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TESTO Commento su Genesi. 3, 1-20; Romani 5, 18-21; Matteo 1,20b-24

don Raffaello Ciccone  

III domenica dopo Pentecoste (Anno C) (09/06/2013)

Vangelo: Gn 3, 1-20; Rm 5, 18-21; Mt 1,20b-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 1,20b-24b

20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:

a lui sarà dato il nome di Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa;

Genesi. 3, 1-20
Il primo testo, che leggiamo oggi, è tratto dai primi 11 capitoli del libro della Genesi. Sono capitoli preziosissimi poiché indicano l'inizio ed il sorgere della vita (capp 1-2), e quindi la storia di 5 generazioni da Adamo ad Abramo (inizio del mondo ed inizio del popolo d'Israele) in cui si consuma una terribile degradazione dell'umanità, dovuta all'arroganza dell'uomo che si ribella al progetto di sviluppo e di crescita del Creatore (capp 3-11). Con il cap. 12 compare nella narrazione Abramo che inizia di nuovo la speranza sulla Parola del Signore che lo chiama.
L'umanità desidera, innanzi tutto, giungere ad una autonomia morale: "Desidera di diventare come Dio" e decidere da sola ciò che è bene e ciò che è male" (3,1-4,27). Passa quindi all'abuso della vita ( 5,1-9,19) e infine all'abuso del potere (9,20-11,26).
Oggi abbiamo letto l'origine della ribellione. L'uomo e la donna sono il simbolo dell'umanità. Debbono affrontare la tentazione della ribellione (vv 1-5), ma sono sconfitti e accettano, disobbedendo a Dio, di mangiare il frutto proibito (v 6). Il risultato, avendo rifiutato il comando del Signore, è quello di scoprire la paura, la vergogna, il desiderio ossessivo di nascondersi perché scoprono di essere totalmente poveri di tutto.
Avviene quindi l'esame dei colpevoli (vv 8-13), la pena (vv 14-19), la scacciata dal Paradiso in una terra maledetta (20-24).
Tutto inizia dall'illusione di poter diventare grandi e potenti. E questo è possibile solo disobbedendo. Le motivazioni sono suggestive e sembrano buone: infatti vengono contrapposte scelte e grandezze personali, in piena autonomia in contrapposizione alla dipendenza dalle scelte della volontà di Dio. Dio vuole sottomissione, fiducia in lui, crescita e maturazione possibili. Il serpente promette "che si apriranno gli occhi" e che si potrà raggiungere la stessa sovraconoscenza di Dio, il segreto della vita e dell'essere e quindi l'autonomia totale.
Per gli ebrei che leggono, il serpente è il Dio-serpente delle religioni dei popoli che circondano il territorio di Gerusalemme. E' un Dio potente, il Dio della fecondità e quindi della ricchezza.
All'umanità il Signore ha già offerto tutto, ma gli ha posto la condizione etica del dover distinguere il bene ed il male: e questo è possibile accettando la volontà e le scelte di Dio. L'umanità, invece, non vuole sopra di sé un limite, non accetta di ricevere da Dio il senso delle sue scelte. L'umanità vuole poter fare tutto ciò che vuole, senza dover dar conto a nessuno.
La suggestione passa attraverso la donna, il dono dato ad Adamo. Nel suo cuore inizia a consumarsi il male per il desiderio e la curiosità di osare. Così il mondo si presenta diverso: ".buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza " e cioè capace di sostentare la vita, seducente per gli occhi, attraente per avere successo. Sono sintetizzate le dinamiche che si scatenano e che fanno perdere il senso della misura e il senso della dipendenza (l'accumulare, la seduzione, il potere).
Il seguito del processo (poiché il tutto è impostato come un processo) ha una condanna secondo le responsabilità. La vita si deforma nella prospettiva della morte futura. E se non viene impedita la possibilità di generare la vita e di sviluppare il mondo (tutto questo fa parte dell'immagine di Dio che resta nell'umanità), il cammino si svolge nella fatica del nascere, nelle lacerazioni delle relazioni nella famiglia e nella società, nella durezza di poter strappare risultati nel lavoro. Il Signore ha offerto loro tutto il mondo, secondo il racconto della Genesi, con il solo limite di mantenere una dipendenza e quindi una dirittura morale: è la strada della sapienza, il rifiuto della onnipotenza, la ricerca di riferimenti che indirizzino e suggeriscano, al momento buono, a ciascuno: "fermati, basta, ti serve altro".
Viene così riletta la nostra realtà quotidiana. Dove manca il rapporto responsabile e coerente con la Parola di Dio, il male continua a lacerare faticosamente la vita e crea drammi.
C'è il pericolo della maledizione e della disperazione.
Eppure Dio lascia una promessa di vittoria alla umanità per la stirpe della donna.
«Dove sei?» domanda Dio all'uomo peccatore. La risposta, che Adamo non sa dare, la darà Dio stesso nell'incarnazione del Figlio: siamo in lui, in Cristo. Essere in Cristo è uno dei temi più cari e ricorrenti in Paolo ed emerge anche, oltre che nel brano della lettera ai Romani, nel brano della lettera agli Efesini: "In Dio ci ha benedetti, ci ha scelti, ci ha fatto anche eredi...". In Lui si fonda la nostra speranza e per questo salgono al Padre la nostra benedizione e la nostra lode alla sua gloria.
Romani 5, 18-21
Secondo le usanze interpretative dei rabbini, Paolo contrappone alla disobbedienza del primo uomo l'obbedienza del Figlio di Dio. Nella sua obbedienza alla volontà del Padre, Gesù ha giustificato l'umanità che Dio ha sempre amato, mentre essa ha continuato a sentirsi lontana, imprigionata nella sua condizione di peccato e di morte. L'opera di Gesù è giustizia e conduce l'umanità nella pienezza della vita.
