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TESTO Com'è difficile! Però...

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (12/09/2004)

Vangelo: Lc 15,1-32 (forma breve: Lc 15,1-10) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Perdono. Se prestiamo un po' di attenzione, la parola stessa rende chiaro il concetto e per esteso quello che il termine intende esprimere: essa infatti allude a qualcosa che ci viene dato non per meriti né a seguito di una nostra richiesta, ma in modo esclusivamente gratuito e quindi per... dono. E infatti tutte le volte che a noi capita di perdonare delle offese altrui o delle altrui cattiverie, inevitabilmente offriamo la nostra gratuita disponibilità a non prendere più in considerazione quello che ci ha lenito o è stato motivo del nostro dissapore e senza aspettarci nulla come contraccambio. Di più: perdonare vuol dire fondamentalmente accettare l'altro (chi ci ha offeso ) così com'è, anche nelle sue caratteristiche in negativo, senza pretendere che questi cambi a nostro esclusivo interesse o secondo le nostre attese.

Ma soprattutto, nella logica del perdono vi è la garanzia importante per la quale noi si possa trovare il giusto criterio di soluzione delle difficoltà relative ai nostri rapporti con gli altri che ci hanno fatto un torto; intendiamo dire che in casi come questi il sentimento di vendetta, di rancore e di inimicizia non cesserà di suscitare acredini e dissapori nel nostro intimo, arrecandoci un senso di smarrimento e di malessere, fintanto che non avremo visto il nostro nemico "morire di giusta morte"; chi coltiva dentro di sè il malanimo del torto ricevuto non potrà mai stare in pace con se stesso finché non vedrà esaudito il suo desiderio di contraccambio sullo stile "occhio per occhio, dente per dente"; invece, la dimenticanza del torto ricevuto, la capacità di reintegrare l'altro nelle nostre relazioni e di mostrare accoglienza, apertura e disponibilità, pur non escludendo la dovuta attenzione e il necessario tratto diplomatico, arrecano tranquillità e soddisfano le nostre reali esigenze di benessere interiore. E' proprio vero allora che la migliore vendetta è il perdono.

Com'è difficile.... Sì, perché si tratta pur sempre di esercitare una virtù che (in termini terreni) non è compatibile con gli approdi dell'umano e richiede un eroismo dalla portata non indifferente, tanto che da parte nostra molte volte la si ritiene inconcepibile e assurda a poter essere effettuata nel concreto, e non di rado davanti a Dio si cercano tutte le giustificazioni possibili per poterne legittimare la mancata messa in pratica.

Ora, qual è la chiave di volta perché noi impariamo a perdonare al nostro prossimo? Come, insomma, potremo mai renderci conto che il perdono è la dimensione conveniente e preferibile a tutte le forme di vendetta e di recriminazione?

Ce lo spiega la liturgia di oggi, la quale si sofferma sul fatto che il primo ad essere capace di perdono, nonché l'unica origine di ogni pedagogia sul medesimo è lo stesso Dio; soprattutto perché in primo luogo ad essere perdonati da Dio siamo NOI STESSI: noi non riusciremo mai a perdonare gli altri fintanto che prima non avremo preso coscienza di essere stati resi a nostra volta oggetto dell'amore perdonante divino. La Prima Lettura ci illustra su come Dio si mostra proclive al perdono anche quando le apparenze della collera iniziale così non dimostrano: Lui, che avrebbe potuto perfino rimuovere Mosè dalla funzione di guida del popolo verso la terra di Canaan, si dispone perfino a ricevere quasi come uno sprovveduto dei rimproveri o degli ammonimenti da parte di questa persona insignificante, nonostante la propria collera nei confronti del popolo di Israele che ha appena peccato di idolatria. Ma è soprattutto la vivacità delle immagini paraboliche del Vangelo odierno a costituire l'espressione più plastica ed immediata del perdono di Dio in Gesù Cristo; in verità, nessun pastore si preoccuperebbe di abbandonare un intero gregge per salvare una sola pecora, né una donna, per quanto premurosa possa essere di ritrovare il suo oggetto prezioso, accenderebbe mai la lucerna in pieno giorno (assurdo) per frugare in tutte le stanze; ma questi termini di paragone immaginosi affermano che l'amore di Dio è talmente paradossale che in linea di proporzione Egli sarebbe capace anche delle più inaudite assurdità pur di recuperare l'uomo che si è perduto nella molteplicità dei pericoli e delle precarietà che il peccato comporta. Il che equivale a dire che non soltanto Dio predona l'uomo peccatore quando questi voglia convertirsi e tornare a Lui, ma che non omette neppure di venire incontro alla sua condizione deleteria di miseria morale, e pertanto perfino il peccato è per noi privilegiata occasione per sperimentare l'amore di Dio.

Infatti, vogliamo permetterci un'ulteriore riflessione: parecchie volte in questi interventi ci siamo soffermati a riflettere sul carattere pernicioso e deleterio del peccato quale allontanamento volontario dalla comunione con Dio e per ciò stesso matrice di autolesionismo umano, e su questo concetto non ci smentiamo affatto: il peccato rovina l'uomo ed è prerogativa da evitarsi con tutti i mezzi. Tuttavia, come potremmo noi sperimentare l'amore di Dio e la sua misericordia perdonante se non dopo un'esperienza di peccato? Come potrebbe porsi la circostanza del perdono divino se non in occasione di affermata peccaminosità umana? Se il peccato è una realtà da eliminarsi nella nostra vita di relazione e nella dimensione personale, esso tuttavia non va affatto guardato con timore, né lo si deve coltivare nella logica dell'ansia e della paura. Poiché Dio ha mostrato misericordia e amore in tante circostanze, ciò vuol dire che non soltanto è disposto a perdonare il tuo peccato, qualunque esso sia e di qualsiasi natura esso possa essere caratterizzato, ma che addirittura non mancherà di procurarti i mezzi di grazia necessari a poterlo evitare e a vincere su di esso, ricompensando sommamente ogni tuo pur minimo sforzo di vincere le tentazioni. E neppure al confessionale si deve aver paura o vergogna di proferire particolari colpe o di aprirsi al sacerdote in merito a determinate lacune o mancanze, come di fatto avviene non poche volte durante la celebrazione del sacramento della Riconciliazione; se ci si mostra pentiti e ben disposti Dio esulta nel constatare la franchezza del nostro riconoscerci peccatori e non mancherà di arrecarci le dovute grazie spirituali prescindendo dal ministro del sacramento medesimo e soprattutto il Sacramento è indice di gioioso incontro con il Signore nella festa del perdono....

Come detto prima, insomma, non ci si potrà convincere della convenienza del nostro amore al prossimo se non avremo percepito con convinzione la ricchezza del perdono di Dio; ma una volta che di questo ci siamo resi conto, cosa potrà mai legittimare il mancato perdono verso gli atri?

 

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