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TESTO La Chiesa di sempre nel cammino dei "non potenti"

don Mario Campisi  

III Domenica di Pasqua (Anno C) (25/04/2004)

Vangelo: Gv 21,1-19(forma breve Gv 21,1-14) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 21,1-19

1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

I teologi post Vaticano II ci avvertono che "va annunziato il Regno, non la Chiesa". Avvertimento forte perché, dopo il Vaticano II che si è molto occupato della Chiesa, si potrebbe correre il rischio di "annunciare la Chiesa".

La liturgia della Parola di questa terza domenica di Pasqua ci aiuta a meglio approfondire il mistero della Chiesa, così da evitare i rischi e comprendere sempre di più quello che ci è stato consegnato dal Risorto: lo fa presentando alla nostra attenzione di credenti "la Chiesa di sempre". Una Chiesa, cioè, non "da annunziare", ma una "Chiesa che annuncia".

Ecco perché la parola di Dio in questa domenica è particolarmente ecclesiologica. La missione della Chiesa, il servizio di Pietro in essa e l'Eucaristia sono le tre tematiche su cui si sofferma oggi la nostra riflessione. San Giovanni ci mostra com'è la chiesa pasquale e come cammina nel mondo per testimoniare i fatti pasquali. La missionarietà della Chiesa va vissuta in casa, nella società, nel luogo di lavoro, nella scuola, insieme ai fratelli e alle sorelle della nostra comunità ecclesiale particolare.

La faticosa e sterile pesca notturna dei discepoli (Vangelo) è come una parabola per la Chiesa: vuol dirci che da soli, senza Gesù, non possiamo far nulla (Gv 15,5). Siamo, in tutto quel che possiamo da noi, dei "non potenti". Un discorso ostico per il nostro tempo in cui si dice che l'uomo può tutto; un discorso dimenticato dagli "attivisti" cristiani che, malati di protagonismo, si comportano come se tutto dipendesse da loro, ma nella missione per la salvezza nulla è possibile senza la grazia.

Da questo nascono due conseguenze pratiche: la missione per il regno di Dio è degli umili e la sua potenza è nella fede in Cristo con cui tutto si può.

"Umili" come cristiani si è quando, sinceramente, si pensa che tutto è grazia. Si è umili come cristiani quando si pensa che siamo "tutto un dono" e che se Dio non ci avesse amati gratuitamente saremo forse tanto peggio di molti. Gli "umili" sono coloro che si affidano alla fede, credono nella "manifestazione" di Cristo e confidano solo nell'intervento potente di lui. La missione della Chiesa nel mondo è il cammino faticoso e umile di "non potenti" resi adatti da colui che tutto può. Questa missione si attua nell'"obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (1^ lettura v. 29). Il che significa che è inesorabilmente una missione crocifissa sulle orme di Cristo. Gli Apostoli, con a capo Pietro, incarcerati per aver annunziato Cristo morto e risorto per noi, subiscono ingiurie e fustigazioni.

Il Vangelo ci fa intravedere il martirio di Pietro in croce. E' la strada percorsa da Gesù, appeso alla croce; è la strada della Chiesa e di ogni cristiano vero.

La testimonianza missionaria nella famiglia, nella parrocchia, nell'ambiente di lavoro non è senza sofferenza e croce. Bisogna abituarsi nel piccolo, nel quotidiano a portare la croce della propria missione, misurandoci nella fortezza cristiana di ogni giorno per essere capaci di portare la croce con la missione universale della Chiesa.

Gesù, dopo avere espresso la sua potenza con il miracolo della pesca miracolosa, domanda a Pietro per tre volte se lo ama. E sulla protesta umile di tale amore gli dice: "Pasci le mie pecorelle" (v.17). E' un'indicazione su cui tutti dobbiamo riflettere.

Nessuno nella Chiesa di Cristo può trattare fecondamente il servizio della salvezza senza essere possesso innamorato di Cristo. E questo ci pone gli interrogativi di fondo: quanto crediamo alla potenza divina di Gesù? Quanto viviamo il suo amore? Quanto siamo discepoli che attuano la sua parola fino all'effusione del sangue? Siamo cristiani di nome o di fatto? La fecondità della nostra missione è nell'amore affettivo ed effettivo di lui, qualunque ministero abbiamo nella Chiesa. Ricordiamocelo!

C'è poi da riflettere sul fatto del pasto richiesto da Gesù sulle rive del lago di Tiberiade. Questo pasto diventa memoriale della moltiplicazione dei pani e dell'ultima cena, indicando l'esperienza eucaristica della prima Chiesa.

Il che significa che il cammino missionario della Chiesa prende forza, vigore, esemplarità dall'Eucaristia, nutrimento indispensabile per non venir meno per via. C'è sempre da domandarsi se le nostre celebrazioni eucaristiche sono un'esperienza chiusa in se stessa, senza conseguenze nella vita o se le viviamo in modo tale che alla fine dell'Eucaristia celebrata sappiamo di dover andare a testimoniare la carità di Cristo nella vita di ogni giorno.

 

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