Gesù ci ha liberato dalla condanna, dal destino di una consunzione e di una perdizione. Gesù ci ha liberato anche dalla Legge che ha moltiplicato la coscienza del peccato. E tuttavia tale consapevolezza non ha aiutato a liberarci. Piuttosto ci ha reso sempre più certi di una nostra incapacità ad uscire dal tunnel del rifiuto e dalla disperazione che ci rende improponibile il cammino verso la giustizia.
Paolo ne fa esperienza con la sua puntigliosa aderenza alla legge nei tempi precedenti la sua conversione. Egli ha vissuto in quella atmosfera di tensione verso la totale ubbidienza alla legge e il disprezzo del popolo che, rassegnato ed ignorante, non sa essere coerente alle infinite sfumature della legge di Mosè. "Questa gente che non conosce la legge è maledetta" (Gv7,49) dicono i farisei. Così, nella tensione alla perfezione, anche Paolo ha disprezzato quel "popolo maledetto", incapace di piena ubbidienza.
La ricerca di Gesù lo ha liberato e lo ha fatto discepolo di un Salvatore che ama il popolo povero e peccatore e che libera dalla maledizione della legge e dalla disobbedienza di Adamo perché finalmente in cammino verso il Padre. Gesù lo ha manifestato, essendosi fatto garante presso Dio e presso di noi con il suo amore e la sua morte.
Siamo nel Regno che non ha confini, aperto ad ogni uomo, a partire dal popolo eletto, discendente da Abramo che ha una grande gloria, custode della promessa di un Salvatore per tutti. Per questo ogni persona, uomo o donna, è amata e scelta, santificata se accoglie, garantita da una gratuità che, attraverso Gesù, si manifesta a ciascuno che la voglia accogliere.
Matteo 1,20b-24
Con questo testo di Vangelo ci troviamo alla conclusione della riflessione iniziata con il peccato di Adamo ed Eva. L'umanità ha peccato e non ha risorse né capacità né prospettive di risollevarsi. Ma Dio è il Dio di amore e, se accetta di vedere un suo capolavoro lacerato e disperso per la libertà che l'umanità si vuole gestire su interessi, voglie, presunzioni, potenze, violenze e poteri, Egli continua ad inseguire e a proporre progetti di vita e di speranza. Alla fine la salvezza verrà dal grembo della sua pienezza, dal Figlio che manderà nel mondo. Il Figlio accetta questo ruolo di uomo fedele, disarmato e amorevole. Il Figlio entra nella cultura di un popolo, in una famiglia, in un corpo generato da donna, nelle strutture del popolo che ha mantenuto il richiamo e ha custodito le promesse.
Il Vangelo di Matteo racconta sull'inizio di questa presenza alcuni fatti che vanno letti come messaggi teologici più che come cronaca e ci mettono sulle tracce di questa promessa che si sviluppa tra noi. Una coppia di giovani sposi sta vivendo, secondo le usanze d'Israele, quell'anno di attesa tra promessa e convivenza. Non possono frequentarsi e tuttavia, già sposati, attendono con trepidazione l'incontro definitivo e ufficiale della nuova famiglia. Per dare una ragione plausibile bisogna ricordare che le ragazze sono promesse a 12-13 anni, e i ragazzi a 14-15 anni.
In questo periodo la coppia è coinvolta nelle scelte di Dio. Luca racconta il messaggio dell'angelo a Maria e gli interrogativi sul suo futuro, Matteo racconta il messaggio di Dio nel sogno a Giuseppe sulle scelte che egli non sa prendere, probabilmente riflettendo sul proprio ruolo in questo frangente misterioso in cui si sente totalmente estraneo. Probabilmente è questo il motivo delle perplessità più che i sospetti e le diffidenze su Maria.
Si parla di un messaggio di Isaia per l'annuncio della nascita del figlio del re Acaz in un momento drammatico della storia di Gerusalemme ( siamo nel sec VIII a.C.). E' stato veramente un segno di Dio in quel momento, un "Emanuele" (un Dio con noi) che visita il popolo. Ma non tutte le vicende di questo re, diventato adulto, hanno risposto alle attese riposte in lui. Matteo sta dicendo che Dio avrebbe mandato un nuovo "vero Emanuele". Anzi racchiude tutto il suo Vangelo tra due citazioni dell'Emanuele: questa, all'inizio (1,23), l'abbiamo letta oggi; l'altra si trova alla fine del Vangelo dopo l'invio per la missione degli apostoli nel mondo.(28,20) «Ed ecco, io sono con voi ( l'Emanuele) tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Un'ultima citazione va fatta sulla parola "Vergine" che, nel nostro linguaggio, ha un significato di "donna ammirevole, degna di stima"; ma, nel linguaggio ebraico, colei che rimane vergine per tutta la vita mostra solo l'incapacità di attirare su di sé lo sguardo di un uomo. Degna di lode, in Israele, è la donna sposata che ha figli.
La vergine è considerata un albero senza frutti, meritevole di commiserazione (Is 56,3-6).
Quando ci parla della "Vergine Sion", Geremia non vuol dire "Gerusalemme pura, immacolata e senza macchia" ma "Povera, disprezzata, priva di vita" (Ger 31,4; 14,13).
Maria parla di sé come se fosse la "Vergine Sion": "Ha guardato la bassezza, la povertà della sua serva" (Lc 48-49).
Ma "vergine" ha anche un significato particolare: l'amore totale per il Signore". Ne parla s. Paolo: "Vi ho promesso ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2 Cor 11,2). Ma qui siamo già nei parametri del Nuovo Testamento e nelle prospettive nuove che Gesù ha portato.

 

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