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TESTO C'è pane e pane: entrambi necessari

mons. Roberto Brunelli

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (02/06/2013)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Oggi è la "Solennità del Corpo e Sangue di Cristo", più nota col precedente nome latino di "Corpus Domini". Essa punta l'attenzione sul fatto narrato anche da Paolo ai cristiani di Corinto (seconda lettura, 1Corinzi 11,23-26) e, su comando di Gesù, rinnovato in ogni celebrazione della Messa. L'Eucaristia si colloca nel cuore della fede, ma non si esaurisce su un piano puramente spirituale: lo ricorda chiaramente il vangelo (Luca 9,11-17), narrando la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

"C'erano circa cinquemila uomini... Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà". Il miracolo con cui un giorno Gesù ha sfamato la folla accorsa ad ascoltarlo in un luogo dove non c'era modo di procurarsi cibo, a prima vista si direbbe non c'entri con la festa odierna, che vuole richiamare piuttosto l'Eucaristia, cioè l'incomparabile dono lasciato da Gesù con il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. In realtà un nesso c'è, e di speciale rilevanza.

Appena prima di compiere il prodigio, dice il vangelo, il Signore si era dedicato "a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure". Preoccupandosi di risanare i malati e sfamare la folla, egli ha formulato nei fatti un insegnamento perenne. Primo, non è certo volontà di Dio, se gli uomini soffrono di malattia o di fame, se non possono condurre una vita serena, dignitosa e sicura. Secondo; tutti, e particolarmente quanti si dicono cristiani, devono impegnarsi a beneficio di chi si trova in difficoltà. Circa la fame, il pensiero va ai milioni di bambini che per questo muoiono, agli innumerevoli adulti debilitati dal non avere cibo a sufficienza e perciò facile preda di malattie. Da sempre i cristiani sono in prima linea nel soccorso a questi sventurati, senza clamore, senza strombazzarlo sui giornali o alla televisione; pochi sanno quanto fanno in proposito i missionari, quanto qui da noi fanno strutture come la Caritas, quanta generosità di singole persone rimane nell'ombra, nota solo a Dio: ma non è mai abbastanza.

C'è poi un risvolto del problema cui spesso non si pensa: tanta fame e povertà nel mondo è quasi sempre frutto di ingiustizia, perché causata da regimi tirannici, o da un colonialismo spietato che, conclusa la fase politica, non è scomparso ma ha solo cambiato volto. Il problema della fame si potrà risolvere soltanto eliminandone le cause profonde, trasformando le strutture politiche ed economiche basate sullo sfruttamento dei più deboli: e anche in questo ambito i cristiani sono chiamati a fare la loro parte. Pochi conoscono in proposito il paziente lavoro diplomatico dei rappresentanti del papa nei consessi internazionali; tutti possiamo concorrere, ad esempio non comperando quei beni che si sa prodotti facendo lavorare i bambini o adulti tenuti di fatto in schiavitù.

Ma l'impegno a risolvere questi drammatici problemi non esaurisce il compito dei cristiani. Essi sanno che l'uomo, quand'anche fosse in buona salute e avesse da mangiare a sufficienza e potesse guardare senza troppe preoccupazioni al domani proprio e della propria famiglia, non avrebbe soddisfatto tutte le proprie aspirazioni. Gli rimane un altro vuoto da colmare; nel cuore e nella mente gli urgono altri orizzonti, cui magari non sa dare un nome ma che lo inquietano. La risposta, quella vera, egli non la sa trovare da solo: ecco allora Gesù, che moltiplica il pane per la folla, ma come anticipazione di quell'altro pane che è lui, quello su cui in seguito avrebbe pronunciato le parole al centro della festa di oggi: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo". Del resto in una precedente occasione lui stesso aveva ricordato che "non di solo pane vivrà l'uomo" (Matteo 4,4). E il grande Agostino ne deduce, per sé e per noi: "Tu ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".

 

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