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TESTO Commento Giovanni 10,27-30

mons. Vincenzo Paglia  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (02/05/2004)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

In quel giorno di sabato, nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, antica città situata nel cuore dell'Asia Minore (l'attuale Turchia), avvenne un fatto che non appartiene solo alle origini della storia della comunità cristiana, quando cioè la Chiesa uscì dall'ebraismo; a suo modo si ripete in ogni generazione. C'erano in quella sinagoga donne pie di alto rango e uomini abituati ad incontrarsi tra loro; era un gruppo ben formato e amalgamato, tutti credenti nell'unico Dio; cosa, ovviamente, bella e singolare in una terra di increduli e di pagani. In quella riunione di gente religiosa e credente entrarono Paolo e Barnaba e con loro "quasi tutta la città", desiderosa di ascoltare l'annuncio evangelico. "Quando videro quella moltitudine", scrive l'autore degli Atti, i giudei furono presi da gelosia e cominciarono a contraddire le parole di Paolo, bestemmiando. La vicenda di Antiochia è un'ammonizione per i credenti e per la stessa comunità ecclesiale quando si sottolinea il proprio individualismo. Credere di conoscere già il Signore e di possederlo è contraddire il Vangelo, e al fondo, bestemmiarlo. Il Vangelo richiede un ascolto continuo, come dice Gesù: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". Essere fedeli al Signore vuol dire ascoltare la sua voce e seguirlo ogni giorno, ovunque egli ci conduce. E' l'esatto contrario dello stare seduti pigramente e orgogliosamente nella sinagoga di Antiochia. A chi lo ascolta e a chi lo segue (l'unico modo per seguirlo è ascoltarlo mentre parla e cammina per le vie del mondo) promette la vita eterna: nessuno dei suoi andrà perduto, dice Gesù. E aggiunge: "nessuno le rapirà dalla mia mano". Si tratta di un pastore buono, forte e geloso delle sue pecore. La vita di quelli che ascoltano è nelle mani di Dio; mani che non dimenticano e che sanno sostenere sempre, come vediamo nell'immagine dell'Apocalisse. I credenti sono chiamati a collaborare con Dio per realizzare già oggi questa visione di comunione tra tutti. L'Apocalisse pertanto mostra l'esatto contrario di quello che accadde ad Antiochia di Pisidia, ove la predicazione ruppe i confini angusti di quelle persone religiose e si proiettò verso il vasto mondo degli uomini. Il Vangelo allarga il cuore di ogni credente perché scardina radicalmente l'individualismo. Nel cuore di ogni singolo membro di quella "moltitudine" di cui parla l'Apocalisse (ne fanno parte anche coloro che, senza saperlo, sono animati dallo spirito di Dio), si coglie il respiro universale che sorregge il cuore stesso del Buon Pastore.

 

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