vangelo: Lc 7,11-17

In quel tempo, 11Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Recenti esperienze pastorali concrete mi hanno messo al corrente che è molto difficile accogliere per veritiere le parole della fede per chi è stato appena frustrato da un gravissimo lutto. Sentir parlare di vita e di resurrezione, almeno sul momento, risulta molto alieno e fastidioso per una mamma che piange disperatamente la scomparsa inaspettata della giovane figlia. Argomenti quali fede, vita eterna, risurrezione non trovano terreno fertile nell'animo di una signora alla quale il fratello è stato sottratto improvvisamente in giovane età e non di rado ci si sente anzi "arrabbiati con il Signore". Personalmente non nascondo di essermi trovato in serio imbarazzo nelle circostanze di dolore e di morte verificatesi improvvisamente nella mia comunità ecclesiale. Ho avuto anche l'impressione che in determinate circostanze la presenza del sacerdote fosse più di fastidio che di aiuto. In effetti occorre anche considerare che lo stato di smarrimento, di vuoto, di angoscia non può non impossessarsi soprattutto degli animi sensibili di persone che, senza meritarlo, hanno perso i loro cari "mentre il Signore avrebbe potuto portar via altra gente, magari i malvagi e non i devoti e i fedeli come lui." In casi come questi, molte volte non vi è parola di conforto che sia in grado di recare consolazione e fiducia per il semplice fatto che non si verifica sul momento alcun miracolo di resurrezione fra quelli descritti nella Bibbia e nei Vangeli.
Ritengo che esperienze di atrocissimo dolore debbano predisporci a considerare che è proprio vero che noi siamo del tutto precari e provvisori, che "questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?" (Lc 12, 20). Come diceva Giobbe "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, come piacque al Signore così è avvenuto" e dovremmo considerare anche come improvvisa e regolare la possibilità del trapasso. Insomma dovremmo vivere sempre desti e pronti, percorrendo ogni singolo giorno come se fosse l'ultimo. Perché di fatto potrebbe esserlo.
Ma soprattutto dovremmo ravvivare in noi stessi ogni momento, e non solo nelle circostanze luttuose, la fede nel Dio Vivente che ha sconfitto la morte e la speranza nella vita eterna dovrebbe essere argomento ordinario. Proprio l'esperienza improvvisa del dolore e della morte dovrebbe indurci a consolidarci nella fede, per trovare solo nel Signore Risorto consolazione e appagamento.
Come potremmo trovare allevio e conforto se non nelle parole della fede in Colui che ha vinto la morte?
"Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi" (Sap 1, 12); "Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui" (Lc 20, 27 e ss.); "Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi" (Mc 12, 27); "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (Ez 34, 11). Questi e altri passi della Scrittura affermano che in Dio non vi è la morte, ma la vita. Dio stesso è definito il Vivente, capace solamente di dare vita e sussistenza, per il quale la morte non ha più l'ultima parola sull'uomo.
Se questo è vero per il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, è ancora più esaltante in Gesù Cristo, Figlio del Dio Vivente, il quale vero Dio e vita eterna (1Gv 5, 19 - 20), essendo passato lui stesso dalla morte alla vita, avendo non schivato ma affrontato il buio del sepolcro deliberatamente e senza retorica per poi uscirne vittorioso ribaltandone la pietra possente. Cristo è insomma il Risorto, l'autore della vita che i Giudei avevano messo a morte, ma che Dio ha risuscitato dai morti per la salvezza del mondo intero (At 3, 15).
La contrapposizione morte - vita si evince, oltre che nelle affermazioni, negli episodi stessi degli uomini di Dio, come ad esempio quelli che c propone la liturgia odierna: la resurrezione del figlio della vedova di Zarepta da parte di Elia e il ritorno in vita del figlio della vedova di Nain per l'intervento prodigioso di Gesù. Vi sono particolari significativi che accomunano i due fatti narrati: in ambedue i casi si parla infatti di un GIOVINETTO, di una VEDOVA e anche, in un certo qual modo di una rassegnazione al dolore e alla morte. E in entrambi i casi si verifica il miracolo: la risurrezione.
Elia, fuggito alla persecuzione del re Acab per aver contrastato il paganesimo da questi introdotto in Israele, trova ristoro prima sulla riva del torrente Cherit dove un corvo gli porta da mangiare pene e carne (1 Re 17, 1 - 9), poi viene accolto da una vedova nella città di Zarepta. Questa gli dimostra di avere una grande fede nel Signore e di riconoscere nella sua persona un "uomo di Dio"; quindi lo accoglie nonostante lo stato di estrema indigenza e di penuria e lo rifocilla. Poco dopo il bambino della vedova viene colto da malore e cade privo di vita. A quel punto la donna, ormai disperata e forse rassegnata alla perdita del proprio figlioletto, si arrabbia contro se stessa sfogandosi con Elia: se il figlio è morto davanti ad "un uomo di Dio", ciò significa che lei ha commesso riprovevoli peccati ed errori al punto di meritare questa orrenda punizione. Questo era il pensare tipicamente dell'epoca. "Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia iniquità e per uccidere mio figlio?" Elia compie il miracolo. Il fanciullo torna a vivere e la donna confida in Dio ora riconosciuto come amore, misericordia, vincitore della morte e datore della vita, il quale le si è presentato non per mezzo di un punitore, ma attraverso un profeta, un vero uomo di Dio.
Le vedove non godevano certo di un'ottimale posizione sociale in Israele poiché la perdita del marito equivaleva anche alla fine della tutela legale, della garanzia di giustizia. Che una vedova poi perdesse un figlio, era ancora più disastroso e desolante, poiché con la sua scomparsa ella perdeva anche la vita, la sua unica ragione di perseveranza. Nel profeta Elia Dio, risuscitando questo pargoletto, recupera alla madre la vita, qualificando se stesso come il Dio Vivente che misconosce la morte.
Così anche a proposito del figlio della vedova di Nain. Notiamo che ormai la bara del defunto si sta dirigendo verso la tomba, fra le lacrime e la disperazione della madre. Non vi è alcun riferimento, neppure lontano alla possibilità che il morto possa essere condotto da Gesù da parte dei portatori, dei parenti o di qualcuno degli astanti. Viene solamente condotto nel luogo della sepoltura. E' Gesù che prende l'iniziativa, commosso dal dolore di quella povera vedova. Le si avvicina e le intima di "non piangere!"
A differenza di Elia, Gesù non prega (forse l'unica volta che prega prima di un miracolo è quella della resurrezione di Lazzaro), ma semplicemente tocca la bara e ordina: "Fanciullo, dico a te, alzati." La resurrezione avvenuta è avalla ancora una volta la verità del Dio dei vivi e non dei morti. Ma adesso con molta più consistenza, perché il fare autoritario di Gesù, la cui parola ha potere sulla morte, annuncia la verità che proprio Lui, Figlio del Dio vivente, è vita eterna. Egli è Colui che trionferà sulla morte e che affermerà la vita e nel quale tutti quanti sono destinati a vivere. Cristo è Dio che ha dato la vita per sempre e tale dono di vita si protrae per sempre, perché la resurrezione è vita eterna. Dirà poi Paolo: "Cristo è risorto dai morti, primizia di quelli che dormono (che sono nella tomba). Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la resurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo tutti saranno vivificati " (1° Cor. 15:30, 20-22).
Cristo risorto ci assicura che la morte non potrà mai avere la prevalenza a meno che non lo vogliamo noi. E che il pianto non deve mai trasformarsi in disperazione ma lasciare lo spazio alla fiducia piena nella vita.